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Note critiche brevi a
Echi di riti e miti
di Daniela Quieti
Nicla Morletti
Nell'approccio allo scrivere e nella sua continuità, Daniela Quieti sceglie
la via più semplice e diretta: racconti brevi: "Settembre andiamo. E' tempo di
migrare", "Dal ribollir de' tini", "L'olio di San Bernardino", "I giorni della
merla e le fiammelle della Candelora". Non trame quindi di romanzi in cui è
possibile smarrirsi, nessun tessuto narrativo complesso, ma la linearità e il
piacere di riscoprire le tradizioni, le sagre paesane, le feste in piazza tra il
sacro e il profano, magari con un'orchestrina che dà l'avvio alle danze. Attorno
odore di birra, profumo di arrosto, porchetta e tartufi. E poi c'è la magia del
solstizio d'estate. Racconti così familiari, che pare quasi di esserci in mezzo,
oppure di averne già sentito parlare, quasi un dejà vu.
Giancarlo Pontiggia
Presidente del Premio “Lago Gerundo”
Echi di riti e miti è un libro di “suggestioni” – come avverte la
stessa autrice nella premessa – che affonda in un mondo folclorico e
leggendario: l’Abruzzo dei pastori di D’Annunzio, con i suoi boschi e i suoi
castelli, il suo mare selvaggio e i suoi aspri gioghi montuosi. I capitoli
seguono il ciclo delle stagioni, e si muovono da un solstizio d’estate alle
feste di maggio, scandite da feste patronali che ancora riecheggiano gli antichi
culti pagani. E il lettore non può che perdersi in queste pagine di quieta
bellezza contemplativa, gremite di vita popolare autentica, di riti tramandati
di generazione in generazione, così che il libro risulta, infine, non solo un
racconto appassionato di un mondo magico e arcaico, ma anche un ricco, prezioso
raccoglitore di memorie collettive destinate, forse, a perdersi nell’incessante
moto globalizzante della società contemporanea.
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autore |
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