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Ricordando Eugenio Miccini
a due voci
Davide Argnani
Se vuoi essere poeta
Se
vuoi essere poeta
trasforma ogni dato
in
un predicato:
dal tuo gettarti
a
capofitto nel mondo
al
gettarsi del mondo
a
capofitto in te.
Eugenio Miccini è morto martedì 19 giugno 2007 a Firenze, sua
città natale. Giovedì 21 giugno, alle ore 15, nella Basilica fiorentina della
Santissima Annunziata hanno avuto luogo i funerali alla presenza di amici ed
estimatori. Ci eravamo conosciuti nel 1976 a Firenze, in occasione di mostre,
poi, insieme a Lamberto Pignotti, in occasione della rassegna di poesia visiva
“Originali” – Biblioteca Comunale Centrale di Firenze - alla quale ero stato
invitato a partecipare, rimanendo in contatto e in ottimi rapporti d’amicizia e
di collaborazione fino a pochi anni fa.
Eugenio Miccini
è nato a Firenze il 22 giugno 1925. Ha compiuto gli studi in Seminario
appassionandosi soprattutto alla Filosofia greca e alla Letteratura Latina,
influenza umanistica che caratterizzerà tutto il suo lavoro dagli anni ’70 in
poi; laurea in Pedagogia. Inizia una complessa attività di pubblicista e di
militanza letteraria, collaborando a varie riviste come Quartiere,
Letteratura, Il Menabò e pubblica alcuni libri di poesia lineare e
vince vari premi. È dal 1962 che inizia a dedicarsi alla poesia visiva e proprio
l’anno successivo, 1963, fonda a Firenze il “Gruppo 70” con Lamberto Pienotti e
Luciano Ori dando vita all’esperienza della Poesia Visiva in Italia. Da lì in
poi sono anni intensi caratterizzati da un forte impegno ideologico e
dall’organizzazione di mostre, spettacoli, dibattiti e pubblicazioni sulla
poesia visiva. Nel 1963, ancora a Forense, organizza il Centro Tèchne
pubblicando l’omonima rivista con i relativi ‘quaderni’ di poesia visiva. Poi
mostre e rassegne in Italia e in quasi tutti i paesi del mondo, con grande
successo.
Davide Argnani con Eugenio Miccini in Romagna
Qui mi soffermo
a dare testimonianza ricordando gli ‘avvenimenti’ realizzati insieme negli anni
‘80 e ‘83 in Romagna, con la collaborazione e la partecipazione attiva di Gian
Ruggero Manzoni, Carlo Marcello Conti e il contributo delle Istituzioni locali,
tra Forlì, Brisighella Imola e Lugo di Ravenna. E Ravenna è da ricordare anche
perché Miccini ha insegnato per diversi anni (1989 in poi) presso l’Accademia di
Belle Arti, lasciando un segno proficuo del suo insegnamento.
Mi piace
proseguire nel mio ricordo riportando un ‘riassunto’ degli incontri e delle
esperienze verificatesi a Forlì proprio nel 1980, all’inizio di una esperienza
didattica e culturale che qui in Romagfna si perpetuò fino al 1983, quando la
‘rivoluzione’ culturale e quella visiva della poesia si trovavano ai massimi
livelli storici, quando cultura significava ancora confrontarsi con la gente del
mondo. Tutto inizia il 3 maggio 1980 con:
Progetto 80 - Mostra di Poesia visiva a Forlì
Sabato 3 maggio
1980 a Forlì, un giorno di incontri al Centro Culturale ‘Nuovo Ruolo’ con
Eugenio Miccini alla Mostra di Poesia Visiva ‘Progetto80’ organizzato a cura di
Davide Argnani e Erio Sughi. Sul manifesto
della mostra stava scritto che sarebbe stato presente per l’intera giornata
EUGENIO MICCINI per parlare appunto dell’argomento.
Di lui nessuna
indicazione particolare: né la sua attività, né i suoi titoli, né la
provenienza. La gente che ha letto questo nome spesso è passata oltre, forse,
senza far caso; coloro che hanno visitato la mostra (numerosi) hanno certamente
avuto la possibilità di poter osservare alcune sue opere che spiccano fra le
altre per impegno ideologico e per capacità artistica. All’ora indicata si
presenta puntuale; persona dimessa, ma subito gran toscano.
Già da un’ora
erano presenti due classi del Liceo Scientifico di Forlì con alcuni loro
insegnanti che avevano percorso l’itinerario della mostra scrutando ogni pezzo
con interesse, o con ironia, o con stupore, o anche con incomprensione.
Eugenio Miccini
comincia subito a parlare agli e cogli studenti, per continuare poi nel
pomeriggio con un pubblico diverso, interessato e intenzionato a porre domande
ben precise. E sono ore di un parlare piano, lineare, chiaro, di vasta
competenza culturale, un parlare che percorre con confronti, citazioni,
chiarimenti, spiegazioni le ere culturali dell’umanità. Si sente subito che non
è un Intellettuale, cioè un trasmettitore di cultura, ma un uomo di cultura,
perché la cultura per lui si identifica con la vita e dalla vita trae gli
stimoli per ogni approfondimento culturale. La cultura nasce dalla vita e la
vita dalla cultura. La carne si fa cultura e la cultura si fa carne. È bandito
ogni esercizio intellettualistico.
Al centro di
tutto il discorso di Miccini c’è il concetto di ‘attualità’ della
poesia visiva e più in generale di ogni forma di espressione artistica. Nel
senso che ogni espressione artistica, per essere credibile e comprensibile, deve
essere profondamente ed intimamente legata alle forme culturali del proprio
tempo ed usare i mezzi espressivi che quella cultura e quel tempo offrono. Di
qui le conseguenze: che le reiterazioni, le memorizzazioni, le imitazioni, i
vari «neo», i recuperi degli intimismi sono gli esercizi spirituali di coloro
che vivono passivamente la realtà senza conoscerla o di coloro che del proprio
io fanno l’epicentro dell’Universo; che invece ogni momenti nuovo nell’Arte, e
nella Cultura in generale, parte da un azzeramento rispetto alla cultura
precedente. Ma è indispensabile conoscere bene «tutta» la Cultura precedente per
un nuovo assetto e per nuove proposte. Con ciò Miccini affronta un concetto per
affermarlo più volte nel corso del suo discorrere: la Cultura comprende tutte le
manifestazioni e le espressioni umane: le scienze esatte e il lavoro
dell’operaio, la filosofia e i movimenti del corpo, il lavoro del contadino e
l’attività politica. Questa visione globale della Cultura è tipicamente moderna,
epistemologica, e per molti versi rivoluzionaria: in primo luogo perché rompe e
respinge gli schemi tradizionali della competenza per materia e la concezione
feudale della detenzione del sapere; poi perché annulla il concetto di
specializzazione per competenza tipico delle civiltà fortemente industrializzate
e strutturate per oligarchie economiche.
Un discorso che
tende decisamente alla democratizzazione della cultura; un’indicazione di
metodologia culturale che impone al vero uomo di cultura di affondare lo sguardo
e l’intelligenza in tutti i settori della realtà del presente e in quelli del
passato che spiegano il presente.
Se il
discorso-dialogo di Miccini ha ruotato per molte ore attorno a questi perni,
esso non ha mancato di affrontare altri argomenti, man mano che l’occasione si
offriva, in modo comprensibile a tutti. Un momento di
incontro, questo, di discussione e di interpretazione non solo della poesia
visiva che ne ha offerto lo spunto, ma anche di altri fenomeni della realtà
culturale attuale; un momento di chiarificazione, piano e pacato, concreto e
preciso: un momento di ricerca.
Con Eugenio Miccini fra tesi e didattica
Anna Palma
Il nuovo
Se
volete il meglio
ad
azione persistente
praticate il nuovo
(la più prodigiosa
avventura dell’uomo).
Il
futuro fa gli onori di casa.
La
genuinità si chiama novità.
Investite anche voi con fiducia:
dove la città si rinnova c’è
una sicurezza in più.
Eugenio Miccini
ci ha lasciati, ma non tutto di lui è scomparso, ci resterà maestra la sua
Poesia Visiva e guida la stella rossa del suo Firmamento, “Sic erat in fatis?”
Tutto il suo repertorio artistico, non solo una consolazione, ma anche
un‘importante eredità culturale formativa!
Di lui, come mio
insegnante, ho dei ricordi guida molto intensi e significativi a partire dal
periodo in cui frequentavo l’Accademia. Era il 1989 quando nella Loggetta
Lombardesca di Ravenna, dov’era l’Accademia di Belle Arti, si udì la voce del
Direttore che il corso di Didattica delle Arti Visive sarebbe stato tenuto
dall’artista Miccini. Il mattino in cui stava per aver luogo la prima lezione
per noi studenti iscritti, lo incrociammo nel corridoio; aveva un aspetto molto
semplice ed esteticamente informale, contraddittorio alla figura del classico
professore. Subito dopo in aula ascoltammo la sua prima e piacevole lezione.
Miccini si
rivelò un professore eclettico per eccellenza e con grande carisma
comunicativo, sapeva coinvolgere noi studenti nella sfera emotiva-cognitiva
delle arti, curandosi umilmente dei nostri interessi culturali. Nello stesso
periodo, lo conoscemmo come artista, io in particolare mi cimentai in uno studio
su di lui, con una tesi alla fine del quadriennio accademico, dal titolo:
“Eugenio Miccini e la Poesia Visiva “, nella quale mettevo in evidenza la sua
poetica, sempre coerente con la sua personalità artistica, di giudizio
ideologico, critico-analitico, trasversale-multidisciplinare.
Un aspetto
interessante di Eugenio Miccini è infatti la modalità di indagine
interdisciplinare dei contenuti culturali, attraverso i mezzi linguistici di
parole e immagini come ricerca umanistica del divenire storico, raggiungendo un
risultato finale di “Super-Io” delle arti e delle sue Ideologie. In tutte le sue
opere, il fruitore coglie uno stato di perorazione nei significati ricavati da
una sintesi fra spazialità dell’immagine con la sua ambiguità, e temporalità
della parola con la sua logicità.
Miccini è stato
per ben quattro volte alla Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, invitato
dai critici più noti, Renato Barilli, Gianfranco Bettetini, Daniela Palazzoli,
Arturo Schwarz e da Bonito Oliva, nelle cui singolari occasioni ha presentato
alcuni temi stimolanti fra i gruppi di opere della sua produzione artistica, dei
collages delle “Definizioni”, dei “Rebus”, degli “Ex-Libris”, dei “Diagrammi”,
della “Poesia trovata”, di “Rizomata”, del “Piano regolatore insurrezionale”, di
“Eros ed Ares”, di “Poetri gest into life”, ecc. riconosciuto personaggio
importante di un’arte intelligibile e universale.
Miccini è stato
significativo per me; nella mia vita culturale un grande Maestro, seguito con
entusiasmo anche nel periodo post-accademico; l’ho visto operare direttamente
nelle rassegne degli spettacoli di Poesia Visiva, ricordo l’evento
internazionale dei Poeti Visivi nei Musei di Spoleto del 1995, dal titolo:
“Poesia Visiva e dintorni” (l’ultima Avanguardia), dove lui mi invitò rendendomi
partecipe in quel gruppo di performances. Mi ha reso partecipe in tante altre
sue occasioni di mostre personali e collettive, in altre città italiane, oltre a
quella dell‘ultima Biennale veneziana del 1993, in cui esponeva cinque opere
emblematiche, dai titoli: “Liber“, “Anche il silenzio è parola“, “Il mare,
romanzo“, “I segni in cerca di identità con le cose del mondo, scrivere è
un‘avventura“, “Rizomata“.
L’atteggiamento
di Miccini nei miei confronti è sempre stato quello di appagare una mia esigenza
continua di ricerca e formazione artistica e dal cui rapporto fortemente
empatico di maestro-discepola si sviluppò quel valore di un’amicizia profonda e
leale. Ho frequentato prima la sua casa di Verona, trasferitosi da Firenze
durante il periodo di insegnamento all’Accademia di Belle Arti di Verona, poi la
sua casa di Firenze; ho conosciuto la sua famiglia, il figlio Alessandro, il
quale è sempre stato al suo fianco, seguendolo nelle sue mostre e collaborando
in tante altre occasioni con lui. Miccini è sempre stato coinvolto nella mia
professione di insegnante, interessato all‘aspetto educativo-didattico nelle mie
ricerche dei laboratori artistici, scolastici ed extrascolastici con ragazzi e
bambini: in particolare al mio utilizzo (con metodo micciniano), di una
didattica interdisciplinare guidata dall’arte e di cui, le esperienze di Poesia
Visiva risultano le più efficaci e le più efficienti, come mezzo educativo, di
indagine (attraverso l’esperienza), di conoscenza e di apprendimento. Durante
l’occasione di un mio laboratorio organizzato nel carcere di Forli, di pittura e
Poesia Visiva, sortito poi nella mostra a Palazzo Albertini, nell’estate del
1995 e dal titolo: “La Pittura Attenuante”, richiamato dalla Custodia Attenuata
Tossicodipendenti, Miccini visitò i ragazzi, oltre alla mostra in cui emergevano
parecchi loro disagi. Propose loro di seguire un principio spesso ricorrente
nella sua Poesia, sollecitandoli all’esperienza dell’arte, come mezzo, arma,
attraverso cui combattere il sistema dei disagi individuali e sociali. In quella
occasione, ho potuto vederlo direttamente sotto il profilo di Educatore, nello
scuotere le coscienze di questi giovani caduti in trappola. Proprio il suo
profilo di Educatore e Guida, militante dell’arte d‘Avanguardia, connota tutta
la sua Poesia in un senso profondamente ideologico, etico-filosofico e al tempo
stesso estetico dell’esperienza, visivo-sensitiva, lasciandoci l’eredità
altamente fertile della Poesia Visiva, risultando uno strumento esemplare di
indagine attraverso cui giungere alla “coscienza” delle problematiche della
condizione umana.
(a cura di
Davide Argnani)
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