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Prefazione a
Priaposomomachia
Patrizia Adami Rook
Della fatica di nascere del guerriero
Ci sono desideri e fatti che nell'ordine costituito dei desideri e dei fatti
(leggasi "cultura") non hanno diritto d'accesso. Come certi sogni o incubi. Si
tratta per lo più di fatti strani, qualche volta orrendi, spesso del tutto
incomprensibili, quindi bisognerà interpretarli onde liberarsi dall'orrore della
loro "forma", sulla quale, diceva Freud, non bisogna fissare l'attenzione.
Perché mai non bisogna farlo? Perché anche Perseo, per riuscire a uccidere il
Mostro, dovette distogliere lo sguardo? Mi piace pensare che sia perché il
Mostro, invece, non l'avrebbe distolto, costringendo Perseo e ogni altro
"Cavaliere in guerra contro il Male", come in questa sacra rappresentazione, a
vergognarsi delta propria tracotanza e a invocare pieta per avere osato guardare
e non essere riuscito a vincere. Che significa non riuscire a vincere? Chi è il
Mostro su cui l'attenzione non deve fissarsi, pena il rompersi del fragile
meccanismo dell'anima? Se nel mito può vedersi la struttura basilare di qualche
umana problematica o qualcuna, come dice Kérény, delle "maniere umane
dell'esistere", il mito dell'Eroe cui fa capo ogni scoria, felice o infelice che
sia, di Cavalieri in guerra contro il Male racconta della lotta che ogni figlio
maschio deve intraprendere contro la propria madre per differenziarsi dal suo
essere femminile c affermarsi net segno opposto al suo. E, se Edipo, quale eroe
mancato, rappresenta il rischio che ogni maschio corre quando anziché riuscire a
separarsi dalla madre (e vincere il Mostro) torna a unirsi a lei, si può capire
come l'essere femminile possa talvolta apparire, agli occhi d'ogni giovane
maschio in lotta per la propria identita, come pericolo massimo e ricettacolo
del Demonio stesso; e si può capire come l'umanità, o meglio la parte maschile
di essa, sia sempre tornata nel corso dei tempi a fare i conti con l'immagine di
quella che Neumann chiamò la "Grande Madre terrifica", perennemente capace di
sedurre e poi di evirare i suoi giovani molteplici innocenti amanti; come la
Niobe di questo poema, piena d'angelico languore, ma anche di maligna Sapienza,
pronta a trarre in inganno i poveri priapi ai quali non sarebbe passato per la
mente un desiderio men che onesto.
Il fatto è che, a differenza di quando si muore, nascere da soli non è
possibile. La cosa sembra che abbia sempre molto preoccupato l'uomo; il quale,
oltre a indagare sulle origini delta propria esistenza, non ha mai cessato di
protendersi nello sforzo eroico di riscattare questa dal fatto d'esser stato un
giorno partorito e dalla paura d'essere soltanto un corpo che quel giorno usci
da un altro corpo. Per uomo si deve intendere proprio l'essere umano di sesso
maschile, perché non risulta che la donna si sia mai altrettanto agitata per
speculare sulla vita e sulla morte, né sul lungo insensato calvario tra questa e
quella; come se per lei certi fatti fossero ovvi e fosse comunque più urgente
vivere e morire (e partorire) per la continuazione del mondo, piuttosto che
tormentarsi per la presunta malvagità di quest'ultimo. In fondo, l'eterno
quesito dell'uomo circa il suo essere at mondo non fa che ricalcare la solita
domanda che ogni bambino fa alla sua mamma. Lei sa chi lo ha fatto e può sempre
rispondere; l'altro invece non lo sa e deve continuare a chiedere. Lei sa e
quindi non si meraviglia. Il suo non è sapere scientifico, non presuppone la
meraviglia e il turbamento del dubbio, ma la sicurezza dell'ovvio; non
l'impotenza e lo sconforto della creatura, bensì l'onnipotenza e la forza del
creatore. La conquista della sapienza, che Platone immagina come lo sforzo fatto
da un cieco per uscire dalla caverna, o il mito dell'Eroe in lotta contro il
Mostro, che secondo Neumann rappresenta l'emergere della coscienza dal buio
dell'inconscio, somigliano sempre a un parto dove chi si pronuncia è sempre un
figlio, colui che deve nascere, uscire, emergere, vedere la luce, vincere il
buio; e dove la madre che partorisce non compare se non come buio che impedisce
di vedere, caverna da cui bisogna uscire, Mostro che quel figlio deve vincere,
nonostante la sua ansia di riuscirci e la terribile paura di fallire.
In quanto ai desideri men che onesti, il fatto che non passino per la mente
(Freud diceva che esiste una censura appositamente addetta a impedire loro quel
passaggio) non significa che non passino altrove; per cui "non riuscire a
vincere" significa che quei desideri, intrufolandosi fra le maglie della fragile
coscienza (l'Eroe, se pure tiene a bada il Mostro, non l'ha ancora ucciso),
potranno improvvisamente uscire allo scoperto. Che succede allora se a quei
desideri il caso concederà di imbattersi nel Poeta che vorrà rappresentarli? Ci
sarà una Rappresentazione che potrà dirsi Sacra, poiché è sacro tutto ciò che
doveva restare nascosto nel momento in cui invece riesce a rivelarsi. Così ogni
desiderio men che onesto, i fatti che erano tali... di fatto ma non di diritto,
gl'incubi per i quali non potevano esserci parole, i pensieri che non dovevano
essere pensati, ecco che la pietas del Poeta li chiamerà finalmente per nome,
laide capre biforcute e botole rigurgitanti di sordidi intestini; e scoprirà
dove il Male veniva tenuto nascosto, dicendo che s'era incastrato nell'esofago
infelice del pene.
Come donna potrei sentirmi offesa, che ancora una volta il corpo fcmminile
venga utilizzato (oggi dal Poeta, come già ieri dai Padri della Chiesa) per
rappresentare il Male, ovverosia l'orrore che la Materia possa vincere
sull'anelito del maschio verso lo Spirito. Ma non questa volta, perché Veniero
Scarselli esasperando la formula abituale fino al parossismo ironizza proprio
sul piccolo maschio vacillante di fronte all'istinto e denuncia la sua pruderie,
l'amore vano per l'astrazione e il suo non sapersi accostare alla reattà del
corpo senza sprofondarci dentro come un naufrago d'Atlantide. E mi piace che,
invece di quello che si è abituati a vedere circolare nelle stanze delta
cultura, tronfio delta sua vittoria e brandendo le solite fiammeggianti spade,
una volta tanto si celebri l'altro, l'eroe mancato; perché, anche dove un eroe
muore, c'è la possibilità di conferire dignità e forma poetica agl'incubi degli
uomini d'ogni tempo. Può la poesia diventare denuncia? può la poesia riempirsi
di contenuti e riappropriarsi dei fatti e delle "maniere umane dell'esistere"
oltre ogni ritegno e oltre ogni censura? io credo che il tentativo sia non solo
legittimo ma benvenuto, se è vero che poeta significa alla lettera creatore.
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