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La rinuncia: Jeanne Hébuterne artista incompiuta

Forse anche la genialità ha bisogno di tempo, non sappiamo quale vertice avrebbe potuto raggiungere il talento della pittrice francese Jeanne Hébuterne, moglie/compagna di Amedeo Modigliani sino a condividerne il sonno eterno, se ella stessa non vi avesse, a soli ventidue anni, rinunciato.

Jeanne Hébuterne

L'arte salverà il mondo dall'appiattimento ma non ha salvato taluni artisti dal sentimento di sconfitta, dalla disperazione.

Può derivare anche dall'anelito alla perfezione, riflessione presente in un saggio del filosofo russo Tzvetan Todorov dove vengono analizzate le problematiche di Wilde, Rilke e della Cvetaeva giunta al suicidio per un sentimento di smarrimento estremo. [T. Todorov, La bellezza salverà il mondo, tr. E. Lara, Garzanti-Saggi, 2010.]

Né l'arte ha salvato e salverà dall’ombra tragica di Eros, il dio alato non solo luce e vita, anche morte poiché sbocciato dall' "uovo pieno di vento della Notte".[Aristofane, Gli uccelli, in Commedie, tr. D. Del Cono, Mondadori, 2007, v. 693, p.301.] Un Eros/Thanatos di fronte al quale tutto retrocede, si azzera divenendo nullità, non solo l’arte, persino la sacralità dell’amore materno.

La forza misteriosa e crudele può quindi mandare in oblio l’interiore gancio della volontà di sopravvivenza in grazia dell’arte, portare a volere l'annullamento fisico dopo aver subito il pathos psichico.

Dalle ere arcaiche è stato così, né fa eccezione questa età ritenuta da Bauman "liquida" [Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza Roma-Bari 2003.] per effetto del lungo processo di liquefazione di quelli che il sociologo definisce i “corpi solidi” costruiti dalle precedenti società.

Nel presente tempo poi, di gran lunga più problematico sotto ogni aspetto, molteplici sono i motivi che possono portare a decidere di porre fine alla propria esistenza.

Quotidianamente rimbalzano notizie di suicidi, e anche su ciò si fa business, sulla cosiddetta morte assistita, ammessa in taluni Stati.

Dunque tanti i motivi, ma anche oggi è soprattutto la perdita dell'altro/a a determinare – lo testimoniano i fatti di cronaca- la decisione di rinunciare alla vita. Ed è posta in atto non solo nell'adolescenza, pure nell'età matura, indipendentemente dal desiderio di ricongiungersi all'amato/a nell' ‘oltre’.

Basti solo, a tal proposito, ricordare la decisione estrema del giornalista Lucio Magri, per il quale la vita aveva perso ogni senso dopo la morte della moglie Mara.

E’ arduo a ogni età sopportare la perdita dell’amato/a, ci vorrebbe la consapevolezza che la vita non è solo personale appartenenza, il coraggio di continuare in dolorosa solitudine a contare i giorni che bui seguono l'uno dietro l'altro, la speranza di scorgere comunque ancora una luce.

Non ebbe la forza di affrontare la perdita dell’amato Modì, Jeanne Hébuterne, la giovane pittrice nata a Meaux il 6 aprile del 1898, lo stesso anno di Matisse, tanto per ricordare qualcuno che ha nella pittura lasciato il segno.

Eros/Thanatos la sottrasse, a ventidue anni, non solo all’arte, anche al naturale amore di madre. Quel che era una ragione per vivere – rileviamo da Camus – [A. Camus, Il mito di Sisifo, Bompiani 2013.] divenne una ragione per morire.

Per il filosofo non hanno, contro il suicidio, valore gli argomenti etico-religiosi e sociali se la realtà diviene senza ragione.

E per Jeanne la vita aveva perso la sua ragione dinanzi al corpo del suo Modì rigido sul letto d’ospedale: era rimasta a guardarlo immota, come pietrificata, senza neppure toccarlo – secondo quanto riferirono i presenti – ed era andata via con brevi passi all’indietro, senza volgergli le spalle.

Scarse le pubblicazioni dedicate a lei, né, come nome a sé stante, è presente in enciclopedie e testi d’arte.

Opere di Jeanne Hébuterne

La sua produzione artistica fu, del resto, tenuta nascosta dalla stessa famiglia, quasi fosse stata, insieme all’unione con il Modigliani, anch’essa scandalo.

La scoperta delle opere, volutamente abbandonate, si deve ad un operaio che, aprendo la cantina dell’Atelier parigino di André, fratello di Jeanne, dopo molti anni le riportò casualmente alla luce.

Così in varie città e anche alla mostra al Palazzo Reale di Milano [Milano, Palazzo Reale, Amedeo Modigliani. L’angelo dal volto severo, 2003.] poterono giungere da Parigi, insieme a quanto era stato raccolto per osannare la genialità del pittore livornese maudit, anche le opere dell’artista rimasta in ombra.

A Jeanne Hébuterne si era dato per lungo tempo rilievo solo come la giovane moglie/compagna di Amedeo Modigliani a tal punto innamorata di lui da lasciarsi andare, dal quinto piano della casa paterna, all’indietro nel vuoto, appena un giorno dopo la morte del trentacinquenne Modì avvenuta il 24 gennaio 1920, nonostante fosse madre di una bimba e in grembo le vivesse un altro essere prossimo alla luce.

E’ per questa storia di amore e morte che la fanno presente nei libri su Modigliani; fra i tanti ricordiamo quello della figlia che venne chiamata Jeanne come sua madre.[J. Modigliani, Modigliani senza leggenda, Vallecchi Editore 1958.] Nata il 1918 a Nizza, dove la coppia era andata a vivere nella speranza che si ridimensionasse la crisi tubercolotica da cui era da molti anni affetto Modigliani, visse poi a Livorno presso i nonni paterni e fu adottata dalla zia. Morì il 1984 in seguito a una caduta mentre era a Parigi per la mostra celebrativa del centenario della nascita del padre. [Editoriale, La Repubblica, 29 luglio 1984.]

Fu instancabile nella raccolta di memorie paterne autentiche, nel sollecitare mostre perché al padre fosse dato il giusto riconoscimento che taluni avevano stentato a tributargli in vita.

E all’artista dalla vita turbolenta, del tutto fuori dalla normalità, “piccolo uomo”, come lo descriveva l’amico mercante d’arte Paul Alexandre, ma gran tomber de femmes, non poteva mancare neppure l’attenzione della cinematografia.

Ultimo della serie il film di Mick Davis [Nick Davis, Modigliani. I colori dell’anima, 2005, con Andy Garcia e Elsa Zylberstein.], con quell’incipit della protagonista nel ruolo di Jeanne Hébuterne : “Sapete cos’è l’amore, quello vero? Avete mai amato così profondamente da condannare voi stessi all’inferno per l’eternità?”.

Fu spesso difficile e turbolento l’amore di Jeanne per l’artista livornese che la ritraeva pallida così com’era nella realtà, e ne immortalava l’immagine trasfigurata da quella particolare linea oblunga dalla essenzialità espressiva ed elegante, occhieggiante, al modo di Brancusi, le forme primitive che ritroviamo nella sua arte scultorea

Ebbe quell’amore esito tragico, ma fu vero.

Jeanne Hébuterne ritratta da Amedeo Modigliani.

Dal ‘17 al ’20 per la Hébuterne tre anni di anni di passione, sofferenze e umiliazioni anche per i tradimenti che da parte di Modì non mancarono, e la facevano esplodere in litigi furiosi.

Ma Jeanne continuava ad amarlo come il primo giorno, quando aveva deciso di abbandonare la sicurezza famigliare per andare a vivere insieme allo squattrinato artista italiano con addosso molti più anni di lei, malandato in salute e per giunta dedito all’alcool (anche alle droghe a quel che raccontavano) provocando nei famigliari forte dissenso.

Non potevano di certo comprendere quell’amore i suoi genitori (forse la maggior parte dei genitori avrebbe avuto la medesima reazione), ebrei della media borghesia convertiti al cattolicesimo di cui erano divenuti fortemente osservanti.

Per essi una rovina la inclinazione artistica della bella figlia dai grandi occhi azzurri e dal volto pallido e delicato, cui faceva da cornice la lunga chioma castano chiaro.

Jeanne era stata dal fratello André, pure lui pittore, introdotta nella Comunità artistica di Montparnasse, dove Noix de coco –così veniva chiamata per il pallore del viso – divenne la modella di Tsuguharu Foujita, poeta e pittore giapponese, approdato anche lui a Parigi, ancora centro di fermenti culturali e artistici.

Fauvismo ed espressionismo nelle sue varie forme, cubismo e quanto avrebbe prodotto poi il futurismo in ogni parte d’Europa e oltre; e nomi di artisti che hanno lasciato la loro impronta: Cezanne, Touluse-Loutrec, Gauguin, Van Gogh, Kisling, Picasso, Utrillo, Jacob, Soutine, Balla, Carrà e tanti altri illustri pittori accomunati dall’amore per l’arte ma spesso pure da una vita disordinata, da maudit.

Jeanne era entusiasta, s’iscrisse anche all’Académie Colarossi che vantava artisti provenienti da tutto il mondo. Era stata fondata nell’Ottocento dall’italiano Colarossi con intenti innovativi, aperta pure alle donne, cui veniva permesso di ritrarre e scolpire anche nudi maschili.

Lì, nella primavera del 1917, conobbe Amedeo Modigliani che dalla natia Livorno era approdato stabilmente a Parigi, andando a vivere, come tanti altri artisti, al Bateau Lavoir, una specie di ‘comune’.

Lui l’avrebbe resa il suo più importante soggetto artistico, e lei, come recita l’epitaffio sulla sua tomba (quella che la famiglia, dopo molti anni dalla morte, consentì nel cimitero Père Lachaise dov’era sepolto Modigliani) sarebbe rimasta “devota compagna sino all’estremo sacrificio”, nonostante la povertà dell’artista che stentava ad avere il riconoscimento della sua arte, il carattere difficile, i tradimenti.

Jeanne Hébuterne viene, in film e nelle varie pubblicazioni su Modigliani, menzionata soprattutto per il sacrificio d’amore.

E’ così anche quando l’omaggio è rivolto soprattutto a lei, ad esempio nella canzone di Véronique Pestel e in quella di Patti Smith, la sacerdotessa maudit del rock.

Noi ci siamo potuti soffermare anche sul talento artistico di Jeanne Hébuterne, quando abbiamo visitato la mostra tenuta al Castello Svevo di Bari, [Bari, Castello Svevo, Amedeo Modigliani, Jeanne Hébuterne e gli artisti di Montmartre e Montparnasse (28 giugno-25 agosto 2003).] della quale era stato ottimo curatore scientifico Cristian Parisot.

Un talento che non ebbe, purtroppo, la possibilità di realizzarsi nella sua compiutezza, ma i segni appaiono.

A quella mostra in risalto erano stati posti Modigliani e gli altri artisti di Montmartre e Montparnasse a lui coevi, tra cui Picasso, Utrillo, Kisling e gl’italiani Balla e Carrà.

Ma era stato dato adeguato spazio anche alle opere ritrovate di Jeanne Hébuterne. Ritratti del padre e della madre, del fratello, dello stesso Modì; e in essi linea e colore appaiono in funzione della psiche del personaggio di cui si coglie – dallo sguardo, da certe ombreggiature e cromatismi del volto, dalla piega della bocca – la natura talora severa oppure enigmatica, ironica e tenera.

Particolari anche gli autoritratti, linea e cromie decise che sembrano risentire del tratto orientale di Tsuguharu Foujita negli elementi stilizzati, negli stacchi cromatici semplificati.

E poi certe nature morte che paiono desolate, come quella con scorcio di pianoforte chiuso e spartito aperto ma con candelieri vuoti, e nel vaso sul tavolo fiori non liberati dall’involucro di carta.

Ma è soprattutto Morte del 1919 a dare, in una dimensione quasi onirica, il presagio funesto, pur se immesso in cromie di luce.

Nel dipinto il tutto appare quasi in sospensione: il letto oblungo e asimmetrico con la figura immota dove unico segno è la lunga chioma, l’arredo con lo specchio che riflette in parte l’immagine della donna, la porta aperta su cui si staglia, da un fondo scuro – tale lo si percepisce anche dalla grata posta in alto –, una lunga figura talare con cappello.

Jeanne Hébuterne è autrice anche di disegni che furono, per fortuna, conservati dal fratello André.

Pochi significativi tratti rivelano anche in essi il suo talento.

Accenniamo all’autoritratto con chignon alto: la figura, centralizzata, è seduta sul letto con un abbigliamento invernale, occupa tutta la scena mentre gli elementi di arredo non hanno spazio per una visione completa.

In un altro disegno Modigliani, cappello e giacca sulle spalle, è seduto a un tavolo con sopra lume e candela, coppa e occhiali. L’artista appare intento a disegnare con la mano sinistra.

E ci sono i nudi femminili, tanti perché La Hébuterne amava rappresentare la figura femminile, anche la propria. Brevi ma significati segni come in un autonudo del 1918.

La Hébuterne era, come i tanti artisti che frequentava, ormai lontana, in una maniera tutta sua, da quella pittura en plein air che aveva caratterizzato l’impressionismo, riflesso di una natura colta nella diversità della luce, e anche di scene di vita della società borghese paga delle piccole cose.

La giovane artista viveva pure lei il mutamento in forma propria, lasciandosi sedurre dall’esperienza emozionale, dalla incisività del segno, da un cromatismo accentuato.

I suoi quadri venivano apprezzati anche all’Académie Colarossi, cosa rara in un ambiente che, nonostante le aperture, era considerato ancora maschilista.

Eros/Thanatos la sottrasse all’amore di madre, all’arte.

La perdita di Modì, per lei insopportabile, le fece scegliere la soluzione estrema, senza ritorno.

Amor omnia vincit, anche gli affetti sublimi, pure l’amore per l’arte, la vita.

Ma vogliamo ricordare la riflessione con cui Vladimir Majakovskij chiude la poesia dedicata a Sergej Esenin suicida: “In questa vita non è difficile morire / vivere è di gran lunga più difficile”. [V.Majakovskij, A Sergej Esenin, in Poesie, BUR 2008.]

Purtroppo anche Majakovskij avrebbe poi deciso il volontario rifiuto della vita.

Nessuna sorpresa: l’essere umano è mutevolezza, enigma anche a se stesso.

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