Prefazione a
Tra questo e l'altro
Giacinto Peluso
Dagli albori dell’umanità ai nostri
giorni, in tutti i punti della terra, in mille e mille lingue ed in forme
infinite, l’uomo continua a poetare per esprimere stupore, gioia, dolore,
spavento, sdegno, ira e tutte le altre sfumature di cui l’animo umano è
capace.
Nata con l’uomo, la poesia si è
evoluta attraverso le generazioni ed ha finito coll’identifcarsi coll’uomo e
col suo tempo. Per questo i poeti, e gli artisti in genere, sono sempre stati
i più alti e più sicuri interpreti della spiritualità dell’epoca in cui sono
vissuti.
Evidentemente anche la nostra poesia
non poteva restare ancorata a forme senza dubbio rispettabilissime, ma ormai
superate, né vanificarsi in contenuti avulsi dalla realtà ma doveva essere
espressione del nostro tempo e della nostra società.
La poesia di Angelo Lippo è poesia
del nostro tempo, di questo nostro tempo travagliato da mille contraddizioni,
ottenebrato dalla violenza ed illuminato dalla bontà, inaridito dal
materialismo e nobilitato dal più generoso altruismo, corrotto dall’immoralità
e purificato dalla limpida innocenza.
Poesia del nostro tempo per contenuto
e per forma l’uno e l’altro assolutamente personali.
Quando a tutti i costi, si vuole
catalogare ed etichettare un autore, si compie – a nostro parere – un arbitrio
perchè non vi possono essere artisti uguali, salvo i casi di plagio, ma
persone che si sono ispirate agli stessi modelli, che si sono formate su
artisti affini per carattere, gusto, tendenze ideologiche, fede.
Lentamente, e forse inavvertitamente,
esse hanno assorbito la parte più congeniale di questi predecessori per poi
riproporla rielaborata e vista da nuove angolazioni.
Angelo Lippo, aperto ai problemi
dell’arte, si è formato su tanti modelli ognuno dei quali ha lasciato una
traccia: dai simbolisti francesi agli ermetici italiani, dai poeti americani
ai neorealisti, dal “gruppo ‘63” ai nostri conterranei.
Il lento processo di decantazione
delle esperienze acquisite, l’analisi introspettiva, l’accurata e continua
osservazione della realtà quotidiana gli hanno permesso, attraverso revisioni
e ripensamenti, di realizzare un gruppo di liriche che per varietà di
contenuti, profondità di pensiero, levigatezza di forma meritano la più grande
attenzione.
Già il titolo della raccolta lascia
intravedere la poliedricità degli interessi dell’artista: dal tenero amore per
la sposa alla devozione per il padre, alla cui memoria l’opera è dedicata;
dalla delicata ammirazione per la propria terra “la mia città ha ancora un
cuore tenero | anche se produce acciaio” alle credenze che fanno sorridere “mi
segno a croce e spero che | un gatto nero | non mi attraversi la strada”.
Certo il lettore aduso a versi ritmati, fluenti nel loro contenuto può – a
prima vista – trovare una certa resistenza a penetrare il senso di alcune
liriche ove simboli e corrispondenze sono a volte la chiave di tutto:
“Caldarrosta d’autunno | a fuoco lento | ti lascerò cuocere | aspettando
l’ultimo scoppiettio | Mia Vita, mio dolore”. Quello che rattrista e che
sorprende – ma sino ad un certo punto – è il senso di sfiducia nella lotta,
un’aria di fatalismo che non sembra atavico ma scaturito dall’esperienza e che
sfocia nell’idea costante, anche se latente, della morte: “Vorrei perdere la
memoria di tutto”; “Rinunciarmi senza scadenze”; “Per la memoria che fui e che
sarò”; “Forse domani morrà”; Pacificamente morire anche”; “Anche se la morte è
dentro di noi”.
In questa atmosfera di sconforto solo
di tanto in tanto appare una fioca luce di speranza, ma di una speranza
strana, già incrinata dalla rassegnazione: “Siamo in pieno inverno | Bisogna
aspettare con pazienza | la prossima estate”, oppure “E giova non ricordare |
ad affossare il passato | per non essere soltanto futuro” e ancora “La mia
pelle s’incupisce d’ombra | e spera l’armonia di altre stagioni”; “Cartoccio
di speranze | fiorito per sbaglio”; “Scavammo con unghie di speranza | la
terra amara dei giorni”.
Anche se la poesia di Lippo non deve
piegarsi alle ormai discusse pastoie del verso, e quindi è libera di rendere
il pensiero nella sua più limpida interezza, concedendosi anche qualche forma
imprevista per vivificare una immagine, essa non appare mai accessibile a
prima vista. “Aquiloni di parole | lancerò nel vento | perché il tempo ne
ricami | l’ultima vacanza”.
Pero, proprio questa certa difficoltà
finisce col rendere più interessante la lettura e costringe alla
interpretazione, all’analisi, alla riflessione.
Noi ignoriamo se Angelo Lippo abbia già pubblicato o meno altre raccolte di
liriche er trovare un punto di riferimento e fare un confronto. Ma, se questa
è l’opera prima, diciamo subito che essa merita il più grande rispetto come
ogni opera dell’ingegno e la più grande considerazione come documento
letterario.
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