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A proposito di Priaposodomachia e altre riflessioni
Su questa sacra rappresentazione, o monologo teatrale e presentata dal linguista Giancarlo Oli sul n.4 di Ottobre-Dicembre 1992 di "Clandestino"), in cui un'anima purgante narra la storia della sua guerra contro il Male (Priaposodomomachia: la guerra fra Priapo e Sodomia, ove non si può fare a meno di sottolineare che si tratta di sodomia eterosessuale) si è accumulato un vero campionario di interpretazioni: da esplorazione delle tenebre della carne come dello spirito (G. Bárberi Squarotti) a bel saggio di stile alto e comico (Michele Dell'Aquila); da bella rappresentazione dissacratoria (Vittoriano Esposito) a storia dalla tensione fosca, medievale (Maria Grazia Lenisa); da saggio psicoanalitico (Oreste Macrì) a ghigno feroce (Walter Nesti). Senza parlare delle numerose interpretazioni psicologiche, fra le quali spicca quella della prefatrice del libro, la psicologa P. Adami Rook. Tutto questo era un po' scontato, come lasciava già intuire la piccola dichiarazione di poetica a p. 8 del libro. Tuttavia, nonostante le molte angolazioni possibili, mi sembra che tutte possano ridursi a soli due livelli di lettura fondamentali. Il primo è quello tragico, puro e semplice. Il secondo è l'iperbolico, cioè un "tragico" spinto a un tale grado di parossistica esasperazione da ribaltarsi in grottesco o parodia. Poiché questa ambiguità è congenita al testo, ogni lettore può scegliere il proprio livello di lettura a seconda del temperamento, inclinazione o momento contingente. Io stesso confesso di avere, nello scriverlo, oscillato continuamente fra i due livelli, a volte ghignando saporitamente, a volte commuovendomi. E' come se, avendo cominciato per gioco, lo stesso autore, infervorandosi, sia stato trascinato nel vortice di "danza" della finzione fino a crederci appassionatamente lui stesso, toccando in questo caso il livello tragico; per poi magari uscirne, divenuto consapevole del livello grottesco; e così via. In secondo luogo non bisogna trascurare la poetica dell'esplorazione conoscitiva e liberatoria che sottende questo tipo di poesia nella sua funzione di produttrice di rappresentazioni figurative del mondo, coerenti col nostro innato bisogno di valori etici: la Poesia cioè come conoscenza e catarsi morale, la Poesia come la più alta forma di conoscenza perché nell'esplorazione del mondo e di noi stessi produce il massimo soddisfacimento emozionale e quindi il massimo effetto catartico. Non è forse questo da tremila anni l'intento della poesia? Quanto all'opportunità, in poesia, di talune esplorazioni conoscitive troppo "intime", o "audaci", evidentemente si è formata una tradizione destinata a proteggere il "comune senso del pudore" del normale lettore di poesia, il cui criterio di giudizio è tuttavia, e fortunatamente (altrimenti si resterebbe sempre fermi), sottoposto alle variazioni del gusto e delle mode. Personalmente sono convinto che oggi non esista alcun contenuto che non possa essere affrontato con la massima decenza e dignità; d'altra parte, per quali motivi dovremmo astenerci dall'esplorare una realtà che in poesia è rimasta vergine per secoli, quando oggi perfino i rotocalchi femminili discettano di sodomia fra coniugi? Più in generale, per quali motivi il linguaggio della poesia non potrebbe sostenere l'urto di contenuti forse sgradevoli, o addirittura ripugnanti, portandoli alla luce e depurandoli della loro vinilenza e "inguardabilità"? Fino a quando vorremo, come sepolcri imbiancati, ignorarli mantenendo la poesia in una perenne atmosfera arcadica attraverso una respirazione artificiale di gradevoli argomenti descrittivi o intimistici? Il Vero non può essere sempre bello e gradevole. Si può essere tentati di tacerlo; ma in che Vangelo sta scritto che debba essere sempre così? Senza contare poi gli aspetti buffi e ridicoli degli esseri viventi, o anche soltanto ovvii, su cui mai la poesia si è soffermata; ma che ovvii non sono affatto se li si considera con occhio non distratto. Insomma, se si guarda alla vita e al mondo senza autocensurarsi, si affollano domande che da millenni attendono risposta suscitando le emozioni degli uomini: non è strano ad esempio che ogni essere vivente in fondo sia solo un tubo digerente, con dei buffi orifizi per l'entrata e l'uscita del cibo? E non è misterioso che un tubo digerente nutra nel suo profondo un'anima anelante alla bellezza? E cos'é la bellezza? Perché il figlio dev'esser contenuto proprio nel ventre della madre? Ed è giusto che questa debba partorire con dolore? Penso che la poesia, per uscire dal ghetto in cui si è confinata e poter interessare veramente il pubblico, debba compiere una vera e propria rilettura del mondo, con tutte le sue nude realtà, anche biologiche, perché anch'esse nascondono un profondo significato esistenziale; debba insomma farsi trasmettitrice di nuovi contenuti, anche d'urto, capaci di coinvolgere e indurre alla riflessione ogni uomo in grado di leggere. Va da sé, che il presupposto di questa poetica sia l'abbandono della versificazione anarchica fatta di sintagmi sconnessi e parole in libertà, oggi veramente abusata, per far posto a un recupero della lingua con tutta la sua rigorosa sintassi: la lingua è una sola; e, se vogliamo trasmettere conoscenza, è giocoforza adeguarvisi. Infine, il poeta non dovrebbe rinunciare neanche ad avere una statura morale, ch'egli può rivelare appieno solo fondendo in modo coerente in un "supermessaggio" tutte le singole verità poetiche, concependo un vero libro organico anziché slegate "sillogi" e "plaquettes". Mi sembra triste passare la vita a "immortalare" in miseri frammenti le proprie private ed effimere sensazioni egocentriche; che saranno sempre incapaci di suscitare negli altri delle vere emozioni, finché si evita l'impegno morale di coordinarle e inquadrarle in un discorso più ampio, un poema che contenga un messaggio o un insegnamento, una riflessione universale di più ampio respiro. Una poesia che non insegni qualcosa, o non faccia almeno riflettere, non serve a nulla. E sia detto in barba a chi vagheggia la purezza della poesia fine a sé stessa, che non può non finire fatalmente per annichilirsi nell'inconsistenza del formalismo più astratto. Per concludere spiritosamente con un aneddoto, dirò che a chi a proposito della Priaposodomomachia m'aveva scritto (ma forse più d'uno l'ha pensato) "Peccato, tutta questa potenza espressiva sprecata per intenti così poco nobili", io ho ribattuto: ma come! questo povero autore è il vostro chirurgo, vi mostra e vi asporta i vostri tumori, e questo sarebbe un intento poco nobile? Vi auguro dunque buon divertimento, se forse leggerete la Priaposodomomachia e come spero vi rotolerete voluttuosamente nel fango delle sue "impudiche" rivelazioni poetiche. |
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