Prefazione a
Aria d'altro colore
Perché l'emozione è diversa
in rapporto al momento.
Il nero assoluto esiste solo
nell'altra struttura.
Versi che si potrebbero porre come incipit a Aria d'altro colore
fungendo da raccordo alla precedente raccolta Dal gesto d'inizio. I due
testi, pur staccati negli anni, sono legati dal filo persistente della memoria
in cui emozione e liricità si fondono e confondono in una struttura linguistica
scarna ed essenziale. Notavo già in un mio intervento, riguardante la precedente
raccolta, come uno dei dati di maggiore interesse fosse l'uso particolare della
metafora che in queste poesie è diventato costante, evidenziato in prima battuta
dal titolo e in seconda dal dettato dei versi sospesi tra paesaggio naturale e
ricerca interiore. Tra i due estremi fluttuano i mondi sommersi ed aerei della
mitica infanzia; dell'amore che «è fiato che divampa | dal niente»; de «i piedi
sull'asfalto | e il cuore sotto»; della serena quotidianità e del «morire di
tutto»:
Sono la riva –
tu la barca che costeggia
senza attraccare.
Così non posso posare
il mio piede pesante.
Tra i mondi sommersi ed aerei riemerge a tratti il fantasma del «nero»: il
fantasma dell'ansia e dell'inconscio, ma anche il fantasma cosmico della non
conoscenza, e mentre in una poesia della raccolta precedente una forza «irrompe
| e trafigge il nero», in questa «il nero assoluto esiste solo | nell'altra
struttura»: versi che ho riportato all'inizio di questo scritto.
Vi è, dunque, nella poesia di Laura Pierdicchi l'antitesi tra il sentimento
d'amore che vuole concedersi nella totalità del proprio essere e la paura della
persona o dell'entità sconosciuta che le sta di fronte. Questo conflitto non è
risolto nella poesia, – come non è risolto nella poesia di Emily Dickinson con
cui la Pierdicchi condivide il repsiro sotterraneo –; ed è bene che non lo sia,
perché è da questo conflitto irrisolto che nasce e canta la voce della poesia.
Tra realtà e scrittura si stende, dunque, l'infinita pianura, a volte nebbiosa a
volte assolata, in cui le parole prima di essere segni sono cose che hanno nomi
e dettati quotidiani:
Per l'amore di piccole cose
per quello che incontro che colgo
per tutto ciò che d'intorno
mi canta mi guida – io vivo.
È naturale che a volte i colori delle «picocle cose», con grazia affabile,
brillino soltanto in superficie e lascino in una zona oscura il dolore del tempo
che passa e il «tortuoso transito» dell'esistenza. Per cui i versi, pur
risultando musicali, come in un settecentesco colloquio d'archi, mostrano qua e
là crepe da dove spuntano vecchie retoriche e misure ototcentesche. Ma in una
scrittura poetica essenziale e misurata come quella della Pierdicchi queste
crepe sono coperte presto da una fioritura primaverile che restituisce al
«giardino» l'identità progettuale dell'uomo e nello stesso tempo il suo essere
parte di un universo sconosciuto:
Il giardino troppo grande
saturo di resina e muschio
attorno a noi e noi
senza più peso e forma
a migrare in altre galassie.
Rileggendo i precedenti testi di poesia mi si conferma l'impressione che in
quest'ultimo libro la scrittura di Laura Pierdicchi si è man mano depurata di
tutte le scorie e i residui che potevano sfociare nel luogo comune – mi
particolarmente a Neumi che è del 1983. In questo testo semplicità e
profondità si coniugano in un dettato poetico che mostra in più partiture il
respiro di una scrittura autentica e sofferta, ma mostra anche un uso sapiente
dei diversi registri delle figure della stilistica poetica in cui
predomina, come si è detto innanzi, la metafora. Bisogna però avvertire che i
versi della Pierdicchi non si volgono verso un sistema logico dell'opera
compiuta; la compiutezza è impossibile in una poesia che più che la concretezza
mostra la trasparenza delle cose, e più che la passione mostra il sentimento
celato e incomunicabile. Vi è nel suo mondo poetico un continuo scambio tra
accumulo e sottrazione, un rinnovarsi di stagioni tra fioriture colorate e
sottofondi minrali, un battere e un levare musicale che è poi il commento arioso
di una dolente solitudine.
Aria d'altro colore si articola in due parti, dissimili e
complementari; mentre la prima che si intitola "Condizioni" pone l'accento sulla
condizione soggettiva dell'uomo e nella sua unicità di essere sofferente e
pensante, la seconda "Duetti" canta a due voci «un gioco d'amore e di forma». La
differenza è soltanto apparente in quanto l'universo interiore è il medesimo,
cambia solo lo spazio del linguaggio che nella seconda parte si muove fra due
voci recitanti. Non è teatro come spettacolo, è soltanto teatro dell'anima che
accetta, come finzione, di interrogare e interrogarsi in un altrove che
è, nel ricordo, luogo d'amore e di dolori:
Sono già altrove.
Se riprendo i ricordi
devo urlare
perché amore è tutto
tranne regola.
Inevitabile che a volte la finzione risulti essere un gioco di echi che
toglie al soggetto la sua voce unica che non può essere ripetuta se non nella
propria solitudine; il richio, se è rischio, si stempera però nella grazia
poetica del verso, nel colloquio a bassa voce tra il poeta e la natura, in una
serie di domande sussurrate a cui rispondono il vento e la luna. Così le domande
e le risposte parlano le cose della terra e i segni del cielo:
chissà se anche tu
hai una finestra in cielo?
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