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Intervista di Sandro Gros-Pietro a
Veniero Scarselli
Vernice n. 45/2012
Poesia ed egocità
Per gli antichi la Vera Poesia era solo quella dei poemi e parlava delle
grandi cose successe nel mondo: grandi guerre e spettacolari ammazzamenti.
Qualcuno però aveva sempre voglia di sfogare i sentimenti della propria
intimità, amori e dolori, con sonetti o brevi poesie meno impegnative e spesso
piagnucolose, indipendenti l’una dall’altra nel contenuto anche se talvolta
erano raccolte in un libro, un canzoniere, o – più recentemente – una “silloge”:
era nato il genere cosiddetto minimalista, considerato sempre un genere minore
davanti ai grandi poemi che erano ancora guardati con ammirazione come unico
faro di conoscenza. Ma dopo aver sonnecchiato per vari secoli strisciando
nell’ombra, l’intimismo minimalista ha infine alzato la cresta usurpando per sé
il titolo di Vera Poesia e oggi pretende addirittura di assurgere a
Poesia di Stato, quasi come la religione. I poemi delle grandi cose non sono
più considerati con venerazione, e ora il pugnello di Cenerentole che coltiva la
poesia poematica è ridotta quasi negletta a vivere nelle catacombe. Per emergere
alla luce e sopravvivere alla fame, ha dovuto perfino distinguersi
dall’usurpatrice, ora nominata “vera poesia”, assumendo il titolo di
Geo-epica; la nuova speranza è che il titolo, più nobile e pregnante nel
descrivere la nuova svolta, faccia più “comparita” nella mensa dei poveri,
richiamando l’attenzione di qualche lungimirante critico o mecenate.
Secondo me la causa di questo tsunami di intimismo minimalista è la
massiccia alfabetizzazione poetica, che comincia già alle elementari con i
“pensierini” e il buon esempio della maestra poetessa; a tutti è offerto il
diritto di farsi l’ambitissimo status di Poeta. E’ anche facile: basta
prendere a modello i poeti che ci fanno imparare a scuola, ed ecco che il popolo
degli alfabetizzati (ma spesso poco grammatizzati) apre le cateratte a una
valanga di raccolte di poesie, scopiazzandosi senza pudore l’un l’altro e quindi
formando una casta molto omogenea. Ma di cosa parlano? Ecco il problema.
Scrivere di grandi cose è difficile, bisogna avere gli “attributi”; tutti invece
sanno parlare degli assolutamente importanti fatti propri. Se poi mancano anche
quelli, ecco venire in soccorso le avanguardie, futurismo, ermetismo,
balbettismo, alla cui ombra si può scrivere come si vuole perché la religione di
Stato dice che chi non capisce sono cavoli suoi. Così, similmente alla Scuola
Media Unica, è nata la Poesia Unica, da seguire
pedissequamente pena il rischio di essere cacciati e dimenticati dalla Storia.
Relativismo culturale
Anche se nessuno ha voglia di cimentarsi con i troppo impegnativi valori
universali, ci si può mimetizzare nella massa dei propri colleghi partorendo i
topolini poetici di fatti personali e di piccole verità della vita, che sono
esattamente quelle richieste dalle giurie dei premi, tutte naturalmente
costituite da poeti minimalisti. Così tutti possono andare via contenti col loro
diploma in cartapecora e le coppe di latta dorata come gli sportivi.
Poesia lirica e poesia poematica
Fortunatamente sembra che qualcuno cominci ad essere stufo di leggere i
sentimenti lirici degli altri; di riflesso capisce anche che i propri non
interessano a nessuno. Chi ha davvero qualcosa da dire prova dunque a scegliere
i valori universali, etici ed esistenziali; la forma più adatta è naturalmente
quella narrativa del poema, condita con un po’ di pensieri che ci stanno come il
cacio sui maccheroni. Il lettore dovrebbe essere più contento, perché seguendo
il filo di un discorso coerente viene portato alla conclusione con tanti bei
motivi su cui riflettere. Ma attenzione a non vendere per poesia poematica
quella composta dalla solita raccolta di poesie vagamente imparentate, perché la
Storia presto o tardi punisce; il vero poema infatti sviluppa un unico tema
sviscerando gli aspetti correlati e mirando sempre a una conclusione. Una volta,
leggendo un poema siffatto (dello Scrivente), il buon Vittorio Vettori ebbe a
esclamare: «Finalmente un vero libro!» E scusate se è poco.
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