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Larocchi
Marica (Muggiò), poeta, scrittrice e saggista, vive a Monza.
Ha pubblicato diverse opere:
Poesia: Iris
(1977),
Bracconieri (1978),
Lingua dolente (1981),
Fato (1987),
Gita festiva (1993),
Questa parola (1998),
L'oro e il cobalto (2001),
Le api di Aristeo (2006),
Solstizio in cortile (2009),
Silloge (2010,
in Almanacco dello Specchio).
Saggistica e narrativa:
Trieste (1993),
Il suono del senso (2000),
Carabà (2000),
La mangiatrice di voci
(2002),
Rimbaud, un racconto (2005),
Il tavolo di lettura
(2007), Luogo e formula:
per una lettura d'Illuminations d'A. Rimbaud (2009).
Traduzioni e curatele: A. Rimbaud, Ultimi
versi (1992),
A. Rimbaud, Primi versi
(1992),
Antologia dei poeti parnassiani
(1996),
A. Rimbaud, Nuovi versi
(2004),
J. Flaminien, Soste, fughe, Graal portatile, Pratiche di
spossessamento e L'acqua promessa (2001-2009),
R. Radiguet, Il diavolo in
corpo (2005),
P.J. Jouve, Nel fondo degli anni
(2006).
Collabora alle riviste letterarie: il Verri, Testuale,
Anterem, Concertino, l'Immaginazione, Caffè Michelangelo,
La battana ed altre. Ha
partecipato a numerosi reading e festival poetici, fra i quali "Piazza
di Siena" a Roma 1981,
"Milano in poesia" fin dagli anni
80.
Sulla sua produzione letteraria
hanno scritto, tra gli altri: S. Agosti [in:
Poesia italiana contemporanea, Studi Bompiani 1995]
«Io non so se esista oggi una poesia che dica più di questa il
pronunciarsi del mondo (del discorso o del racconto del mondo) dentro il
linguaggio, dentro il dire, e persino dentro la voce e il suo fiato. Non so se
esista oggi una poesia più "nativa", che faccia sentire più di questa il
prodursi molteplice e simultaneo delle cose ( dalle più "naturali" alle più
culturalizzate, dalle più povere alle più preziose) dentro la parola che le dice
o dentro il singulto che non sa dirle. E, insomma, se esista una fiaba più bella
di questa Ur-fiaba sul farsi e il disfarsi del Linguaggio.»;
P. Azzolini [in: "L'avvenire",
03.11.1997]
«Di Walter Benjamin e del suo famoso testo sulla traduzione compreso in
"Angelus novus" ha parlato L., che ha voltato in italiano
i poeti parnassiani per Mondadori. E' a Benjamin e alla sua teoria della lingua
pura prigioniera dell'idioma comune che dobbiamo una teoria generale del
tradurre che ben combacia con il senso d'ineffabilità che nasce quando siamo
alle prese con il linguaggio della poesia.... L. ha
sottolineato che se la poesia è un linguaggio arduo e talvolta oscuro, la
traduzione ha la stessa funzione dell'analisi
psicanalitica: riportare alla luce quello che è nascosto e trasferirlo in un
linguaggio comprensibile. In questo senso la traduzione è la forma compiuta
dell'interpretazione del testo. (a proposito di un convegno sulla traduzione
tenutosi nella sala Goethe della Biblioteca di Verona)»;
E. Paccagnini [in: "Il sole 24 ore",
20.08.2000]
«Altrettanta solitudine si respira in Carabà,
incentrato sul personaggio misterioso della Marchesa di Carabà, la cui vera
identità e storia sarà suggerita solo al termine; e che nel cronicario della
Brianza in cui è ricoverata sa fare della parola uno strumento magico per la
sopravvivenza di compagni neghittosi e capricciosi:
almeno sino all'arrivo di un non meno misterioso Capitano di cui si innamora, ma
che mette in crisi la sua parola: con conseguente sconvolgimento della vita
della comunità di Villa Letizia. Anche perché la perdita del dire si accomuna a
graduali decessi. Una parola narrante: storie rivisitate
nella prospettiva di una maternità addolorata e disposte in abile costruzione a
incastro e per scatole cinesi, proposte attraverso la mediazione non priva di
accattivante ironia di un Io esterno in visita a zia Betti, il quale si rivolge
al Tu-lettore giocando a conservare i diversi registri e stilemi della Marchesa,
sino a farsene sostituta quando essa non è più; col conclusivo sussulto di
un'ultima parola, ora scritta, della Marchesa, un racconto lasciato come eredità
di una diversa liberatoria parola.»; A.
Porta [in: "Panorama", 26.06.1988]
«Liquida, ma con una decisa propensione ai movimenti di
una danza tutta interiore, eppure intrisa di umori corporali, è anche la musa di
L., che ha raccolto in Fato i suoi più recenti
poemetti.»; [in: Poesia degli anni settanta,
Feltrinelli 1979] «Il lessico di L.
è di una serenità da piccolo classico e sostiene a perfezione l'incandescenza
delle tematiche... Il libro Iris è senza dubbio una delle più felici
presenze di un decennio già così ricco di voci.»;
C. Viviani
[in: "Il Giorno",
31.04.1981] «Anche
dopo un'accurata lettura, la poesia di L. rimane una
delle più difficili a definirsi; una delle più resistenti a ricevere una
collocazione nell'ambito dei riferimenti letterari. Le varie componenti
linguistiche s'intrecciano, infatti, in modo tale da produrre una dinamicità che
sfugge alle categorie; nessuna caratteristica predomina ma il loro interagire.»;
S. Zanghi [in: "Leggere donna",
n. 88, sett-ott. 2000] «"Appiccare il fuoco alle
pulsioni" per l'avvento di una parola poetica come (ri)nascita è la difficile
avventura della ricerca di L. La sua scrittura tesa corre tra un magma vivo di
materia appartenente al corpo, alla sua fisiologia e neurologia, ma anche tra
"ogni larva di embrione, ogni ombra di fiato che sprofondi nel buio delle
origini": In questa profondità nasce la parola poetica che Marica Larocchi fa
emergere quasi per una trasformazione elettrochimica.».
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