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Di cosa parla il libro?
Belli e Roma. Tra Carnevale e Quaresima
Immergersi nell’anima profonda e quotidiana della Roma del declinante Stato
Pontificio. Identificarsi in pieno, in ogni più icastica sfumatura e cadenza
espressiva, con la voce degli strati più disagiati del suo popolo impulsivo e
malizioso, spesso afflitto, non di rado sguaiato, dissacratore. A quella voce
offrire tutta la possibile attenzione umana e filologica, tutta la vitalità, il
ritmo, la forza comunicativa di un’arte scandita nelle magistrali strutture di
oltre duemilatrecento sonetti. Ecco il miracolo, ecco l’unicità di Belli. Se la
lettura delle poesie dialettali di Porta nel soggiorno milanese fu propizio
incentivo, esiste comunque una lunga e tenace tradizione realistica italiana,
che si continua in Belli. Il quale però di gran lunga la trascende per
originalità, autenticità. Il Carnevale romano di quegli anni, così rilevante da
fornire materia a uno scritto di Goethe, si collega, nel libro, alla “condizione
carnevalesca” in un senso antropologico più ampio, e può anche servire da
metafora alle istanze più trasgressive. La Quaresima, illustrata da uno
splendido sonetto forse non abbastanza noto, può anche richiamare per via
allusiva all’indigenza di umiliati e offesi, descritta con tanta forza da un
poeta di fondo tetro, per il quale “la morte sta anniscosta in de l’orloggi”.
Questo libro riconosce a Belli la statura di un grande classico della
letteratura europea dell’Ottocento.
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