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Presentazione a
Da serpe amica

Augusta Verza

La poesia come il mito, cela verità; la poesia anticipa la speculazione filosofica, in Lucia Gaddo la poesia penetra come la scienza nei segreti più intimi della natura che si fa stato d'animo nel colore, nel suono, in vibrazioni e fremiti.

Se è vero che la creazione partecipa del destino dell'uomo e ne aspetta insieme la redenzione (S. Paolo, ai Romani, 8, 19-23) la poesia di Lucia Gaddo ce ne fa persuasi, perché o è l'Autrice stessa, che si fa «serpe amica» dagli «occhi tondi» a tessere « sinfonie d'effetti », «acciambellata nella mite spelonca» (Da serpe amica) o cerva a bramire nella valle contaminata (Bramiti) o germe a scivolare « tra foglia e ramo | giù | nell'umida zolla | che daccapo | la riproduca », o è la natura stessa che si fa creatura: « penombra scorre nelle mie vene | stasera | ammantata di luna » (Progetti di brezze) o brezza che « imprime in volto | ai nudi rami | l'occhio delle foglie », tanto da poggiare « il viso ardente | sulle serene gemme » in comunione (Primule).

Ma il tono si fa ancor più alto quando la poesia di Lucia Gaddo « celebra » il compagno amato, «nucleo e specchio | dei suoi sorrisi occulti » (A Franco...) a cui si sente o vorrebbe sentirsi vassalla, se egli non fosse talvolta colpevole per le troppe assenze, sì da preferire di essere sola a farsi inebriare di luna (Ripulsa).

La sezione « Taccuino di viaggio con interni » fissa il viso del suo bimbo, la cui bocca « chiama commossi a raduno | come nei giochi dei suoi soldatini | eserciti di piccoli baci » (Al mio bambino che dorme); sottolinea la solitudine d'oggi nel ritmo di una filastrocca del « bimbo tradito | dal tele che vomita già | dello sposo distratto | della moglie arruffata | dell'amica impedita | dal part-time | continuato | della frase mozzata | nel: Tempo non ho ».

Il « Taccuino » ancora annota quel viaggiare « in collo alla sorte | vicino alla morte » in una « cantilena di chiese » e case « di pioppi in preghiera », di fiumi in silenzio, chiedendo di vivere per vedere e contare « a miliardi | pupille sorelle » assetate d'amore e con loro « posare la vita ».

Salvo che un dubbio l'assale: se valga la pena « danzare sul filo della lama omicida » della vita, in un passo cauto e consapevole, quando « il fiume dei requiem » si apre in una vasta foce «fra i superbi silenzi dei morti ». Domanda di ciascuno di noi: vale la pena soffrire, amare, credere, quando la quotidianità del mondo, nel suo svolgersi d'attimo in attimo sembra smentirne ogni validità?

Ma una certezza c'è nel presente inquieto, nel futuribile possibile: « la quieta domesticità raggiunta », e Lucia Gaddo è davvero, in questo, una donna fortunata.

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