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La grande caduta: dal Super-Uomo al Super-Io
intervista a Rossano Onano
Vernice nr. 46-47/2012
Caduto nel pozzo nero .
Una sola idea è la povertà . Spazio-qualità e perdita della realtà in Eugène
Minkowski . Tra d'Artagnan, Don Chisciotte e il barone di Mubchausen . Il
Super-Io è Ettore, l'Es è la nave, il Super-Uomo è Ulisse . L'eroe epico difende
l'esistente – L'Io guida il cavallo bianco e quello nero . Il fascino
dell'abnorme . Da Carducci a Caproni . Viaggiatore cerimonioso: in treno o sul
cocchio di Platone?
L'incontro con Rossano Onano
era nella logica delle cose poetiche già da tempo: era un fatto
letteraria-mente già acquisito prima ancora di essere realizzato: Lui è un
medico specialista in psichiatria di chiara professionalità, ma, ancora di più,
egli è noto come scrittore, saggista, critico letterario, poeta. Le due
condizioni coabitano nella sua personalità con un naturale bisticcio di
concordanze disarmoniche e affini. Non è una cosa diversa da quanto accade in
tutti gli altri scrittori, le cui personalità sono più sovente un intreccio di
calamitanti contraddizioni che non di armoniche consequenzialità. In Onano
l'analisi dei processi mentali è sempre l'ubi consistam della cultura poetica,
che è emozione abnorme e abuso espressivo , manifestato sempre oltre il confine
della normalità. La scrittura poetica è, dunque, il caso abnorme: lo è
volutamente e consapevolmente. Anzi, la scrittura poetica è il caso deforme,
per il noto aforisma secondo il quale la deformità è l'icona più
rappresentativa della norma. Tra gli autori italiani più accreditati dalla
critica e dal pubblico, Rossano Onano, che coniuga sempre la poesia con la
psicopatologia – tra divertimento e mestiere – ha compiuto per gli abbonati di
Vernice una mezza risalita al Cranio, fermandosi all'ottava
stazione, che, nel Vangelo, è quella in cui Cristo si incontra con le donne.
Sandro
Gros-Pietro
Prima stazione: La
risalita all'origine, coniugazione del passato remoto, il tempo della venuta al
mondo
Sono nato a Cavriago
di Reggio Emilia nel 1944. Il nonno mi raccontava, e per la verità non soltanto
il nonno, che a Cavriago era alloggiato il quartier generale di Kesselring, e
che il paese per questo fu bombardato con particolare puntiglio dagli aerei
alleati. In seguito ho letto l'autobiografia di Kesselring, che mai e poi mai
cita Cavriago. La faccenda del quartier generale corrisponde evidentemente a una
leggenda paesana. Fatto è che i bombardamenti furono violentissimi, tanto che la
famiglia trovò rifugio in campagna, ospite di una famiglia amica di contadini.
In campagna siamo rimasti per qualche tempo dopo la Liberazione, in attesa che
le acque si calmassero un poco.
In campagna rischiai di
annegare cadendo in un pozzo nero.
Sfuggito a una morte così
disonorevole, la famiglia tornò a Cavriago dove rimasi fino alla seconda
elementare. Fino a quando mio padre fu comandato in Somalia, allora sotto
l'amministrazione fiduciaria italiana. A Mogadiscio sono rimasto fino alla
conclusione della terza media. Ho vissuto una straordinaria esperienza di
integrazione razziale, quando il problema non si poneva essendo la faccenda, in
quel luogo, del tutto naturale. Specialmente i bravi ragazzi dell'esercito
italiano si davano da fare per l'integrazione con le bellissime ragazze somale,
e le bellissime ragazze somale erano ben liete di integrarsi. Le più integrate
vestivano all'europea, e gli indigeni le chiamavano sciarmutte, che significa
puttane ma senza connotazione spregiativa, un po' come i greci dicevano etera, i
giapponesi geisha e noi oggi, sogghignando un po', diciamo escort. Miei compagni
di scuola erano per metà italiani, l'altra metà somali arabi pakistani ed ebrei.
I musulmani non frequentavano la scuola nel giorno di venerdi, e gli ebrei nel
giorno di sabato. La maestra, che era una suora, nulla trovava da ridire.
La formazione del Super-Io
era affidata a modelli ancora patriottici e piuttosto guerreschi. All'esame per
l'ammissione alla scuola media dovevamo portare le schede di dieci benefattori
dell'umanità, e di dieci eroi. Gli erai appartenevano quasi tutti all'epica
risorgimentale: Garibaldi, Mazzini, Cavour, Vittorio Emanuele II, Pio IX
spacciato per simpatizzante dell'unità d'Italia, Silvio Pellico, Enrico Toti e
incredibilmente Francesco Baracca. Gli altri due erano Carlo Magno e Napoleone.
In virtù di questi studi, da ragazzino pensavo che per essere un uomo degno di
questo nome non ci fosse molta scelta: bisognava inventare qualcosa per il bene
dell'umanità, oppure farsi guerriero sul campo.
Alle medie si studiava
l'Iliade nella tradizione di Vincenzo Monti. Era uno spasso. A un certo punto un
eroe dice all'altro: quale parola ti uscì dalla chiostra dei denti?, che non è
precisamente un endecasillabo e forse mi sbaglio, fatto è che tale e quale lo
usavamo nelle dispute verbali. Un ragazzino diceva all'altro: Quale parola ti
uscì dalla chiostra dei denti? L'altro rispondeva: Dalla chiostra dei denti mi
uscì questo e poi anche questo. Un compagno di classe somalo, che di nome faceva
Hassan, si chiedeva come mai gli italiani rovinassero Omero in questo modo.
Diceva anche che da grande avrebbe tradotto l'Iliade in lingua somala, senza
ricorrere a frasi tanto ridicole.
Il mio compagno di classe
preferito era ebreo, forse polacco perché di cognome faceva Hendel. Suo padre
vendeva articoli di artigianato locale, specialmente avorio. Quando mio padre fu
richiamato in Italia, si recò per acquisti nel negozio di Hendel e scelse uno
stock di oggetti. Hendel scriveva i singoli prezzi a mano su un foglio, alla
fine fece la somma, stretta di mano, il foglio è consegnato a mio padre che lo
porta al commesso alla cassa. Il commesso si accorse che il signor Hendel aveva
commesso per distrazione un errore nel fare di conto, la somma risultante era di
parecchio inferiore al valore effettivo della merce. Il commesso avverte il
signor Hendel. Il signor Hendel risponde: ho parlato, e ho stretto la mano, il
signor Onano deve pagare solo quello che ho scritto. Esclusi i guerrieri e i
benefattori dell'umanità, il signor Hendel è stato il primo eroe civile di cui
abbia avuto conoscenza.
Seconda stazione: Una
vita e una professione, quella del medico, e la discrasia tra il nobile sogno di
curare i malati e la cruda realtà di visionare i mutuati
La discrasia non
riguarda la psichiatria pubblica. Quando uno psichiatra deve prendersi cura di
un paziente nevrotico, deve trattare un conflitto che riguarda le istanze
pulsionali da una parte, e le censure superegoiche dall'altra. Personalmente, in
questi casi cominciavo trasmettendo al paziente un dato di fatto: lei ha due
idee che fanno a pugni fra loro, quindi è una persona ricca; i matti sono una
cosa diversa, hanno un'idea sola, sono poveri. A volte, un'impostazione di
questo tipo ha effetti positivi sorprendenti. Se, al contrario, il paziente è
affezionato, narcisisticamente, alla sottigliezza del proprio conflitto, allora
non c'è niente da fare, lo psichiatra ricorre agli psicofarmaci per
addomesticare l'ansia, e le cose filano via abbastanza tranquille.
Il fatto è che i pazienti
nevrotici per la massima parte non ricorrono alla psichiatria pubblica. I
Servizi di Salute Mentale sono distaccati dalla sede ospedaliera, gestiscono le
strutture di ricovero coatto per i pazienti psicotici, sono insomma servizi che
i nevrotici non frequentano volentieri. I medici psichiatri della struttura
pubblica, del testo, per interesse personale e formazione non considerano le
nevrosi come campo principale dei loro interessi. Il paziente della struttura
pubblica è lo psicotico, inconsapevole della sua malattia e quindi refrattario
ai ritmi e alle procedure della medicina mutualistica.
Se posso raccontare il mio
impatto con la psichiatria, devo dire che lo zio, fratello di mio padre, a
partire dagli ultimi anni di guerra era ospite perpetuo del manicomio di Nocera
Inferiore. Il papà non ne parlava. Quel poco che sapevo mi era stato detto dalla
mamma: durante la guerra, in Grecia, lo zio aveva tagliato in due, come un
cocomero, la testa di un soldato nemico, rimanendone sconvolto. Assalti all'arma
bianca, nell'ultima guerra, non erano cosa corrente. Pensavo fra me che si
trattasse di una bugia, pronunciata dalla mamma per conferire dignità alla
follia del cognato. Al ritorno dall'Africa, a sedici anni, senza dire nulla in
famiglia ho preso il treno per andare a Nocera, a trovare lo zio.
Il direttore del
manicomio era sorpreso, mi considerò un po' prima di darmi il permesso di
parlare con lo zio, alla presenza di un infermiere. Lo zio si presentò al
colloquio nella sua divisa da ricoverato, come si usava allora, e l'incontro con
lui fu per me sorprendente. Io non l'avevo mai visto, né lui aveva mai visto me.
Sei il figlio di Renato?, come sta Renato?, e Modesto?, e Orsolina?, e Olghetta?
Non chiede di Gianni, il fratello marinaio morto in guerra nel Mediterraneo.
Segna che sapeva. Nessuna commozione, nessuna richiesta. Fino a quando lo zio
portò il discorso sulla casa di famiglia a Isili, e ne parlò come un poeta.
Nella nostra casa, diceva, anche un filo d'erba che spunta dai mattoni è segno
di vita, è la tua storia che si arrampica. Io ero incantato. Fino a quando lo
zio, improvvisamente, mi tese la mano per congedarsi, aveva altri interessi cui
dedicarsi. No ci avevo capito granché, salvo la confusa percezione di ciò che in
seguito appresi essere il segno distintivo della schizofrenia, la dissociazione
ideo-affettiva, la parola che racconta l'emozione senza che l'emozione
corrisponda. E' stata la più grande lezione di psichiatria, sul campo, che io
abbia ricevuto.
A Reggio Emilia, sono stato
il primo psichiatra dislocato dal manicomio al Centro di Salute Mentale sul
territorio. Si chiamava Consorzio, ed era diretto da Giovanni Jervis, costola
dissociata di Basaglia. L'idea portante del Consorzio non era quella di rendere
i matti idonei al consorzio civile, ma quella di rendere il consorzio civile
idoneo alla comprensione dei matti. I corsi di formazione riguardavano i testi
di antipsichiatria, Laing e Cooper. Io preferivo la scuola
umanistico-esistenziale, Rogers e Minkowski, facendo attenzione a mantenere per
me una preferenza di questo tipo. Gli psicotici, come oggi, non andavano al
Servizio. Era il Servizio, come oggi, a visitare gli psicotici nella loro
abitazione. In una delle mie prime visite, ero accompagnato da un infermiere di
lungo corso, dal quale ho ricevuto la seconda lezione più importante della mia
vita, dopo l'esperienza con lo zio. In una casa contadina, un padre psicotico
emetteva peti, e il figlio psicotico spalancava le finestre per non morire
asfissiato. Il pare psicotico ribatteva che le finestre non si potevano aprire
perché, essendo gennaio, lui sarebbe morto di polmonite. Padre e figlio si
illuminarono in volto, non ci avevano pensato, incredibilmente il conflitto era
risolto, almeno per quel giorno. Da quella lezione ho imparato che gli psicotici
cavalcano ciascuno, irrinunciabilmente, una sola idea. Altro che le
sofisticazioni nevrotiche. Per affrontarli occorre adottare i loro stessi
meccanismi ideativi, volare basso.
Terza stazione: Il
sogno della letteratura e la chiave a stella della psicologia. La psicologia
come arnese che apre le scatole chiuse della letteratura o meglio: la psicologia
come esplorazione della seconda faccia della luna, quella che non si legge mai
nei libri.
Nella storia delle
conquiste dell'uomo, prima vengono gli esploratori, dopo i cartografi. Lo stesso
è avvenuto per lo studio della psiche e del comportamento dell'uomo. Gli
esploratori hanno studiato i meccanismi mentali patologici, e solo
successivamente i cartografi della psicologia hanno tracciato, per definizione
contraria, la mappa del comportamento normale. Minkowski stabilisce che la
schizofrenia è contrassegnata dalla frattura del contatto vitale con la realtà.
Lo zio di Nocera, che parlava come un poeta senza provare fremiti di fronte al
dato reale di un nipote mai conosciuto che si avvicinava a lui, era
schizofrenico. La psicologia, dopo Minkowski, definisce che il tratto ontologico
dell'uomo è quello di oscillare, come una canna, al vento della realtà
contingente che lo investe.
In letteratura, è avvenuto lo
stesso. Achille, il primo eroe della letteratura occidentale, aveva scatti d'ira
che già i commilitoni omerici, per quanto avvezzi ad assecondare le pulsioni
dell'Es, giudicavano abnormi. Lo stesso Achille, d'altra parte, restituisce a
Priamo il corpo di Ettore, compiendo il primo atto di una pietà inusitata, che
l'etica dettata dagli dei olimpici non richiedeva affatto.
L'altra faccia della luna del
comportamento umano è l'approdo all'identità profonda dell'uomo. Da quando Zeno
combatte con le sigarette, e Gregor Samsa combatte con gli scarafaggi, la chiave
di lettura riferita all'uomo non è la psicologia, ma la psicopatologia. Chi
descrive i comportamenti normali, ad esempio l'amore giovanile con tanto di
lucchetti a Ponte Milvio, compie un'operazione piacevole, ma è un cartografo che
nulla dice di nuovo. L'altra faccia della luna è così, ha vette e precipizi.
Quarta stazione: L'incontro dei classici, la citazione di uno o due o tre classici di fronte ai
quali la chiave a stella della psicologia è uno strumento inutile, perché il
panorama che essi aprono è tutto “davanti al paesaggio”, tanto per fare polemica
con “dietro il paesaggio” di Zanzotto: l'universo squadernato nel trionfo delle
metafore
Mah, quando il panorama è
tutto “davanti al paesaggio”, a me sembra che l'universo poco dica di
interessante. In ogni caso, classici che non richiedano l'uso della psicologia,
meglio ancora della psicopatologia, io non ne ricordo. Il primo classico che ho
letto, all'età in cui mi dedicavo ancora ai fumetti, è stato Dumas, I tre
moschettieri. Nei giochi di identificazione, sceglievo Aramis, e la cosa
avrà pure un senso. Aramis è un personaggio straordinario, fatuo e complesso,
correva dietro tutte le gonnelle e nello stesso tempo sognava di farsi prete.
Dumas è stato importante nella formazione del Super-Io. D'Artagnan arriva a
Parigi e s'inguaia, è sfidato a duello dai tre moschettieri, uno dietro l'altro.
Sopraggiungono le guardie del Cardinale, che sono cinque. D'Artagnan si schiera
allora con i moschettieri, per la semplice ragione che questi sono tre contro
cinque. Le anime generose, spiega Dumas, si schierano sempre con la parte più
debole. Questo imperativo mi è rimasto. Senza sfidare a duello nessuno, perché
non si può pretendere.
L'altro classico decisivo è
stato il Don Chisciotte, letto quando già mi interessavo di psichiatria.
Cervantes descrive l'hidalgo mantenendo un equilibrio magistrale fra l'empatia
sentimentale e la censura del comportamento. Esattamente l'atteggiamento che uno
psichiatra deve avere verso gli psicotici. Cervantes è stato il mio principale
testo di psichiatria.
Ci sono poi due autori che mi
hanno procurato una gioia particolare. Uno è Erodoto, che racconta le sue storie
come si raccontano le favole ai bambini, straordinario, ancora oggi lo apro a
caso, e leggo qualche pagina. Erodoto descrive l'oggettività in modo
consapevolmente favolistico. Come dire: “dietro il paesaggio”, fate voi. L'altro
autore è Cellini. Ecco, Cellini è l'archetipo esatto di cosa sia il super-uomo,
interamente versato a realizzare le proprie pulsioni. Certo, quando decapita con
un colpo di cannone il generale dei lanzichenecchi sembra di leggere il Barone
di Munchausen. Ma un superuomo che sia provvisto di senso della misura non si è
mai visto.
Quinta sezione: Il
tema del n.° 46 di Vernice, cioè il questionario dal titolo La grande
caduta: dal super-uomo al super-io.
Chi fa le domande dà per
scontato che chi risponde adotti il suo stesso codice di riferimento. Qui, i
codici usati sono due. Super-uomo è colui che rigetta la convenzionalità e la
legge, è termine coniato da Nietzsche, e appartiene alla filosofia. Super-io è
termine coniato da Freud, e appartiene alla psicologia analitica. Nietzsche e
Freud avevano in comune l'interesse per Lou Andreas Salomé, per il resto non si
beccavano affatto. Nella psicologia analitica, Freud attribuisce all'Io una
funzione dinamica, di mediazione fra le istanze pulsionali (Es) e le censure
morali culturalmente imposte (Super-Io).
La teoria di Freud sembra
chissà che cosa, ma corrisponde in fondo a Platone, il mito dell'auriga. Sul
lato sinistro della biga c'è il cavallo nero degli impulsi, bello e irascibile (Es).
Al lato destro il cavallo bianco della ragione, che corregge la forza irascibile
del cavallo nero (Super-Io). In mezzo, l'auriga (Io), che di volta in volta
allenta o frena le redini del cavallo nero, o del cavallo bianco.
Lo schema di Freud è molto
comprensibile e quindi funzionale, ma forse semplifica troppo le cose. Il signor
Hendel, l'ebreo che sbaglia i conti ma non li corregge perché ha dato la sua
parola, obbedisce a un precetto morale (Super-Io)? Oppure obbedisce a una
pulsione autoaffermativa e quindi aggressiva (Super-uomo)? Io non saprei
rispondere.
5/1: L'impeachment
della divinità, cioè l'imputazione di Dio come la più grande frode del potere
a danno dei deboli, pronunciata dal materialismo storico e dai suoi epigoni ha
giovato ovvero ha nuociuto al ruolo della Poesia e alla sua collocazione
culturale?
L'impeachment della
divinità è una cosa complicata, storicamente. Al Dio giudaico era fatta
imputazione, nel mondo romano, di agire contro il potere. A favore dei deboli,
ma questo il potere non lo diceva. Il figlio di Dio, imputato lo è stato
veramente. Casomai, colluso con il potere sarebbe lo Spirito Santo, da quando lo
Spirito Santo si pronuncia nei secoli dando l'impressione di agire per
legittimare se stesso. Ma lo Spirito Santo non è colluso col potere, perché
identifica se stesso come il potere. La prospettiva è diversa.
Da parte mia, sono indegno
sostenitore della Legge. Soprattutto del comandamento che recita: non nominare
il nome di Dio invano. Meglio restare nel campo della psicologia analitica,
utilizzando la teoria delle tre istanze di Freud. Conferendo però il giusto
significato al Super-Io, intorno al quale corre un malinteso piuttosto diffuso.
Il Super-Io non è soltanto la semplice assimilazione delle regole morali imposte
dalla Legge o dall'ambiente. E' molto di più, è una struttura difensiva
preesistente al riconoscimento della legge paterna, una specie di legge interna
all'individuo che apporta all'Io le regole necessarie alla sopravvivenza,
evitando la dispersione nel caos comportamentale.
Nello stesso tempo, l'Io
cosciente riconosce la necessità di soddisfare le pulsioni esplorative, e
autoaffermative, dell'Es. Il Super-Io difende, è una struttura difensiva. Ettore
è l'eroe che difende, Ettore è l'eroe del Super-Io. L'Es è una struttura
esplorativa, il Super-Uomo è Ulisse. Va da sé che il Super-uomo, opponendosi
alle convenzioni e alle leggi, commette cose sublimi oppure catastrofi. Ulisse
parte con dodici navi, se ricordo bene, e torna solo. Tenta l'impeachement di
Poeseidone, come noi tentiamo l'impeachment di Dio. Ma la responsabilità è
soltanto sua, soltanto nostra.
5/2: L'oltreuomo
ovvero il super-uomo diviene l'unico valorizzatore di ciò che esiste.
Il bene e il male, la vita e la morte, la notte e il giorno, Apollo e Dioniso,
Caino e Abele: sono tutti appaiati sul piano dell'esistenza come esperienze
paritarie compiute dall'oltreuomo. In che senso la poesia potrebbe ancora
essere epica, cioè canto dell'eroe che interpreta la vita come unica luce che
squarcia la tenebra?
Il Super-uomo cavalca
solo il cavallo nero delle pulsioni, è libero e creativo, ma senza freno rischia
il precipizio. Chi lo frequenta avverte spesso, e di prima intenzione, una
sensazione di pericolo. La vita chiama alla mediazione, il Super-uomo è figura
èiù letteraria che reale. Quando compare nella vita reale, siamo nel campo della
psicopatologia.
L'uomo con forte Super-io
cavalca solo il cavallo bianco delle censure ragionate, è solido ma lento, chi
lo frequenta avverte di prima intenzione un senso di staticità, manca l'aria,
genera fastidio.
Anche questa funzione,
interpretata rigidamente, è innaturale, sta nel campo della psicopatologia. La
realtà, bisogna ammettere, è tutto fuorché epica.
L'epica esiste in
letteratura, appunto perché utilizza figure archetipiche, statuarie ma
sbilanciate sul piano dell'irruenza istintuale oppure dell'etica superegoica. In
queste figure l'uomo si rappresenta. Ettore difende la casa, persino con
eccessiva prudenza perché non esce dalle mura, sussurra Omero fra le righe. E'
figura epica perché tutti noi difendiamo l'esistente. Ulisse distrugge
l'esistente per esplorare l'altrove, è figura epica perché tutti noi tentiamo di
esplorare l'altrove. Epico non è l'eroe che squarcia le tenebre. Epico è l'eroe
che rappresenta la coralità del sentire.
5/3: La rinucia alla
visione religiosa della vita derivata dall'impossibilità di distinguere il bene
dal male, riduce l'orizzonte della poesia all'esplorazione del microcosmo
individuale?, e al conflitto dell'io con il super-io?, del lecito contro
l'illecito? Si sposta l'equilibrio della poesia da una concezione etico-estetica
a una concezione psico-giuridica?
L'Io non è in
conflitto col Super-Io. L'Io è una funzione di mediazione fra due istanze
contrastanti, l'una esplorativa, l'altra difensiva. Il Super-Io è in conflitto
con le forze pulsionali dell'Es, e si avvale della Legge (divina) e della legge
(dell'uomo). Sul piano evolutivo, passare dal Super-uomo al Super-Io sarebbe un
regresso (perdita della felice libertà istintuale) e un progresso (acquisizione
consapevole di corrette censure relazionali).
Vero è che nessuno, oggi,
simpatizza per la libertà superominica di Nietzsche. In assenza di Super-uomo,
il Super-Io non ha bisogno della Legge o della legge, sono sufficienti le regole
giuridiche della buona convivenza.
Il problema è l'Io, auriga
che si trova a guidare un cavallo nero e un cavallo bianco ugualmente bolsi. In
giro non si vede l'uomo di Michelangelo, eroico e tormentato. Si vede piuttosto
la cutrettola di Parini. L'auriga non può andare lontano, l'Io è gracilino.
Gregor Samsa non ha la forza di abbandonarsi alla bestialità, né le risorse per
combatterla. Per questo soccombe allo scarafaggio. Poi, è vero, descrive la
propria disgregazione sul campo del microcosmo intrapsichico individuale,
l'etica soccombe alla psicopatologia. Ma lo scarafaggio di Gregor Samsa è lo
stesso che insidia tutti noi. Gregor Samsa è l'eroe epico del nostro tempo.
Sesta stazione: brevi
appunti per una prossemica della poesia, il modo di esprimersi e gli argomenti
Ho incominciato a
scrivere poesia mettendo in versi, per mio uso e consumo, il Trattato di
psicopatologia di Minkowski. Così, tanto per dire quale fosse il mio interesse
primario. Quando ci ho preso gusto, più tardi, l'attenzione si è sempre rivolta
ai tratti caratteriali abnormi, se non proprio decisamente psicopatologici.
L'intento, descrivere l'emozione senza lasciarmi invadere dall'emozione. E' una
faccenda di imprinting. Così faceva lo zio di Nocera Inferiore. Come fa
Cervantes con il suo Don Chisciotte. Come fa lo psichiatra trattando con i
propri pazienti, se è per questo.
Su questa posizione sono
ancora rimasto, sono una persona di scarsa evoluzione.
Settima stazione: affinità elettive con le voci dei poeti e
i grandi incontri lungo
l'orbita di rivoluzione intrapresa nell'universo della poesia
Alle medie, a
Mogadiscio, avevo come insegnante di lettere la moglie di un ufficiale di
marina, decorato in guerra. Era una fervente carducciana e, cosa oggi
inconcepibile, ci faceva imparare a memoria le poesie di Giosue, specialmente
quelle guerresche. Sta Federico imperatore in Como, ed ecco un messaggero entra
in Milano da Porta Nuova a briglia abbandonata. Bellissimo. Rispetto agli eroi
montiani che parlavano dalla chiostra dei denti, i guerrieri comunali di
Carducci appassionavano allo stesso modo noi e i ragazzioni somali. A proposito
di quali siano le istanze pulsionali, aggressive e innate, dell'Es.
L'incantamento per la poesia,
però, deriva da esperienze emozionali meno guerresche. Studiavo a scuola
l'odiosa donzelletta che vien dalla campagna, quando per caso mi capitò di
leggere una poesia di Corazzini. Perché tu mi dici: poeta? Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange. Letta adesso, mi sembra
parecchio sopra le righe, ma allora mi emozionò profondamente. La seconda
esperienza è stata la lettura del Tasso, la morte di Clorinda. Passa la bella
donna e par che dorma. Ricordo di aver pianto. Da ragazzino ero molto
sentimentale. Subito dopo è venuto Ungaretti, la madre che lo accoglie in
paradiso spalancando le vecchie braccia.
Per ultimo è venuto Caproni,
il lungo saluto del viaggiatore cerimonioso.
Ottava stazione: come
si colloca l'eros? Quali incontri con thanatos?
Un amico, Nicola Lo
Bianco, ha scritto: Onano ha un conto aperto con le donne. Quando un uomo ha
chiuso il conto con la donna, significa che ha perso interesse per lei. Quando
capiterà a me, terrò la cosa a mio disonore.
Quanto a Thanatos, non c'è
bisogno di incontrarlo. E' Thanatos che ci viene a trovare, continuamente.
Ricordo il padre e il figlio che litigavano fra loro per via della finestra
aperta oppure chiusa. Qualche anno più tardi il padre ha posto fine al conflitto
prendendo una pistola, e sparandosi un colpo in testa. Il personale accorso per
le operazioni di soccorso e di polizia trovò il figlio che neppure per un
istante sollevò la testa dal libro che stava leggendo. Io pensavo che non c'era
una differenza sostanziale fra me e il figlio del suicida, lui intento a studi
che sapevo afinalistici, io intento a operazioni di tipo medico legale, entrambi
disaffettivi. Quando la morte è oggetto di attenzione professionale, una difesa
di questo tipo è ammissibile.
Per il resto, Thanatos è una
cosa complicata. Quando lo incontro nella finzione letteraria, o al cinema, sono
disposto a commuovermi. Quando muore un parente, o comunque una persona cara, mi
scopro d'essere raggiunto da una specie di quiete. Se io provo pietà,
impossibile che Dio sia da meno. Cosicché pregare mi sembra inutile, quasi una
mancanza di rispetto. Insomma, ci capisco poco. Ma questa faccenda di capire mi
sembra una manìa, non è detto che le cose si debbano per forza capire.
Oggi, penso al viaggio in
treno di Caproni, il congedo del viaggiatore cerimonioso. Ma il paragone regge
fino a un certo punto. Non ho ancora salutato nessuno. Molti hanno salutato me,
e sono scesi. La Cattedrale di Mogadiscio, luogo religioso della mia infanzia, è
distrutta. Preferisco immaginarmi sul cocchio di Platone, guidando
onorevolmente il cavallo nero e il cavallo bianco, senza figurarmi il paesaggio
che troverò oltre la linea del traguardo.
L'incognita del territorio
futuro, in fondo è questo il bello.
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