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Interviste d'autore: Gabriele Astolfi
blog: dantebus.com
Secondo il pittore Paul Klee l'arte non riproduce ciò che è visibile, ma
rende visibile ciò che non sempre lo è. La scrittura del profondo autore Gabriele Astolfi, infatti, costruisce parola
dopo parola, passo dopo passo una scala per il paradiso che possa ricongiungere
la terra al cielo. Questo è possibile perché l'autore ha la capacità di vedere
oltre, al di là della linea dell'orizzonte e dei limiti spazio temporali.
I racconti che ha
presentato nella collana Vele hanno un protagonista in comune: il migliore amico
dell’uomo. Come mai ha scelto proprio questi due testi?
“Questi due racconti hanno come protagonista, nel primo, e coprotagonista, nel
secondo, il miglior amico dell’uomo. Li ho scelti perché mi piacciono e sono
della lunghezza giusta per lo spazio che mi è stato riservato. E sì, anche
perché all’interno di ognuno si parla, in tutto o in parte, di cani. Mi piace
scrivere, oltre che di tutto il resto, di questi quattro zampe che sentiamo così
vicini e amiamo e ci amano in modo sviscerato, ci sono di compagnia e di
conforto, di sprone e spesso di esempio, comunicando con noi attraverso le
infinite sfumature non solo della voce ma pure del muso, del corpo, della coda.
E noi percorriamo con loro la strada della vita, consapevoli, pur nelle
differenze, che il nostro destino è anche il loro. Basta guardare negli occhi il
proprio animale domestico – io dico il mio cane, qualcuno può dire il suo gatto
– per ritrovarvi un lampo di eterno, il legame indissolubile fra la nostra anima
e la loro, e la certezza che la morte non precluderà il ritrovarsi in un altro
mondo per un’altra vita.”
Nella sua carriera
artistica ha già alle spalle varie pubblicazioni. Quali emozioni prova ogni
volta che tiene in mano un suo libro?
“Tenere in mano un proprio libro è un’emozione che dà un senso di appagamento ma
anche di frustrazione. Di appagamento perché è come stringere una propria
creatura, il frutto di un parto col quale, parlando di tutt’altro, parliamo di
noi. Un’entità che ha una vita propria e un proprio respiro, che fa parte della
nostra vita ma vive anche di vita autonoma. Si dice che uno scrittore, in ogni
storia che racconta, parli di sé, delle proprie paure, delle proprie nevrosi,
dei propri sogni. È vero. Nella misura in cui paure, nevrosi e sogni sono quelli
di ogni uomo e ogni donna e cambiano a seconda del tempo e dei momenti, e sono
sempre uguali e diversi. Ma, accanto all’appagamento, c’è anche un senso di
frustrazione per non aver fatto abbastanza per divulgarlo, averlo fatto leggere
il più possibile. Perché è per questo che si scrive, per essere letti. Anche per
sé, per un bisogno interiore, ma soprattutto per condividere una storia coi
possibili lettori. Perciò tenere in mano un proprio libro è stringere una parte
di sé che ne è uscita per vivere di vita propria, un’opera che, da un certo
punto di vista, ha un compito da assolvere che è un’emozione da trasmettere e,
se non viene letto, non lo assolve. Da un altro punto di vista, invece, un
proprio libro è qualcosa di definitivo, di conchiuso, di passato a miglior vita,
di morto, se mi si passa la battuta, con la sua storia e la sua emozione.”
In che momenti si
dedica alla scrittura? Ha mai avuto il famoso “blocco dello scrittore”?
“Quando lavoravo, e da quando ho cominciato a scrivere, scrivevo la sera, per il
tempo in cui reggevo – a volte poco -, e nel fine settimana. Ho sempre avuto
l’abitudine di fare qualcosa dopo il lavoro. All’inizio è stato portare a
termine gli esami che mi mancavano alla laurea, poi corsi di filosofia presso
l’Istituto Domenicano di Bologna, un corso di teatro e la recitazione decennale
in una compagnia di teatro dialettale, altri corsi e rappresentazioni di teatro
in lingua, il volontariato con un’associazione di Bologna che segue i bambini
malati di tumore e leucemia e, infine, la scrittura, che oggi è la mia passione.
Ora che non lavoro più, la mia passione è diventata il mio lavoro. Quanto al
“blocco dello scrittore”, l’ho avuto in passato, in certi frangenti o certi
passaggi ce l’ho ancor oggi e sono sicuro che l’avrò in futuro. Credo sia
qualcosa da cui si fatica a sfuggire. Come si vince? Scrivendo. Se non viene
quello che si vuole scrivere, si scrive altro; se non viene l’inizio di un
racconto o un romanzo, si scrive il seguito o la fine, e l’inizio si recupera.
L’importante è scrivere con continuità, o meglio con regolarità per il tempo di
cui si dispone; i blocchi si superano.”
Ha dei riferimenti
letterari? Qual è il genere che preferisce?
“Non ho riferimenti letterari precisi, credo di non ispirarmi a nessuno. Ho
autori che mi piacciono, faccio un nome italiano e uno straniero, Erri De Luca e
Friedrich Dürrenmatt. Quanto ai generi, non ne ho uno che prediligo. Sono un
lettore onnivoro, mi piacciono i gialli, i noir, i romanzi di formazione, quelli
umoristici e perfino certi saggi. Mi piace leggere ma, ancora di più, mi piace
scrivere.”
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