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Note a margine di una recensione
«La poesia è l'unica possibilità che ha la mente di
rappresentare finitamente, cioè con strumenti a lei accessibili, il non-finito
e l'astratto. Essa è dunque un potente mezzo di ricerca del Vero, forse dell'unico
Vero accessibile all'uomo: la "verità poetica", che è una verità
fantasmatica, emozionale. Ecco perché sono ritornato alla "ricerca poetica" dopo il
fallimento della ricerca scientifica; questa ha lasciato tracce profondissime nel mio immaginario, ma non è stata
capace di svelarmi alcun segreto della vita; ora è solo il silenzio del mio
eremo, che forse può farmi ricrescere dentro ancora la speranza che la scienza
aveva soppresso. Fare poesia significa in fondo la sciarsi penetrare dalla speranza di una Verità che sai di non poter mai raggiungere
con la ragione, ma che puoi forse contemplare con la "mente poetica". Per
eliminare comunque ogni equivoco, dirò che l'espressione "ricerca poetica" non
significa la sterile ricerca verbale da cui mi sento estraneo, ma la ricerca
di una verità trascendente, nel senso che ho appena illustrato. E in questo
senso vorrei, per terminare, abbandonarmi a una speranza oggi sempre più sentita: che
la figura del poeta possa riguadagnare la dignità estinta del "Vate" con
l'aura di saggezza, veggenza autorità morale che promanava da quegli uomini retti e
liberi dell'antichità. E' un sogno?» (Lo stupore del biologo dì fronte alla
realtà, "Uomini e libri", XXVI, 128, 1990. pag. 61).
Ho voluto iniziare citando queste mie parole tratte da
un'intervista rilasciata a Uomini e libri soprattutto perché
l'esposizione della poetica che sottende il mio far poesia può essere utile ad
illuminare quanto sto per dire: e, inoltre, sulla scorta del testo originale,
il lettore cui interessi il pettegolezzo potrà anche misurare quanto sia stata
fuori posto l'ironia di una recensione che mi riguardava sul numem 2/91 di
"claDestino', la quale lasciava intendere all'ignaro lettore che io mi
fossi autoproclamato... "vate": dal testo qui fedelmente riportato appare chiaro che
io esprimevo solo la speranza di
noi tutti, che la figura dei futuri poeti (non la mia umile, dunque), in forza
dì una loro straordinaria visione della vita e statura morale, possa
riguadagnare l'antica dignità di Vate. In parole povere mi auguravo che la
Nuova Poesia, che noi tutti attendiamo come una cometa, possa con nuovi
contenuti riconquistarsi la fiducia, il credito, l'interesse del "lettore
della spada" scrivendo finalmente per lui e non per una cricca di poeti
esoterici. Se tutto questo fa sorridere, allora vuol dire che la poesia è
davvero finita, ed anche la speranza: e allora preferisco tornare a coltivare
il mio campicello, molto lontano da questo brutto mondo.
A proposito di campicello e di vita appartata, stando
all'articolo sopradetto sembra quasi che molti si rodano perché un loro simile,
anch'egli con due occhi, due gambe e due braccia (non un marziano cui è facile
attribuire poteri straordinari) riesca ad accontentarsi di una vita frugale,
mangi patate e ricicli i vestiti usati, uscendo dalla spirale del consumismo in
cui essi invece invece felicemente o infelicemente sguazzano. E allora picchiamolo,
diamogli del primitivo, anzi del finto primitivo, visto che nella sua caverna
ci ha anche la luce elettrica e il telefono: e anche del finto eremita, visto
che anche lui non rifiuta i premi e partecipa alla corsa per il sucesso
fra i
suoi 25 lettori, per di più col marchio di scrivere per farsi capire. Guai, a
far sapere che è laureato in biologia: diventa automaticamente l'illustre
biologo, indulgente al torbido e al laido (ma sono attributi, poveretto,
legati alla sua struttura mentis professionale) che. per far spregio della povera
gente che s'arrabatta, ahhandona la sua condizione di potere però poi (essendo
egli un cumulo di contraddizioni) si autopunisce, sottoponendosi a ogni
sorta
di disagi e privazioni e abbandonandosi a una vita primitiva che, ci viene
lasciato supporre, deve essere anche un po' animalesca. Davanti
all'autorevole informatrice l'ignaro lettore non può certo alzarsi e dire no,
guardate, col suo poco, lui forse è più felice di voi, fa una vita rilassata
con la sua famigliola e i suoi coniglietti e si gode dall'alto il panorama dì
gente che invece studia soltanto di trovare i soldi per
rinnovare l'auto. Da questa recensione così traboccante dì
argomenti extraletterari e privati, senza che si comprenda dove si vuoi
arrivare, si capisce tuttavia che questo mio povero romanzo lirico è sì un
lavoro molto complesso e di grande ambizione, ma anche un tentativo, non si
sa ancora se ben riuscito. Ora, un autore desideroso di conoscere i lati deboli
della propria opera avrebbe certamente gradito qualche ulteriore
spedficazione: se ad esempio fosse manchevole di toccante espressione lirica;
o di avvincente tensione narrativa; o di armoniosa struttura architettonica.
Nulla, invece, viene rilevato circa la natura di quelle riserve. Si
potrebbe congetturare che tutto dipenda dal fatto che il critico tende
inconsciamente a mantenere anche per il romanzo lirico lo stesso approccio che
usa generalmente per la silloge, tanto è inveterata ormai l'abitudine al
"libro di poesie"; nel "romanza lirico" le poesie sono come i capitoli, alla
fine ci si può anche fermare un momento a pensare, tuttavia è richiesto al
lettore un tipo di concentrazione molto diverso che non per la silloge. Ma
viene certo un altro sospetto: che quella perplessità nasconda in realtà una
certa ostilità davanti alle 'parolacce e alle altre cose scabrose contenute nel
libro. La vera questione allora sarebbe: se la poesia possa farsi, o meno,
veicolo di temi contenuti non proprio canonici. In altri termini se la poesia
sia capace, o meno, di reggere l'urto delle realtà biologiche (eufemismo per:
triviali e oscene secondo il comune senso del pudore del lettore di poesia).
Credo che proprio questa sia in realtà l'inespressa domanda rimasta nella
penna di chi ha steso quella nota. lascio comunque ai lettori l'ardua
sentenza; io ho solo raccontato una storia, semplice e lineare, rievocata da
un malato sul suo letto di morte: l'esplosione piena e innocente di un vero
amore, certo vissuto in un delirio anche di sesso (ma come si vivono
altrimenti gli amori tra esseri sani e vitali?), poi la sazietà e la
successiva impotenza sessuale del maschio: ma lui la sua compagna la ama e
vuole salvare il rapporto e allora ecco tutte le sue elucubrazioni e gli
espedienti per vincere stimoli estranei all'amore e alla coppia questa ch'egli
sente come un'onta e una sconfitta; ecco il disperato
ricorso alle "ammucchiate", non per vizio (così almeno crede)
ma per fede in un'apertura della coppia, in una dilatazione dei confini
dell'amore, anche attraverso il sesso, verso una fratellanza universale; ciò
che non aveva previsto era che lo sconvolgimento di quei binari ancestrali,
certo limitanti ma su cui si era felicemente edificata la specie nei milioni
di anni, avrebbe invece accelerato il definitivo sgretolarsi del rapporto.
Ecco la fuga e la rivalsa della donna, l'angoscia per il suo irreversibile
abbandono, la lunga depressione, infine l'opera taumaturgica del tempo porta la
quiete nei sensi e nello spirito e fa rinascere un uomo nuovo, ricco di
mistiche aspirazioni; ma ormai il contagio manifesto e terribile di un'oscura
malattia sessuale (dati i tempi diciamo pure che sia Aids) è la nemesi della
Natura che sì rivolta, per espellerla, contro una vita deviante e perciò stesso
votata alla morte, un ramo secco dell'evoluzione che la Vita impietosamente
amputa da se stessa. Questa è la storia raccontata nel libro. Circa eventuali
altri reconditi significati che vi possano essere nascosti, lascio ai lettori
piena libertà di scavare in tutti i possibili "labirinti". Purché non si
capovolgano le carte e si parli, come nell'articolo in questione, di morte
dell'Eros e di amore al negativo, e si affermi che in che in tutte le mie
rappresentazioni poetiche il paesaggio del del ventre materno (e della femmina in
generale) non è altro che fucina di morte. Già in partenza sapevo che avrei dovuto
non poco limare per farmi capire da qualche femminista birbante; in realtà
Torbidi amorosi labirinti (come anche Pavana per una madre defunta) è un inno
all'amore e alla Donna. Non c'è una sola parola di condanna per il tradimento
della partner divenuta ninfomane, ma solo parole di pietà e tenerezza, a parte
qualche invettiva sfuggita nel colmo della gelosia; gli amorosi labirinti sono
solo quelli in cui si perde il maschio, divenuto incapace di soddisfare le
aspetttative della sua donna, nel disperato tentativo di salvare l'amore e
trattenere a sé la persona da cui dipende anima e corpo (vedi l'allusiva figura dì
copertina): il dramma è solo l'urto della sua piccola e fragile realtà
fisiologica di maschio contro l'enorme potenza della femmina, venerata come il
sole,
crogiuolo dell'Essere, motore dell'universo, Dio (p. 24). Certo, talvolta,
egli non riesce più a nascondere la sua invidia dì maschio per la superiorità
della femmina; e allora essa è vista come polipo, ape regina, rapace. E lei la
vincitrice, la vera continuatrice biologica della specie, il sacco caldo nel
gelo dell'universo, la rispettata generatrice e nutrice, il paradiso che ogni
maschio, essere effimero e disperato, desidera riconquistare. Come si può
parlare dunque di fucina di morte di morte dell'Eros, di amore al
negativo? Come sì può venire a consigliare di disseppellire l'amore? Quanto
infine all'innocente signora di buona volontà, invitata nel risvolto di
copertina a riflettere sulla storia, essa non è poi tanto innocente, se come
ape regina non si cura del maschio e dei ferrei meccanismi neuro-fisiologici
che governano la sua fragile sessualità e non si rende conto di quanto
differenti siano dai propri. Era mio desiderio appunto far comprendere alle
buone mogli come la sazietà, il rigetto, l'usura del rapporto, le
sollecitazioni psicologiche, colpiscano più il maschio che la donna: questa
infatti ha la possibilità d'accettare il rapporto sessuale anche con livello
di eccitazione non ottimali, ma nel maschio è conditio sine qua non,
categorica, che l'eccitazione sia in ininterrottamente ottimale. Questa drammatica
differenza nella fisiologia dei due sessi può avere conseguenze disastrose per
l'unità della coppia quando, come nel libro, una temporanea impotenza
maschile, incompresa da una compagna egocentrica, inneschi desideri più o
meno coscienti di rivalsa o addirittura riattivi e liberi una latente, fino
allora repressa, ninfomania. Di tutto questo e d'altro ancora parla Torbidi
amorosi labirinti, la cui lettura insisto a consigliare anche alle gentili
signore di buona volontà. E mi si lasci fare un augurio di buona
fortuna a tutti quelli che vorrebbero lasciare confinata la poesia ad un vetero-impressionismo, simbolismo, ermetismo o alla descrizione di idilliaci
paesaggi o di propri effimeri stati d'animo che non toccano nessuno; e si
meravigliano o scandalizzano se qualcuno, chiamando le cose col loro nome,
mira di scavare negli abissi dell'animo e del corpo alla ricerca del Vero. | |
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