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La riflessione poetica
pubblicazione
e autore non rintracciabili
Veniero Scarselli, tu hai avuto una formazione
scientifica e hai fatto ricerca attiva por diversi anni; che rapporti credi
intercorrano nella tua opera fra queste due culture, quella della poesia e
quella scientifica?
Più che gli studi universitari, che sono studi
informativi, contano per la costituzione della personalità gli studi formativi
dell'adolescenza, il liceo; e anche una certa disposizione a rapportarsi alle
cose, innata o acquisita precocemente, che comunemente viene detta
"umanistica". Posso dire che la mia formazione e disposizione naturale
sia stata da sempre quella umanistica; e di aver sentito l'impulso a esprimermi
con la poesia da quando ho imparato a leggere e scrivere. Ma maturando sono
stato attratto anche dai problemi esistenziali, soprattutto dalla natura così
misteriosa della vita; ardevo di avvicinarmi alla comprensione della materia
vivente, a quell'intrigante, oscuro, impenetrabile fenomeno che è il passaggio
dal mondo inorganico a quello organico, dal regno della vita a quello della
morte. Nella mia ingenuità di adolescente, credevo che la scienza fosse
depositaria di quelle verità, o almeno che fosse la strada maestra per avvicinarsi alla conoscenza di quei misteri. Non mi rendevo
conto che questo mio approccio alla scienza era in realtà un approccio meramente
umanistico, per non dire mistico, per non dire poetico. Ho capito più tardi che le
risposte a quegli
interrogativi, se pure ci sono, non possono scaturire dalla ricerca scientifica, che oggi è fatalmente specialistica e
utilitaristica. Forse ai suoi albori rinascimentali, quando ad esempio
l'invenzione del cannocchiale o del microscopio apriva inimmaginabili meraviglie
di mondi a chiunque vi si avvicinasse, l'occhio stupefatto dell'uomo poteva ancora godere
di un atto poetico di emozione cretiva. Adesso la ricerca scientifica è tutto
fuorché fine a sé stessa, anche la cosiddetta ricerca di base; tutto è arido
calcolo, programma, tornaconto economico, complicatissima tecnologia,
complicatissimo farraginoso sapere, complicatissimi (e per questo soggetti ad
errore) noiosissimi esperimenti, misure, osservazioni, ripetuti ossessivamente
da equipes dopo infinite discussioni collettive, in mezzo a cui l'estro
dell'individuo creativo si spegne inesorabilmente. Tutto questo, col risultato
di portare infine al Sapere soltanto piccoli, insignificanti, effimeri
contributi che, agghiacciante beffa, sono subito condannati a essere obsoleti e
annullati dal cosiddetto progresso delle ricerche e a non dare quindi certezza
alcuna. Lo scienziato di oggi è perversamente imprigionato in questa morsa
specialistica, senza il conforto di alcuna illuminazione umanistica né
tantomeno quello di contemplare un più vasto orizzonte o significato, una
qualche verità universale; esattamente come un triste operaio in una triste
fabbrica. Solo dopo molti anni di calvario nelle celle anguste ma dorate di
laboratori-bunker dalle luci al neon e dall'aria condizionata, affratellato con
i suoi stessi infelici topi da esperimento, tenuto in vita solo dalla droga
illusoria del prestigio sociale e del superomismo, qualche fortunato può
liberarsi, andare ormai vecchio in pensione, aprire la mente alla riflessione
sui significati di ciò che la sua scienza ha conquistato. Io me ne sono fuggito
in tempo per rifugiarmi in questo eremo, in cui posso dar sfogo alla sete di
umanesimo e dedicarmi a ciò per cui mi sento nato: la riflessione poetica.
Va da sé che non rifiuto gli aspetti umanistici del sapere
scientifico, anche se oggi siamo tutti consapevoli della sua labilità,
parzialità e incertezza; tuttavia troppo alto è il prezzo che si paga per
acquisire così poco. Devo comunque riconoscere che questo bagaglio, anche così
incerto, di nozioni e di idee ha profondamente influenzato la mia poesia, come
la mia concezione del mondo, aprendo la mente su nuovi orizzonti e problemi
esistenziali, allargando la sfera della riflessione; ma anche abituando
l'occhio ad osservare la vita nella sua cruda e spietata corporalità, senza
veli, addolcimenti, pudori e illusioni metafisiche. E tuttavia non si è ancora
attenuato il bisogno di Dio ed il senso del sovrumano, che sono certamente
innati nell'uomo e che affiorano, fatti più maturi e consapevoli, costantemente
dalla mia poesia. Sotto l'aspetto umanistico si può dire, anzi, che nessun altro
studio sia altrettanto importante per la formazione della maturità della mente
quanto quello delle discipline naturalistiche.
Che cos'è la riflessione poetica di cui parli?
Crollate le illusioni di un "sapere scientifico" fisso e certo, la
poesia resta l'eterna ed unica fonte in grado di dissetare gli uomini, il solo
strumento di conoscenza capace di perforare il muro della realtà superficiale
fornendo rappresentazioni intuitive del mondo, che io sono solito chiamare
verità poetiche . Non interessa che esse siano verificabili (anche se talvolta
lo potrebbero) poiché la loro verosimiglianza è già un fatto appagante, come
fossero verità. Questa forma di conoscenza primaria, prelogica, ha dunque
dignità di conoscenza del Vero, almeno al pari della filosofia e e della scienza; fare poesia significa lasciarsi penetrare
dalla speranza di una verità che sai di non poter mai raggiungere con la
ragione, ma che puoi contemplare con la "mente poetica"; è, in fondo, come
lasciarsi penetrare dalla speranza di Dio. Ecco dunque cos'è la riflessione
poetica: un'esplorazione del mondo fatta con lo strumento della poesia, cioè con
un insieme articolato di verità poetiche, assorbite in un costrutto logico carico di significato e finalizzato
alla ricerca del Vero.
In quali forme si attua questa tua ricerca del Vero?
Pur non volendo respingere aprioristicamente la forma del frammento
come effimera isolata intuizione destinata per lo più a seccarsi, io penso che
questa ricerca si realizzi più efficacemente e convincentemente quando è nutrita
da una riflessione, da un_discorso, da una storia più ampia che formi
un'architettura unitaria, finalizzata alla trasmissione di cultura. Questo
concetto di "finalizzazione" dell'opera del poeta porta decisamente in sé (e qui
risiede secondo me, crocianamente, l'essenza della vera poesia) una valenza
morale, una "armonia cosmica": il libro di poesia deve avere una sostanza
morale unitaria, capace di legare insieme, dando loro senso e significato, tutte
le singole verità poetiche che lo compongono e che hanno forma di versi,
immagini, intuizioni. Solo così il poeta si può salvare dalla malattia
dell'autobiografismo, quest'egocentrica e ossessiva ricerca della propria
personale e particolare verità {quasi sempre incomprensibile agli altri e
condannata fin dai tempi di Croce) che oggi si spinge fino alla vuota e
parossistica ricerca di immagini fine a sé stesse, messe insieme
funambolicamente per barocca volontà di sbalordire, e che si traduce
nell'inconcludente ed effimero frammento. E' ripugnante pensare di passare la
vita a scrivere frammenti per fissare le proprie personali e inconsistenti
fuggevoli sensazioni o allucinazioni, evitando così l'impegno morale di
coordinarle in una riflessione di carattere universale e presumendo anzi
ch'esse interessino il nostro prossimo, mentre non lasciano per lo più alcuna
traccia durevole e non sollecitano alcuna profonda emozione. Solo attraverso
l'impegno morale di un libro colmo di significato si esprime (e si misura) la
statura morale del poeta e si rende verosimile e universale la sua esperienza e
la sua riflessione. Perciò l'unica possibilità che ha oggi la poesia di tornare
ad essere credibile ed uscire dal ghetto degli iniziati che si leggono soltanto
fra loro, è di dedicarsi, senza vergogna e senza timore d'andare
controcorrente, al recupero della sua dignità e precisamente di quella figura
morale di saggio, di maestro, di veggente che era, nei tempi andati, il Vate.
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