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Presentazione a
Il sonno delle viole

Luciano Nanni

Chi conosce l'opera prima di Lucia Gaddo (Porto antico, 1978) noterà nella presente tracce di uno stile che attraverso il tempo fa crescere in senso qualitativo l'organismo cui appartiene mantenendone i caratteri fondamentali. È anzitutto il lessico a definire la raffinata resa timbrica e la creazione di originali metafore che affondano nell'intima vita dell'io facendo risaltare per trasfigurazione una realtà non solo verbale, anche se la parola è referente primario in poesia, linguaggio che in genere rifugge da ovvie classificazioni secondo l'uso dei mass media; per l'autrice fuga sì nell'antimondo lirico, come ebbi a dire, ma con la struttura correlata alla sua personalità.

Ora c'è un percorso, un organizzarsi per entità (sette parti), ciascuna individuabile dalla coerenza semantica, per l'appunto denominata comunemente stile. Nella prima sezione eponima (titolo desunto da Ciò che ho, v.8) rileviamo particolari stilemi quali la prostesi (disvelare, disbocciati) che affinano la sostanza del significato; oppure il richiamo alla rima o a elementi fonetici allitterativi (il finale di Fiori) che in Miraggi di collina, senza dubbio uno dei testi più alti anche per la compiutezza formale, si cristallizzano in "sfera adamantina" o nel suono sfaccettato di "seròtine d'amore rifrazioni", fino alla sinuosa conclusione "zigzagando gaia". Spesso poi incontriamo il titolo che inizia la parte testuale; la consonanza stretta; la fusione visiva e di concetti ("lenti colori criptati", v.3 da Tace il tuo volo); il ricupero di una grazia arcadica ("aulente il giardino", ib. v.12); il ritmo; si vedano i tre ultimi versi della sopracitata poesia: "Anche il mio volo ora tace | e l'ala e la voce | nel nido trinato di pace"; il dattilico si dispone su tre differenti metri; ottonario, senario (con sinalefe) e novenario.

Si comprende allora che con tale sensibilità la parte che segue (percezioni) può sviluppare un equilibrio dove l'idea si spinge a de-scrivere, nel prospetto di aperture metafisiche come "elianto all'eternità" (C'è un istante, v.5); accanto vi porremo Vespro di fine estate per la misurata semplicità soffusa d'un sentimento remoto; altrove i vocaboli si esternano in modo fantasioso o desueto: "vagellante mare", "difformi pesci" (Celeste amplesso).

Una certa scabra essenzialità informa la terza sezione (dentro la parola un grido) senza venir meno alla ricerca di eleganti soluzioni che tendono a lontane o astratte analogie: "volute di sospiri, arpe di gabbiano".

Le sei liriche di voglio nascere presentano invece un aspetto più corposo delimitando posizioni già acquisite il cui fil rouge imprime moto a visioni ariose o marine.

Maggiore alterità formale in bellezza, intendo, parte quinta: nel complesso si va dall'oscillazione metrica di Acquerello a formule più rigide che Nel prato esemplifica con un verseggiare nitido e compatto; si direbbe un calco classico avvolto da un alone novecentesco.

La personale dimensione religiosa, peraltro rilevabile già in precedenza, connota la sezione quale fiducia e fornisce alcune riuscite prove: in Porto morto torna il topos "sonno delle viole" (v. 15) a fissare gli estremi dell'opera e l'apertura spirituale; se Natale1997 potrebbe essere moderatamente oleografica, Passio si riscatta con una linea lessicale contrapposta, di fonemi ora teneri ora aguzzi, mentre il 'gioco' verbale – poliptoti in bisenso – presiede la chiusura di Nell'attesa: "nell'amo tuo | che poco ami e meno amasti".

Quei momenti inevitabili di pessimismo si schiudono nella parte conclusiva – sarà un sorriso – all'aspettazione fiduciosa; qui convergono particolarità che costituiscono lo stile: un ordito squisitamente delineato su valori icastici e l'elemento panteistico (già notati da M. Conconi) alternano lembi notturni a spiragli di luce. E sarebbe stato facile con I gigli di Sant'Antonio cadere nel dato illustrativo, mentre al contrario emergono passi di geometrica limpidezza: "l'oro di quel vaso puro | esaedrico fiore di speranza"; la sintesi può inoltre far scaturire nuove tensioni figurali ripetibili per identità: "dopo il tuono, il cono d'ombra | del dolore" (La tua lingua parlerò), e ancóra "cono di cristallo di un giardino" nella lirica che segue, e l'approdo al simbolo "che ha vertice d'amore | nella pupilla di Dio". L'evento tecnico (tmesi), "è un claudicare di tortore albino", riconferma un retroterra antico, ma mira all'unità; ed è proprio la penultima poesia - nel tentativo di concretizzarsi sotto il profilo ideale - o forse l'utopia, che pone un suggello di bellezza a un libro per certi versi arduo e abbagliante.

 
 

Il sonno delle viole

l'autrice

Quando nell'umore, inaridito dal fuoco dell'estate, naufraga­to nel pianto dell'autunno, sopito nel sottobosco riarso dal gelo dell'inverno, trovi solo le spine dei dinieghi della Storia, e il legno chiuso della sofferenza, più non appare il luogo delle viole.

Poi, sublima il sole, tornato alto, il fango nulla: l'indizio ram­menta il suo germe, ritorna il sentore fragile della verità, il colore dell'anima, il labile profumo viola, il candore di una piccola rivelazione.

autore
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