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Angelo (Figline Valdarno 1954), poeta, scrittore, saggista e giornalista, vive a Figline Valdarno. Molto giovane comincia a coltivare la sua grande passione per la musica rock e jazz, fondando nel 1973 il periodico “Musica in Piazza”, un ciclostilato di breve vita (solo tre numeri), ma sufficiente a delineare uno scenario locale di riferimento, dove muoversi con la scrittura. Compone anche i primi lavori poetici e scopre il piacere della lettura grazie ad autori come Elio Vittorini, Jack Kerouac e Jean Genet, di cui subisce il fascino durante gli anni (1974/75) del servizio militare a Roma. Nel 1986, con alcuni amici, fonda il "Circolo Letterario Semmelweis" con l’intento di favorire la crescita culturale del proprio territorio ricercando un confronto tra identità territoriali diverse. Il "Circolo Letterario Semmelweis" è tutt’oggi attivo nel territorio valdarnese, e A. ne è stato presidente fino al 1991. Nel 1999, insieme a Fabrizio Bagatti e in collaborazione con il "Circolo Letterario Semmelweis" e i Comuni di Figline Valdarno, San Giovanni Valdarno e Terranova Bracciolini, organizza “Onde di Terra”, il paesaggio nella letteratura Toscana del Novecento. E’ un’iniziativa triennale ideata per riproporre all’attenzione del mercato editoriale e per promuovere nelle scuole la rilettura di alcuni autori toscani.

Ha diverse pubblicazioni al suo attivo: Zia Oria (1979, racconto); Racconto di Natale (1979, racconto), Roscio (1980, romanzo), Regioni preflesse (1981, poesie), L'usignolo di provincia (1982, racconto), C'è di quello che non costa (1982, racconto), Non essere il centro ma una parte del tutto (1983, saggistica), Sul filo dell'unità (1983, poesie), La rinunzia (1984, racconto), Spartaco e Cannabis (1985, narrativa), Il mio nonno barbiere (1986, racconto), Le lucciole (1987, racconto), Eugenio Centini. Dolore e sogno (1988, saggistica), Andrea (1988, racconto), La piazza (1988, poesia), Magalodiare (1989, narrativa), All'ora di pranzo (1990, racconto), L'ombra del cielo (1990, racconto), L'esempio di società (1990, saggistica), Voglia di ascoltare (1993, saggistica), !945/1993, L'impronta della sinistra a Figline Valdarno (1993, saggistica), I grandi navigatori (1996, narrativa), In piazza c'era un pozzo (1996, giornalismo), Le lucciole (1996, racconto), Il treno che porta al passato (1996, racconto), Cinema di carta (1996, saggistica), Vittoria (1999, narrativa), Spartaco e Cannabis (1999, narrativa), Il paesaggio reiventato (2000, saggistica), Senza memoria la vita è solo cartapesta (2001, racconto), Le torri di avvistamento piantate dal nonno (2001, racconto), Fai attenzione alle palle vaganti (2002, racconto), I sogni in Tv (2002, narrativa), L'autostrada del sole (2003, racconto), Zia Oria (2003, narrativa), Ma l'anima non muore (2004, racconto), La collanina rossa del Valdarno (2005, saggistica), Dalla foce alla sorgente (2005, narrativa), Perché sono rimasto tra le lucciole (2006, saggistica), Farfalla colorata (2006, poesie), Non ci sono troppe vie di fuga (2007, narrativa). Ha diretto la rivista: "MicroMacro", periodico di cultura valdarnese e oltre - giornalismo dal n. 0 al n. 11/1989-1990; Costume e cultura - giornalismo - 1989.

Sulla sua attività letteraria hanno scritto, tra gli altri: F. Bagatti [Spartaco e Cannabis] «…I due testi non hanno alcuna sbavatura o cedimento di maniera: sarebbe bastata ad esempio una pur minima apertura alla consuetudine del dialetto per vanificare l’intera costruzione. A. invece persegue una lingua ora cruda ora arida, ora quasi al limite della frantumazione nel gergo. In ogni caso la scelta è sempre funzionale alla situazione rappresentata, senza alcun compiacimento gigionesco, ma con una naturalezza che quasi rivela una mano già adattata al più fine artigianato. La parola artigianato è forse quella che più si adatta alla lingua scelta da A., dato che anche nei momenti in cui sembra ritornare con lentezza verso i soliti levigati argini della maniera bisogna alla fine ammettere che si tratta invece di una più sottile variazione alla regola di fondo. Qui non è più in gioco la sonorità complessiva o il ritmo lungo del parlato; la scansione drammatica continua nel singolo vocabolo, incide la materia tramite la volontaria ambiguità dei termini più usurati.»; [Magalodiare] «… Non c’è mai prevalenza fra la sostanza e il modo: ognuna delle due componenti è necessaria all’altra. L’effetto è quello di una voce sicura che immediatamente risuona all’orecchio come quella di un genuino e autentico purosangue della prosa, capace di sfruttare sempre a proprio vantaggio tanto l’irruenza degli attimi istintivi, quanto la freddezza trattenuta e quasi esplosiva dei passi più meditati.»; [Vittoria] «… La protagonista di questo romanzo di A. racconta gli elementi di una vita che cerca invano nei suoi aspetti più familiari la marca di una redenzione impossibile e si trova circondata dall’orribile scenario di un deserto quotidiano. Una vita che non è più “agra” (forse non lo è mai stata?) ma è un veleno incolore, inodore e insapore che avvelena senza sintomi percettibili. Scoprire questo meccanismo era una difficile scommessa. A. l’ha vinta e forse l’ha fatto nel modo più difficile. Senza cioè rinunciare a nessuna delle sue cifre personali, anzi riconfermando che la sua forma è legata a una sostanza autentica e ben meditata. Ma soprattutto creando un personaggio femminile che ha pochi uguali nella letteratura di questi ultimissimi anni italiani (forse con la sola eccezione di Claudio Piersanti).»; F. Banchini [Non ci sono troppe vie di fuga] «… i racconti sono stracolmi, straripanti di vita. Di vita concreta, vera, nei personaggi, nelle situazioni, nei sentimenti, nelle descrizioni. Racconti schiettamente toscani e insieme esprimenti una realtà universale. In uno stile personalissimo, agile, colorito, efficace. Insomma, un piacere leggerli.»; S. Bardi [Dalla foce alla sorgente] «Il fiume non è presente costantemente nel romanzo; di fiume, di torrenti, di acqua, veri o rappresentati se ne parla una decina di volte nel romanzo, è tuttavia un tema quasi sotteso, legato da una parte a una realtà fisica, dall’altra a una realtà psicologica, da una parte ha una valenza reale, dall’altra simbolica. Il fiume nella sua valenza simbolica rappresenta lo scorrere della vita, degli eventi, del tempo; abbandonarsi alla corrente rappresenta in qualche modo crescere, poiché si accetta la propria esistenza nei vari aspetti.»; M. Bettarini [Spartaco e Cannabis] «… escono ora due racconti che in qualche modo proseguono e sviluppano quell’opera prima (Roscio): stessa ambientazione (i luoghi del Valdarno), medesimo flusso stilistico solo apparentemente legato ad un realismo popolare, in realtà ben consapevole della necessità di usare strumenti culturali più ricchi, elaborati, penetranti. Spartaco e Cannabis è un libro maturo e importante in un panorama letterario il più delle volte inerte e privo di sorprese. Un libro che, pur non essendo troppo ricercato né sperimentale, si fa senz’altro apprezzare per la vivezza del suo “parlato” congiunta ad una notevole abilità narrativa, che porge al lettore personaggi vivi e riccamente strutturati.»; G. Bianchi [Zia Oria] «In questo libro, il sapore delle cose immediate, piccole e grandi, è narrato con istinto: infanzia marcata da desideri e malinconie, intimità occulte, sguardi cifrati tra zia Oria e il pratico, picaresco zio Seneca, la festa della battitura del grano, “il gusto del gioco” e dell’ironia, l’estate piena di scoperte, infine l’innocenza curiosa del ragazzino che accarezza la voglia timida, impura e tempestosa di passar le notti accanto alla pelle della zia per scoprire il sesso.»; A. Bigagli [Magalodiare] «… la riflessione su “La medaglia” che torna sempre nasce dal senso di delusione che deve lasciare, giusto, incisivo, senza invadere, per cui ci potrai tornare, non avrai mai una di quelle sensazioni che si consumano subito… Come ci è arrivato Angelo A.? Ci è arrivato perché è riuscito a universalizzare il fatto. E’ la medaglia per uno che ha partecipato alla resistenza, però sarà successo a chi aveva partecipato al risorgimento, e succederà a chi, fra qualche decennio, avrà partecipato a salvare il parco del Gran Sasso.»; [Vittoria] «Ci vedo il lavoro come una possibilità da recuperare o forse solo da scoprire. In una vita dove i desideri, cioè le attese di benessere e le incertezze dell’attesa stessa, non si moltiplicano a vicenda nell’intrecciarsi. Esiste anche, deve esistere, una misura di povertà non bloccante e neanche ansiogena. La modestia non è una disgrazia, ma lascia via libera ai cosiddetti valori e addirittura li prepara.»; [I sogni in Tv] «Il racconto nel suo insieme riguarda, come ho accennato, una famigliola di modesti lavoratori ed è arricchito da echi della vita altrui, vita di paese. Sul finire appare anche un incidente di bicicletta con tristi effetti. Conta il saper fondere, da parte dell’ormai esperto ed affermato narratore che è A., le componenti essenziali per questo tipo d’arte. Che sono: il senso della realtà, la manifestazione esistenzialmente autonoma del pensiero e lo slancio poetico. Il quale ha rischio d’avventura ma anche funzione vivificante.»; L. Borgheresi [Dalla foce alla sorgente] «Quasi un romanzo di formazione l’opera dell’autore valdarnese, realizzata di getto nella primavera del 2005, che racchiude la storia di un’amicizia, quella fra l’adolescente Spartaco, un alter-ego dello scrittore stesso, e il suo giovane amico Francesco, in un’atmosfera incantata, da sogno, alla ricerca del mondo che si schiude ai loro occhi.»; A. Bracaloni [Vittoria] «La narrazione risulta estremamente viva, vi assicuro che qualche passo può dare i “brividi” e credo non si tratti solo di abilità lessicale: bisogna essere anche sensibili, saper ascoltare, perché sono convinta, una o più Vittorie devono aver ispirato l’autore. Chi l’ha letto concorderebbe con me: non basta aver la penna felice per una testimonianza così pulsante, ci vogliono anche umanità, consapevolezza, empatia.»; A. Cadioli [Roscio] «Il romanzo si struttura intorno ad alcuni personaggi che via via diventano i protagonisti della storia. La materia che A. organizza quando riesce a superare lo stadio del bozzetto, che è il vero pericolo del libro, diventa una disincantata interrogazione sulla natura, sui rapporti umani, soprattutto in un paese, sulla qualità stessa della vita. Non ci sono giudizi di nessun tipo: tutt’al più qualche considerazione, come quella che "la festa è il piacere di poter giocare con gli altri".»; P. Carnevali [Magalodiare] «… Nei sei racconti raccolti in Magalodiare A. costruisce un narrare che resta fedele a quella tensione che attraversa la storia senza necessità di compiacersi in una esasperata ricerca stilistica, rischiando di allontanarsi da quella scarna ed essenziale economia del racconto.»; O. Cecchi [I grandi navigatori] «… il racconto mi è piaciuto molto perché sfugge all’uggioso realismo e affronta un certo “fantastico”, come posso dire, venato di “nero”. Il soprannaturale irrompe nella legalità quotidiana come allucinazione e come presentimento.»; O. Ceretta [Dalla foce alla sorgente] «Assaporiamo – in questa vicenda minimale ma sentitamente descritta e, direi, emblematica di come si possa modernamente intendere il Bildungroman – l’esuberanza di una giovane vita che si schiude al mondo, e nel seguire con partecipazione il percorso di questo ragazzo che, nel breve arco di un’estate, matura uno sguardo nuovo su di sé e sul senso del proprio esistere, attraversiamo quel denso intrico di pulsioni, timori, affetti, dolori, entusiasmi e frustrazioni che tutti noi abbiamo sperimentato, in vari gradi, nella nostra infanzia, e il cui ricordo – quando è efficacemente sollecitato, come qui accade per merito della fresca e musicale scrittura di A. – torna a visitarci stringendo nello stomaco nodi che, in fondo, scopriamo non essersi mai del tutto sciolti.»; M. Dentone [Magalodiare] «…Questa sua trasposizione nella pagina, questo non sdoppiamento provoca automaticamente una partecipazione che non gli consente, per rispetto anche probabilmente alla scena, e per pudore verso i personaggi che sono già autonomi, vivi di per sé, un commento che invece appesantirebbe la pagina, poiché la narrazione, appunto per la sua freschezza, per questa sua immediatezza, non richiede tempi lunghi, richiede necessariamente ritmi cinematografici, quasi televisivi addirittura, talmente sono sceneggiati, talmente sono immediati.»; P. De Vecchis [Dalla foce alla sorgente] «A. tesse un’esile trama e punta molto sulla rievocazione memoriale, trasfigurata da un’invenzione sempre aderente alla realtà. La sua prosa quindi si propone di avere un valore conoscitivo, benché non assolutizzante. L’autore coglie frammenti di realtà quotidiana e cerca di illuminarli con il suo sguardo peculiare, rendendoli visibili anche agli occhi più distratti: un modo onesto e sincero di intendere la letteratura, che è un gioco meraviglioso, ma non gratuito.»; V. Fanizza [Zia Oria] «Zia Oria è uno spaccato di vita della campagna umbra dove il protagonista, Spartaco, vive il passaggio dall’infanzia all’adolescenza in un incontro di figure adulte che, pur restando sullo sfondo, riescono a riflettere una propria luce. Intorno al rapporto affettivo tra il bambino e la zia gravitano tutti gli altri personaggi, ma loro per primi sono calamitati con le loro vite nel territorio. E’ la terra, la campagna con i suoi colori e odori, che tende ad emergere come personaggio centrale, intorno al quale tutto gravita.»; D. Fiesoli [Non ci sono troppe vie di fuga] «Ed è una conferma sempre piacevole la limpida prosa di A. che in “non ci sono troppe vie di fuga”, pubblicato in edizione numerata dal Circolo Letterario Semmelweis, racconta un mondo che una volta era contadino e che ora, tra le scabre montagne del Casentino e del Pratomagno, tratteggia con amarezza antichi sogni e destini non vissuti.»; F. Flego [I sogni in Tv] «I sogni in Tv ci mostra una trance de vie, uno spaccato degli anni Sessanta ritagliato da un contesto globale per farne oggetto di rappresentazione letteraria, in una sottile altalena tra il passato del bambino di ieri, e il presente dell’uomo di oggi, che commenta. Si delineano, così, i contrasti tra gioia, dolore e rabbia, tra vicinanza e lontananza, tra ragione e follia attorno a cui gravita la “precaria esistenza” della famiglia, unita nel tentativo di far quadrare il bilancio e di trovare vie di fuga nel piacere delle minime cose, fossero pure un profumo scadente o un’innocua partita a carte.»; [Zia Oria] «Soprattutto la creazione di personaggi a tutto tondo, “vitalisti”, secondo la classificazione di forsteriana memoria, il cui spessore non solo li rende funzionali alla storia di Spartaco, ma capaci anche di sviluppare una loro privata esistenza di intrecci umani, un loro piccolo universo umbro-toscano che A. attualizza, rende dinamico e solare, autentico e ancora vivo e vivibile in questo viaggio sulle onde di terra delle sue campagne.»; [Dalla foce alla sorgente] «“La storia di un nome si fa facendola, pronunciandola, insomma vivendola”, si legge nella dedica a Ottavio Cecchi in apertura; soprattutto quando, come in questo caso, ci si confronti intimamente con un’esperienza vissuta che supera i limiti – se ce ne fossero – imposti dalla fantasia per manifestarsi con tutta la forza della realtà modulata sul filo del ricordo, prima di acquistare valenza universale.»; V. Franci Riggio [Dalla foce alla sorgente] «Un romanzo costruito come una partita musicale, dove il tema conduttore è distribuito ed insieme armonicamente amalgamato nelle varie parti che lo compongono, come in un vero e proprio procedimento di orchestrazione. E questo rimanda ad un aspetto peculiare dell’opera di A.: la compattezza che scaturisce dalla molteplicità. Infatti le 15 segmentazioni che sembrano operare un sezionamento nel testo, fanno pensare più ai tradizionali capitoli di un romanzo, a momenti di sosta; quasi un prendere respiro in un iter narrativo che è l’immagine metaforica della vita stessa, con il suo incessante e inarrestabile scorrere e quindi con tutte le esperienze e le metamorfosi che accompagnano il crescere, non solo del bambino, ma dell’uomo tout-court, lungo tutta la sua esistenza.»; G. Garancini [Roscio] «A. è in più punti riuscito e rendere con un linguaggio scarno ed essenziale l’immagine, il suono, l’odore di certe situazioni; anche se solo retrospettivamente, come di un punto di partenza necessariamente rivolto al passato.»; [Spartaco e Cannabis] «A. ha lavorato di forbici (lo dice nella nota d’autore) e il guadagno lo si gusta nella snellezza e briosità dei due racconti.»; G. Gerola [Spartaco e Cannabis] «… Vicende minuscole, al limite della banalità, completamente riscattate a furia di stile. E sullo stile il libro punta tutta la sua validità. La base è un linguaggio parlato, scanzonato, direi, con venature in certo modo “volgari” (si vedano i dialoghi per esempio) e sotto sotto una forte carica di polemica appena repressa. Su questa si innesta (specie nel secondo racconto) una fitta serie di immagini, tipo quelle di cui sono fioriti i dialetti, ma elaborate in maniera originale. Il risultato è un narrare pieno di vitalità, di forza espressiva, di gioia di comunicare agli altri.»; V. Guerrazzi [Roscio] «… Dopo tante mode letterarie e di romanzi di avanguardia o di “non romanzi”, quelli che ci hanno fatto perdere la volontà di leggere, con “Roscio” si riscopre la passione per la lettura. … In questo romanzo ci sono pagine di grande bellezza selvaggia, dalla vita dura e aspra dei contadini, che si scontra con la dolcezza dei colori tenui della campagna toscana e dell’amore verso gli uomini e la terra. Attraverso il racconto che scorre lineare e abbraccia il periodo degli anni ’60, si rivive anche l’ambiente chiuso e gretto del paese di provincia che è rimasto fermo a schemi rigidi e sorpassati di vita, dove l’uomo “diverso” o lo “straniero” sono da condannare o emarginare. Nell’infanzia e nella giovinezza di A. si intrecciano esperienze, riflessioni e ricordi che rimandano al passato e all’infanzia di ognuno di noi.»; A. Guglielmi [Roscio] «… dove l’autore rievoca alcuni dei momenti più crudi della sua vita di bambino, dominata dalla figura possente e benefica di una zia contadina, è un esempio di scrittura di evidente qualità. Qui, forse per la violenza del ricordo e l’imperativo delle immagini , l’autore si vede costretto a un duello diretto con le parole, al riparo da intromissioni e disturbi. Qui raccontare non è semplicemente riferire ma è scoprire che soltanto attraverso le parole gli accadimenti si trasformano in realtà. Raccontare è un modo di agire: è compiere un atto non tanto di riconoscimento quanto di fondazione e di legittimazione dell’esistente...»; G. Lauretano [Magalodiare] «Infatti è proprio attraverso l’aderenza piena e incondizionata alla realtà e ai suoi movimenti che A. ottiene l’effetto opposto: tutto, a cominciare dai personaggi con i loro pensieri, le loro decisioni e i loro gesti, diventa surreale, in concluso, come aperto ad un’altra fine.»; M.G. Lenisa [Spartaco e Cannabis] … C’è la capacità di organizzare liberamente il racconto con equilibri di ragione e sogno che rispetta l’uomo intero, il suo essere qui e altrove. La scrittura è pulita, spontaneamente colta e si rivela come materia suscettibile di un adattamento più articolato e visto come maturità cosciente e mitica.»; A. Lolini [Magalodiare] «… A. fa leva su una scrittura essenziale e, nel contempo, assai limata, per raccontarci storie che, proprio per la loro assoluta 'normalità', diventano inquiete e surreali. Spicca tra i sei racconti, il primo: "L’usignolo di provincia" che, diciamo così, è il più bilenchiano della raccolta.»; N. Mainardi [Zia Oria] «Simulacro di fertilità come una generosa e sanguigna Dea Madre, il personaggio di zia Oria appare emblematico di una femminilità protettiva e incontinente, i cui caratteri spiccatamente agresti e sensuali, a cominciare dal “puzzo” inseparabile dal ricordo di lei, aggettano sul vitalismo intrinseco all’operazione conoscitiva della scrittura.»; F. Manescalchi [Non ci sono troppe vie di fuga] «A. è il maggior narratore della nostra provincia universale, della “paesia”. Un autore destinato a rimanere, a confermare al tempo stesso il senso di una tradizione intera e insieme innovativa… … Il rapporto di A. col contesto è ulteriore alle passeggiate fuoriporta di Papini, al senso panico della terra di Rosai e Malaparte, al viaggiare in bici caro a Tozzi, alla periferia di Pratolini, al rapporto treno-paesaggio di Cassola. Ulteriore, insomma, all’unità spazio-temporale primonovecentesca dove tutto accade in un preciso equilibrio socioletterario. Ma l’uso parsimonioso, e tuttavia nodale, che egli fa del paesaggio, ci conferma che il contesto anche per A., è influente, sia pure in modo nuovo. Da Roscio, dove gli uomini sono paesaggio e il paesaggio è donna, a Vittoria dove la protagonista, alla fine, si veste del proprio paesaggio, abbiamo la conferma di questa crucialità.»; C. Marin [Vittoria] «L’autoanalisi spietata di Vittoria sembra lasciare poche speranze; ma prima che tutto sia perduto, s’apre inatteso uno spiraglio che forse aveva sotteso, in sordina, tutta la narrazione. Non ce ne siamo accorti fino alle ultimissime pagine, dove la razionalità cede il passo ai "miei antichi sogni, quando con lo slancio di una breve rincorsa spiccavo il volo, mi appoggiavo dolcemente sull’aria e tutto il corpo aveva una gran voglia di ridere".»; I. Minghetti [Zia Oria] «Ambientato in una campagna dai caratteri toscani e umbri, il racconto è fatto di quotidiano, di vita semplice della campagna dal sapore di una volta, di vicende che vedono una zia intenta a seguire un nipote nel non semplice viaggio alla scoperta della vita e un bambino curioso ma stupefatto dalle mille sorprese che la vita, apparentemente semplice, nasconde.»; [Dalla foce alla sorgente] «Preceduto da un brano di Ottavio Cecchi e chiuso da una poesia di Giorgio Caproni, lo spaccato di vita che A. propone in questo romanzo è una commovente storia di amicizia tra due adolescenti, uno orfano di mamma, nella quale affetto, gioco, spensieratezza, amarezza, morte, quotidianità si uniscono per dar vita a una vicenda che non può non affascinare il lettore. Le vite dei due ragazzi si intrecciano, con una totale condivisione di sogni, di amarezze e di avventure, fino alla fuga dalla colonia dove sono stati mandati, fuga che si svolge seguendo un fiume “dalla foce alla sorgente”, da qui il titolo.»; M.P. Moschini [Magalodiare] «C’è nei personaggi di questo “Teatro della Visione”, un’eleganza austera, una piccola alterità che sforna l’umanità come un pane. Una convinzione profonda che l’uomo è padrone solo di scegliere e che le decisioni non sono tali ma scelte forzate.»; [Vittoria] «La forma densa, spessa, tipica di A., non gioca sull’effetto visivo della parola. E’ compatta e risoluta. Ferma come un albero attaccato al suolo. Le immagini pulsano simili al sangue e non accettano di farsi diluire dalle virgole, dagli spazi. Ma il tono non è concitato: è severo, come la visione della campagna d’inverno. Pulita, immobile. Sono le emozioni che si staccano da dentro e migrano sorvolando il paesaggio come uccelli che tornano, in moto circolare, al luogo di origine.»; C. Nesi [Non ci sono troppe vie di fuga] «Anche le due minute storie centrali esasperano le relazioni fra spazio naturale e spazio antropico, tra storia del singolo e storia di un’identità sociale, senza disdegnare l’artificio d’immagini tanto nitide da sembrare sospese in una realtà raggelata, per quanto verosimile. Tutto si regge, ancora una volta, su vicende minime, spesso relegabili al pudore degli affetti, e su un movimento che innesca l’azione: là un trattore che spande il concime e una macchina che s’inerpica su una salita una domenica pomeriggio, qui un giro fra i “cassonetti delle nettezza” posti lungo il perimetro del centro storico e un lancio del pallone oltre il campetto della parrocchia.»; W. Nesti [I grandi navigatori] «I grandi navigatori non si conclude – anche se Salamandra è morto (il suo giubbetto, nel quale stava disinvoltamente, era troppo corto), resta aperto su molti interrogativi che ciascuno di noi deve cercare di risolvere.»; [Vittoria] «Ma Vittoria non è soltanto un personaggio femminile, è qualcosa di più, è una cartina di tornasole su cui si misurano e si confrontano le larve, quegli esseri che non riescono mai (e non per loro colpa) a raggiungere la piena consapevolezza della propria esigenza alla vita, e si consumano, si sbriciolano, più che sopraffatti, atterriti dalla possibilità di poter vivere. E’ un po’ lo specchio della nostra società (di tutte le società?), dove l’individuo viene sempre risucchiato da esigenze che non sono mai le proprie, che si lascia risucchiare suo malgrado o forse qualche volta credendo veramente che quello sia il suo dovere. Quindi Vittoria è anche una specie di matrice e di specchio, un personaggio della vita reale che la rende patetica, e una voce che proviene dai meandri più oscuri della nostra mente collettiva che ne fanno un personaggio tragico, di quella tragicità che appartiene non all’evento ma all’essenza della vita.»; [Zia Oria] «I sei momenti in cui è diviso il libro contengono alcune scene madri che per la loro forza espressiva richiamano alla mente il Tozzi migliore, e non è per una subordinazione a un modello narrativo, quanto invece per la capacità di rendere indistinguibile fantasia e vita. Ed è quest’ultima a prendere il sopravvento con una forza fagocitatoria da dare l’impressione che tutto sia antico e nuovo al tempo stesso.»; F. Nibbi [Magalodiare] «... Io vedo qui una vittoria della lingua sulla parola.»; N. Palumbo [Roscio] «… Le pagine più fresche e autentiche, nella loro immediatezza e poesia, sono a nostro parere quelle che si riferiscono all’infanzia di Roscio, al suo partecipare così violentemente e totalmente ai riti di un mondo primitivo e spontaneo, sul quale troneggia la figura più ricca e significativa del romanzo, la zia, una vera forza della natura.»; S. Pasquini [Vittoria] «L’insoddisfazione della vita e l’indifferenza per la propria esistenza scoppiano nei pensieri della donna in un susseguirsi di ricordi e di emozioni vissute o desiderate fino all’epilogo: il ricordo di un sogno dell’adolescenza. Il sogno di volare. Ormai non sogna più Vittoria, ma si ricorda quel sogno e le intime soddisfazioni che quel volo le provocava. E si riprende in mano la vita perché prende consapevolezza di se stessa e dei suoi limiti… “La provincia è sempre meno ricca di personaggi ed ha sempre meno identità”, dice A., l’autore, “ma mantiene comunque tutta la sua poesia”. E l’evoluzione della vita di Vittoria va parallelamente ai cambiamenti della provincia, cambiamenti lenti ma, in fondo, importanti.»; E. Pellegrini [I grandi navigatori] «… Più piani si intersecano e si rafforzano: vita, oltrevita, fantasmi e grandi navigatori, confini superati e mondi racchiusi nell’album delle figurine, altrove veri e altrove finti, per cui la leggenda può corrispondere al cinema (e non viceversa), e i morti sono semplicemente uomini “che hanno smesso di mangiare e di piangere”, sono un “capitolo chiuso”, come diceva il padre del piccolo protagonista. Un piccolo gioiello narrativo, dunque, che si regge sul motivo del “movimento” e dei “mezzi di trasporto” (Cristoforo Colombo, le moto truccate, la morta che cammina all’indietro “come i gamberi”). E soprattutto si regge sul motivo del viaggio, in altri continenti, e quale altro continente è più altro della morte? Vera protagonista del racconto, che si apre e si chiude con una immagine di morte – la donna-morto dell’inizio, e la morte a soli vent’anni del ragazzo Salamandra. Un racconto, questo, con un attacco mirabile: “Non era normale vedere una donna venirci incontro camminando come i gamberi, cioè volgendoci la schiena e guardando al cimitero come se fosse lo schermo di un cinema”.»; G. Russo [Roscio] «Un romanzo di un giovane operaio contadino che deve aver letto Verga.»; R. Scrivano [Roscio] «… Certo, va aggiunto, queste operazioni non si compiono senza una gran libertà linguistica e composita, secondo modelli di contaminazione di comico e tragico che per esempio, riceve consistenza in un libro, Roscio, di A., che Vincenzo Guerrazzi ha accolto in una sua collana: in Roscio v’è la rievocazione di un mondo contadino, primitivo, ma non tanto da non esprimersi con finitezza e inventività linguistica, vivacissimo, anche se scivola un po’ nel bozzetto, come se un toscano, anche primitivo, non potesse non essere letterato.»; L. Tognaccini [I sogni in Tv] «Nel suo realismo magico della memoria, intimistico ma saldamente ambientato nella Casa del Popolo, il posto della festa di allora, A. come un Nanni Loy della penna, più umano, tratteggia alcune figure indimenticabili nei loro gesti sicuramente fotografati per esempio davanti al prorompente apparire della televisione e del varietà al Circolo. Una radiografia dei moti e dei moventi interni che è più di una registrazione della lingua parlata di allora, che comunque non manca.»; [Zia Oria] «A. tenta di catturare le varie emozioni che saranno determinanti nella vita del suo Spartaco, del suo personaggio bambino, rendendo il senso più profondo e autentico dell’ambiente in cui tutto si svolge. E’ questa una grande prova di stile, di attrazione verso il significato più che sul significante delle cose. E’ grazie allo stile, al linguaggio espressione di un mondo pur piccolo, che Spartaco vede le cose come sono nella realtà, intuendo cosa fa girare il mondo della vita dietro la facciata dei ruoli.»; G. van Straten [I grandi navigatori] «Quella di A. non è mai poesia della retorica, è poesia della forza della realtà, quella forza evocativa che spesso è già nel parlare della gente, e che in questo racconto, I grandi navigatori, uno dei suoi che preferisco, sta nelle frasi lapidarie di Salamandra o del nonno, ma anche nelle affermazioni del narratore: “Non capivo molto le sue idee, ma quell’entusiasmo nel parlare sembrava musica”. Anche la prosa di A. a volte sembra musica, una musica semplice di piffero e tamburo.»; J-C. Vegliante [Roscio] «… Il s’agit du mu mystére meéridien dont Ungaretti fut également fasciné, dans ce 'syncrétisme pagano-catholique' des cultures paysannes analysées par De Martino. Un veritable leit-motiv chez Pea (par ex. "Je vois toutes les choses obeisant à la meme loi" - Il Volto santo), mais aussi une constante des conteurs les plus proches de ces cultures rustiques, précisément dans le centre-nord occidental de la péninsule italienne (pensons, aujourd’hui a Roscio d’A...). A égale distance de la normalisation des capitales, de l’exotisme facile du Sud (ou du Nord) "profond", du refuge-sanctuaire des dialectes.»; [Spartaco e Cannabis] «… molte pagine mi hanno molto interessato, anche come approccio diretto e nuovo a certe realtà del quotidiano (e della “cultura popolare” – lingua, atteggiamento, ideologia), alla fine poco o male investigate finora. Cioè, non c’è niente tra il falso “populismo” (o naturalismo), e la testimonianza grezza, “le storie di vita” ecc…»; C. Villa [Roscio] «Il libro ha una singolare velocità e una sicura misura nella punteggiatura, che dipana stacchi e percorsi con smagliante proprietà. Vi si apprezza inoltre, il calcolo delle attese e una lingua personale, per quanto alla lunga, viziata da un certo manierismo datato, che si rifà a Tozzi, soprattutto; che per fortuna, comunque, viene quasi sempre riscattato dalla freschezza e dalla spontaneità delle situazioni di "frontiera" che A. evoca e rappresenta. A causa di questa naturale predisposizione al favolistico, bisogna ammettere che anche i passaggi chiaramente di "colore", finiscono per non essere mai un riempitivo, stagliandosi necessari ed essenziali.»; G. Zagarrio [Spartaco e Cannabis] «… “In libertà”: è l’espressione che viene da dire per una metafora dello stile; ma si specifichi che si tratta di “libertà” dolorosa e dolorosamente acquisita, dovuta a una disperata coscienza del proprio e non solo proprio destino di costrizione: non facile, dunque, né allegro, ma per ciò stesso destinata a farsi segno di un implacabile utopia, che è come dire favola somma e struggentissimo mito.».

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