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Nota tecnica a
Fragmenta

Luciano Nanni

Un testo contiene assai più potenzialità e sfumature di quanto siano visibili: ne è dimostrazione Fragmenta dove i risultati sono evidenti al massimo grado. In linea generale le liriche dell’autrice, pur con un linguaggio originale e colto, non eccedono mai, né mostrano ostentazione o intellettualismo, sono all’opposto spontanee per una forma mentis altamente creativa e ricca di sensibilità.

Qui darò alcuni spunti dai vari cultismi o latinismi che connotano la sua poesia. Già a p. 11 (Celesti rispondenze) il passo ‘titane di luce’; quel sostantivo onomaturgico (titane) reso al femminile è un’idea brillante. Incontriamo poi un prae-sente (Fu un mattino) che ritroveremo a p. 49 (Per sempre) con identico sintagma; la differenza tra presente sta nella precisa indicazione del significato evitando l’ambiguità; più avanti otium ci ricorda l’antica serenità.

Una parola come atarassia è usata in due modi: nel primo, da Mare di voci, il verso riflette la calma imperturbabile dell’animo e del paesaggio: ‘L’Eterno immoto in a.’; nel secondo ‘in a. alle Maldive’ (Empietà) definisce piuttosto quella ricerca d’oblio che è fuga superficiale causata dalla frenesia del vivere; come si vede, due distinzioni.

Alcuni aggettivi sono propri di modelli raffinati, così albale (Creativa-mente) e vesperale (due ricorrenze); latinismo invece in Materni scorci: ‘Opus musivo’ (p. 37); la stessa dimensione in cui la composizione si colloca, con Opus dà misura di tempo e grandezza della natura, mentre Opera l’avrebbe sminuita; anche l’uso di mater riporta a un archetipo profondo, persistenza della madre quale generatrice di vita; il titolo Antiqua mater certifica un’appartenenza che va oltre l’individualità e si rispecchia nella mater mea, istituendo così un legame di continuità (cfr. E con mani di luce, v. 18), poi completato dal v. ‘E ogni madre, mater mea’ (Quel nostro tempo pasquale, v. 6).

Segnaliamo altre voci, come ecclesia (E mani altre) a ripetere la prospettiva di luogo sacro atemporale (siamo a Venezia); ugualmente in Infanzia abbiamo parvoli e ‘plena di cielo’; il plena rievoca la preghiera alla Vergine aumentando il segno di referenza; ugualmente si dica dell’avverbio cotidie di cui s’incontrano due casi (pp. 63 e 84).

Altri latinismi notabili: magistro in La sinfonia incompiuta, che ha al primo v. l’aggettivo poetico aulenti; ma magistro può situarsi per apposizione (racconto magistro, v. 13); in funzione diversa invece substantia, riportata nel corsivo che la evidenzia e ne indica probabilmente l’origine, per Seneca essenza o natura; quindi un riverberarsi di accezioni che si rilevano all’interno e secondo la singola impressione.

In Oscillano giorni nel v. ‘Forse per questa imago da plasmare’ imago si presta a interpretazioni plurime, prima come figura, e dopo il passaggio a un uso poetico (es. Foscolo) un successivo impiego in psicanalisi, ma l’autrice riconduce al simulacro (v. 16) nel contesto di una lirica fra le più notevoli. Il verbo auscultare anziché ascoltare acquista intensità: è l’ascolto a livello interno, esercitato in medicina, testualmente con valore spirituale o cosmico(Canneto), nell’indagine entro una realtà tragica, v. 5 de La grande attesa, ove s’incontra pure captivo (prigioniero).

Va infine notato un vocabolo fuori del comune, a quanto pare coniato dall’autrice, cioè tecnoafasia (Divina fotosintesi), nello specifico un grecismo di tipo culto composto di tre parti: téchne tecnica, a privativo, phásis voce (si riferisce a Giovanni Paolo II); un composto simile in Com. Scart. (Inf. XXXIII,75).

Da una parola può quindi scaturire un universo di sfaccettature linguistiche, in particolare se, come qui, la poetessa possiede una pressoché inesauribile gamma espressiva.

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