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A noi che siamo
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Roberto Joss

Pasolini divise il tempo in "prima e dopo la morte delle lucciole". Laura Pierdicchi è nata "dopo", ha vissuto "dopo", ma di quell'altra stagione si porta dietro – e dentro – una carica nostalgica amara, una struggente melanconia di cose mai vissute. Sembra un paradosso e non lo è per il miracolo della poesia. Una poesia fatta di piccole grandi cose. Che tuffa le mani nell'orto dietro casa, così incredibilmente ricco di magie. Basta saperle riconoscere.

Fantasia e realtà si sposano d'incanto e se la parola non rincorre grilli retorici ecco il filo dipanarsi libero e sciolto come una strada senza traguardo.

Ma "il mestiere di giullare è pesante", perché "non sai la fatica | che mi lega il respiro ogni volta che il sorriso | si apre e si chiude lo stomaco | nella finzione scenica del primo atto...". Il vuoto, attorno, "la paura ancestrale | di essere sola tra i soli che scendono la piazza" e poi come un'illuminazione tragica: "...balliamo noi tortore sulle foglie d'autunno | le ali segnate dal giogo". L'autunno. La tortora fragile con le ali incise dall'antica condanna, perché "è finito il gioco senza la carta vincente".

E ancora: "...ci sentiamo sperduti | se qualcuno ci chiama amico". Una angoscia esistenziale che si traduce in ritmi quasi rabbiosi: "Alla deriva i ricordi | avranno echi | di grida al vento. | E sarà notte | il giorno del tuo arrivo". Una ferita aperta: una vena di pessimismo che si stempera soltanto nel contatto febbrile con la natura: "...scoprire il segreto delle onde | al grido rauco dei gabbiani | quando Eolo accarezza ..." "Argento | i capelli | alba di umide conchiglie ... Madre-perla il seno al sole | che venne caldo. | Non più fiori di polvere | povere cose | ingranaggi dove la sera non ha spazio | si carica l'aria di fiati sospesi".

Laura Pierdicchi è schietta, spontanea, libera da ogni sovrastruttura letteraria, sincera quindi nello sviluppare un discorso armonico di grande intensità lirica. I contenuti si rincorrono su un sottofondo di incalzante attualità (attualità di sentimenti talvolta eterni), e prendono lo spunto dal quotidiano per scoprire i più intimi segreti dell'animo umano. La poesia, spesso, riesce a scavalcare tali barriere. Quando è autentica. Come quando l'ironia diventa sferzante autocompassione nei versi di "Se morirò". "...Voglio un recinto e tante viole | per certi odori. | La luce poi al punto giusto | e una grande foto; la più bella. | Per comodità s'intende, non per vezzo".

Un umore sottile di dolcezza fuori dal tempo traspare da questi versi che si muovono nitidi come cristalli. C'è, attorno, un silenzio attonito. "Ci porta avanti l'illusione. | Questa illusione tiene legati granello su granello | della polvere che siamo. | Crediamo noi morti da sempre di vivere sempre. | E passa il treno. Questa musica mi prende | e passa anch'essa ... sempre la stessa". La sorpresa di un passato nato in questo momento.

Venezia, febbraio 1979

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