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Prefazione a
Isole e vele
Vittorio Vettori
Romanzo lirico: sotto questo profilo e con questa
definizione Veniero Scarselli ci presenta il suo primo libro di versi, Isole e
vele, col quale e nel quale egli si rivela ed appare (perché proprio di
un'apparizione si tratta, piú precisamente di un'apparizione rivelatrice) nel
pieno fulgore di una originale maturità espressiva e creativa, mirabilmente
capace di coniugare l'impegno conoscitivo più serio e severo (è stato libero
docente di fisiologia all'Università di Milano, prima di ritirarsi in campagna)
con una ricca vena felicemente abbandonata di canto, conciliando scienza, musica
e sentimento religioso del mistero e del sacro sul sentiero in salita – per
larghi tornanti che formano una spirale – di una tesa ed intensa poesia di
sostanziosa e vivissima tradizione odissaica.
Siamo dunque di fronte a un poeta vero, destinato
naturalmente a imporsi da solo, senza il benché minimo bisogno di messinscene
pubblicitarie.
A voler fare concretamente i conti con la poesia di
Scarselli, credo non si possa fare a meno di seguire la traccia di tre
caratteri sempre in lui incisivamente presenti: il rigore scientifico, il
«tempo» musicale e la personale e diretta esperienza del sacro.
Scienza, dunque. «The poetry is science of life», la Poesia è
la scienza della vita, ha scritto un grande scienziato, che è Peter Medawar,
premio Nobel di Medicina. E un grande poeta, che era Ezra Pound, lo aveva
anticipato, energicamente osservando: «L'arte si occupa, così come la scienza,
delle cose che vivono, che durano più di qualsiasi partito o credo politico, che
sono qui e saranno qui o potrebbero esserlo sotto il comunismo, fascismo o
qualsiasi altra cosa. Né Lenin né nessun altro hanno il potere di cambiare una
composizione endocrina. Se vogliamo, l'arte fa parte della biologia». E Pound
avrebbe certamente apprezzato, se avesse potuto leggere Isole e vele,
l'estrema precisione con cui l'autore, da scienziato autentico (e perciò alieno
da qualsiasi forma di scientismo positivistico o neopositivistico), incide sul
tessuto policromo del linguaggio situazioni, sensazioni e paesaggi. Né sarebbe
stato minore l'apprezzamento del vecchio «Zio Ez» per l'impianto musicale del
libro di Scarselli, non per niente dedicato «a Ettore Gracis,
che prima della musica mi ha insegnato la poesia» (il che vuoi dire che la
formazione poetica dell'autore, innestata come si è visto nella sua vocazione
scientifica, si prolunga d'altro lato in una decisa e precisa sensibilità
musicale).
Ammiratore e fautore della musica d'avanguardia di George
Antheil e musicista egli stesso (con l'opera «Le testament de Franois Villon»),
nonché scopritore di numerosi inediti del grande Vivaldi, Ezra Pound avrebbe
sicuramente notato e ammirato l'armonico arco sonoro che unisce l'inizio del
romanzo-poema di Veniero Scarselli («All'oasi di Abu Hassan | è la fine
predestinata | del lungo viaggio temerario») con la conclusione:
All'oasi di Abu Hassan
non arrivate giammai
viaggiatori che nel deserto
avete smarrito il cammino
lasciatevi piuttosto
infuocare dal sole
o intanati in una buca
come lucertole della sabbia
contenete
la sete
attendete la notte
ma all'oasi di Abu Hassan
non mettete mai piede...
Fra i termini del racconto, termine «a quo» e termine «ad
quem», si snoda il tempo, simultaneamente ritmico e orizzontale come sarebbe
piaciuto a Pound, di questa speciale «Odissea», ossia il tempo musicalmente
vivente di un appassionato e tuttavia lucidissimo viaggio interiore dentro la
misteriosa e terribile (ma anche alla fine gratificante e pacificante)
sacralità della vita, raffigurabile in un labirinto, il cui filo di Arianna sta
nella tenace volontà di ascoltare
nei cieli di alba
giorno dopo giorno
ogni segno di vita.
Firenze, 15 aprile 1988
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