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Gli scrittori del Bengala
intervista a Zia Raihan

in: “Caffè”
rivista di letteratura
multiculturale, 4/1995
Zia Raihan, nato nel 1965 in
Bangladesh, dove si è laureato in Storia presso l’Un diversità di Rajshani. Ha
pubblicato nel suo paese tre libri di poesia. A Roma dal 1991, si occupa di una
rivista di letteratura in bengalese, “Aboni”, di cui è direttore.
Parlaci della rivista. Cosa significa “Aboni”?
Aboni è uno dei vari termini
della nostra lingua per intendere il “mondo”. Nella linea editoriale adottata
curiamo una particolare attenzione ai valori propositivi e fondanti della
letteratura. Particolarmente a cuore è il suo potere educativo, riflessivo.
Accanto ad autori bengalesi, poniamo la traduzione di importanti autori di altri
paesi, tentando di sviluppare una dialettica culturale che interessi e stimoli
allo stesso tempo. Siamo orgogliosi di questo, perché inizialmente, data la
scarsità dimezzi, è stata davvero dura. Da una stampa a mano si è passati,
tramite l’acquisto di un computer, ad un edizione effettiva. Ad aprile abbiamo
festeggiato un anno. E’ molto se pensi che è un mensile. Debbo dire che circola
facilmente tra i connazionali: è possibile acquistarlo nei punti vendita di
prodotti bengalesi. Il prezzo di mille lire è relativo, chi vuole lascia
un’offerta o lo sfoglia solamente.
Tra gli altri (vedi Dante,
Keats, Saffo) avete pubblicato alcune liriche del Belli.
Vedi, di fronte ad un monumento
a lui dedicato in Trastevere, ho chiesto a un amica chi fosse. Sapere tributato
un così alto omaggio ad un poeta mi ha spinto a leggerlo. Di qui a tradurlo è
stato breve.
Perché, in Bangladesh qual è
la forza, la caratteristica della letteratura e della poesia?
La nostra è una letteratura
molto, molto antica. Al sanscrito (come per voi col latino) sono succeduti nuovi
idiomi: tra gli altri l’indi e il bebengalese, appunto, che si estende anche in
India fino alla zona di Calcutta. La forza della scrittura è notevole. Prendendo
ad esempio Rabindranath Tagore, premio Nobel nel 1913, o Kazi Nazrul Islam
(nostro attuale premio nazionale) è facile spiegarti come essa per noi non è
solo letteratura ma filosofia, mistica, musica: un modo d’essere che non
abbracci solo l’artista ma che si compenetri al tutto. Forse è questo che ci
differenzia da voi. Ho la sensazione che nella vita di tutti i giorni viviate
una certa separatezza tra natura e identità. Eppure un tempo non era così.
L’arte come celebrazione,
esistenza come comunione?
Certo. La recitazione stessa
resta un elemento fondante. Pensa che ogni anno, in febbraio, diamo luogo ad una
“festa del libro”. E’ in quel periodo, grazie agli incontri e agli scambi di
idee, che la maggior parte dei testi vengono pubblicati.
Politica del confronto che è
alla base di “Aboni”.
Sì. Come detto, è doveroso
indicare e mostrare le storture, i torti. Questo avviene con il porsi e con
l’ascolto. Nessuno può esulare da un cammino comune.
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