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Sassetto
Francesco (Venezia 1961), poeta, vive a Venezia.
Si è laureato in Lettere nel 1987 presso l’Università "Ca’ Foscari" di
Venezia con una tesi diretta dal prof. Aldo Maria Costantini, ordinario di
Filologia Dantesca, sul commento trecentesco di Francesco da Buti alla Commedia
dantesca, pubblicata nel 1993 dall'editore "Il Cardo" di Venezia con il titolo La
biblioteca di Francesco da Buti interprete di Dante. Ha collaborato in qualità di cultore della materia alla cattedra di
Filologia Dantesca, con attività didattica e di ricerca ed ha conseguito nel
1998 il titolo di dottore di ricerca in “Filologia e Tecniche
dell’Interpretazione”, discutendo una tesi sulla circolazione delle opere di
Dante nel Quattrocento italiano, con il tutoraggio del prof. Gian Carlo Alessio,
ordinario di Filologia Medievale e Umanistica presso la medesima Università. Insegna Lettere nella Scuola Media “Ugo Foscolo” di Preganziol (Treviso).
Ha pubblicato due raccolte di poesia: Da solo e in
silenzio (2004, poesia, comprende anche alcuni testi in dialetto
veneziano, con prefazione di Bruno Rosada) e Ad un casello
impreciso (2010, poesia, con prefazione di Stefano
Valentini), Back Ground (2012 poesia, con prefazione di Fabio
Franzin).
Ha partecipato a varie presentazioni, incontri e pubbliche letture di testi
poetici, anche in ambito scolastico. Suoi testi sono presenti in numerose
Antologie e Riviste letterarie. Una silloge di sette poesie in dialetto veneziano, intitolata
Semo fati
de sogni sbregài è stata ospitata nel volume antologico “Poeti in lingua e in
dialetto. La Poesia Onesta 2007” (2007, a cura di Fabio M. Serpilli, pp. 69-76).
Alcune poesie in dialetto della silloge Da solo e in silenzio sono state pubblicate nella
Rivista bimestrale di Assonautica Venezia “Lagunamare” (2005, diretta da Sebastiano
Giorgi, p.39). La raccolta è stata presentata alla Libreria “Lovat” di Villorba (Treviso),
con relazione critica di Stefano Valentini. Un articolo-intervista sul suo percorso poetico è apparso, a cura della
giornalista Flavia Mieni, nel mensile “Passaparola” (2011). Una lunga intervista sulla sua figura di poeta veneziano, condotta dalla
giornalista
Ilaria Marchiori, è stata trasmessa dall’emittente televisiva “Venezia TV”,
canale digitale n° 659 di “Rete Veneta”.
Ha vinto i seguenti primi premi per la poesia inedita: 1998, Premio "Renato Nardi", Venezia, per la poesia
Notturno; 2004, Premio 'Vigonza' , Vigonza (Padova), per la poesia Notturno;
2005, Premio
‘Renato Nardi’, Venezia, per la poesia Tu che somigli tanto;
Premio ‘Anna Osti’, Costa di Rovigo (Rovigo), per la
poesia Precari della scuola; 2007, Premio ‘La Poesia del 2007’, per la poesia
Io sono rimasto a queste
calli; Premio 'Renato Nardi' (sez. poesia in dialetto),
Venezia, per la poesia Gransi; 2008, Premio ‘Città di Cava
dei Tirreni’ (Salerno), per la poesia Io sono rimasto a queste calli. Ha vinto il reading “Poetry Slam”, tenutosi il 23 giugno 2008, presso il
Teatro “Candiani” di Mestre. Molte sue liriche, confluite poi nelle raccolte Da solo e in silenzio
e, soprattutto, Ad un casello impreciso, hanno ricevuto premi e riconoscimenti
in Concorsi nazionali.
Hanno espresso il loro giudizio sulla sua
produzione poetica, tra gli altri:
G. Bárberi Squarotti
[Ad un casello impreciso] «Ho letto la sua raccolta di versi con viva
partecipazione: la sua poesia ha un alacre andamento di canzoniere popolare,
sorretto da risentite sentenze morali. Ammiro, in particolare, sezioni come la
prima e La mia generazione molto significative per le nuove interpretazioni
delle esperienze dell’amore e delle vicende quotidiane.» - C. Bedussi
[Ad un casello impreciso] «Vi è evidente la ricerca autentica del senso
che sfugge al solido orizzonte quotidiano di lavoro, impegni e scadenze che per
definizione e abitudine ci rende concreta l’esistenza. Solido in apparenza, ma
“pieno di rumore e di furia, senza senso alcuno, come una povero idiota che si
pavoneggia sulla scena” ci ricorda la nostra memoria shakespeariana. Vi è
evidente il segno della poesia come rivolta, la rivolta come ricerca... Vi è
presente una rara veemenza che prende tutto il testo, circola in tutte le
immagini e viene a costituire il ritmo potente di un’invettiva che mancava da
troppo tempo nella nostra poesia misurata, controllata e limata col bilancino.
Sono la forza e la corrosività di un’indignazione civile che finalmente rompe
gli argini della sconfitta e leva alte le sue ragioni, senza travolgere la
poesia, ma innervandone versi e forme fino a costituire un corpo unico,
ispirato, incandescente, privo o quasi di sbavature. Davvero, un libro come
quello di S. andrebbe letto in tutte le scuole per scardinare il trito rituale
di una letteratura addomesticata e di un insegnamento rassegnato e abitudinario
[…] Scorrendo le pagine, è con partecipazione e stupita riconoscenza che ci si
ritrova in ogni pietra d’inciampo che l’autore mette in luce; ma è proprio il
lavoro sul verso che emerge in continuazione come dato costitutivo di questa
poesia e che rende possibile lo stupore del lettore: la metafora icastica,
rapida ed essenziale che privilegia l’aggettivazione scarna. Un ripetuto uso
dell’inarcamento che dà scatto al verso. Un giro armonico di assonanze,
consonanze, sillabe e accenti ritmici, rime interne e finali che plasmano il
flusso magmatico delle immagini in un canto dirompente, ma fluido, perciò
potente […] Se c’è un pericolo è quello che la poesia di S. possa apparire
troppo “facile”, come una scrittura d’appendice, proprio a causa della estesa
fluidità del verso che fa immediata presa. Invece è intensa semplicità di
ritorno da un profondo viaggio di ispirazione e di lavoro, che si traduce, Dio
sa quanto ne avevamo bisogno, in preziosa leggibilità. Nessun dubbio, che se
anche una sola e infinitesimale particella d’attenzione mediatica toccasse libri
come questi, ne avremmo un clamoroso riavvicinamento dei lettori alla scrittura
poetica profonda» - F. Brugnaro [Ad
un casello impreciso] «Ho letto subito il suo libro di poesie e mi pare
proprio che si tratti di un ottimo lavoro […] continui così, la sua scrittura,
per me, è sulla strada giusta.» -
M. Cutuli [Ad un casello impreciso]
«...il veneziano S. osserva disincantato lo scorrere del tempo. Legge tra le
pieghe della quotidianità. Con le sue luci. Con le molte ombre che la ammantano.
Con le implicite utopie che giorno dopo giorno si vestono di illusioni. Con i
pochi, fragilissimi appigli. Fugaci, purtroppo. Temporanei sostegni – l'amore
tra questi – per “l'assurdo girotondo quotidiano” in una rassegnazione che si
chiama felicità. Altro non chiede, altro non può S.. Non vuole. Non può cambiare
il mondo. Può soltanto osservarlo. Denunciarne le sue contraddizioni, gli
assurdi che si stenterebbe ad ammettere, le forzate rassegnazioni che marchiano
i nostri giorni e uccidono le nostre speranze. Consapevole della propria, della
nostra impotenza, è costretto soltanto a subirlo. Quasi mai a condividerlo.
Perciò l'osservazione si risolve in denuncia. L'effetto è quella sorta di
smarrimento esistenziale che a poco a poco macera. Consuma, obbliga a convivere
in un continuo precariato, nella costante ricerca di un equilibrio, ancorché
fragile. Che costringe a nuotare in un oceano di contraddizioni che il
quotidiano spaccia per regolarità. Un continuo vagare da una stazione all'altra.
Inattesa e insospettabile. Fuori dalle nostra aspettative. Perciò si vive di
inevitabili compromessi. Di necessari adattamenti. Di aspettative mancate. Di
illusioni regolarmente infrante. […] Un monotono susseguirsi di attimi, di ore,
di giorni nell'unica certezza...» - F. Ferraresso [Ad
un casello impreciso] «...la raccolta di S. porta, in tutte le sue
direzioni, a formare una palma, che ti senti crescere profonda fino al petto,
in quel deserto che abbiamo tutti in corpo, perché è il nostro vivere oggi, tra
ossa vecchie di tante storie, in mezzo ad uno scroscio fitto fitto di disgrazie
e indifferenza, oltre il calcolo binario, dove credi di trovare stazioni e
casellanti, e invece è parola, alta, parlante, a volte persino dissetante, non
una gazzosa […] L’inizio della raccolta, lo scaffale delle parole d’amore, anzi,
per un amore, quasi sempre cucito con un sottile filo nero, lucido, ma senza
punti di cimosa, quelli per cui è possibile comprendere il lavoro di tessitura e
valutarne la durata con maggior precisione di quanto si può fare con un tessuto
i cui fili non sono affrancati, sta all’ingresso, fatti appena pochi righi.
Hanno tutte un fondo di tristezza le storie d’amore di questo libro e, anche gli
attimi di maggior leggerezza, che sono intensi, proprio per quella loro
fragilità, sono così brevi da sentirli impalpabili, da non poterli tenere
raccolti e guardarli sul palmo per più di qualche istante senza sciuparli. Il
contenitore, di tutti questi mondi, ti accorgi, non è la vista semplicemente, e
nemmeno l’invaso della parola, ma quel silenzio, profondo e a(r)mato come un
regalo prezioso e pericoloso, di cui noi siamo abitanti e testimoni, come i
grani della sabbia, o quelli della nebbia, in stazioni di viandanti che non
sanno riconoscere in quale casello si trovino, chi sia il viaggiatore e il
viaggio e quale sia la strada da scegliere. S. invece lo sa bene, sa che
entrambi sono la stessa mirabile e tragica forma ed è questa irriducibilità al
due, che fa di questo intero un racconto, che è lo stesso racconto da qualunque
punto lo si viaggi, da qualunque occhio si tracci la rotta: l’irraggiungibilità
di un’appartenenza è l’unica cosa condivisa.» - F.
Franzin [Ad un casello
impreciso] «Confermo l’autorevole prefazione di Valentini e sono rimasto
positivamente impressionato dalla raccolta che, per temi e dettato, sento molto
vicina al mio mondo, a ciò che, come poeta e come lettore, chiedo ora alla
poesia. Nella tua raccolta ho trovato testi splendidi (non tutti lo sono, ma
questo fatto è la cifra di un poeta vero, perché chi sbaglia qualche poesia
dimostra di avere un rapporto davvero umano con la parola […] i testi che più ho
amato sono: Ca’ di Dio, Nella piazza del mercato, Dopo l’amore, Non sei la
terra… ma soprattutto le due sul treno: Il treno della sera e Giorno
d’incidente, nella sua struttura così caproniana, come un congedo del
viaggiatore cerimonioso vista al rovescio, dove la morte, il gelo, resta addosso
a chi continua il viaggio.» - S. Giorgi [Da
solo e in silenzio] «E’ intenso, raffinato, colto e allo stesso tempo
popolare l’esordio letterario di S. Un libro intriso di solitudine e di emozioni
da distacco che echeggiano tanta parte della cultura europea del Novecento. Ma
forse ad andare dritte al cuore, sollecitando le emozioni più inconsce del
lettore sono i componimenti in dialetto veneziano. Poesie di alta cultura
popolare che nobilitano e vengono nobilitate dalla dolce parlata veneziana.» -
A. Masiero [Da solo e in silenzio]
«Una musicalità lieve, di autore raffinato, colto, sensibile, caratterizza
questa opera prima di S.; una prova di notevole impegno espressivo, e dal
risultato affascinante. Le voci, i ricordi, le parole, le azioni sono graffi sul
silenzio, luci nel buio.» - L. Pierdicchi
[Da solo e in silenzio] «Ho letto con
vivo interesse la sua raccolta … e mi è piaciuta in
particolare quella musicalità che è riuscito a creare […] Inoltre, il dettato
concettuale è pregnante, sensibile, e rivela una forte componente lirica, con
espressioni a volte veramente originali” […] S. ha molto da dire [in Ad un
casello impreciso] poiché la sua sensibilità capta ogni particolare e
l’esperienza del vissuto gli fa riscontrare i tanti errori e le varie
problematiche della nostra società. Può quindi giudicare lucidamente, usando
parole anche molto forti che evidenziano la sua amarezza e la rabbia verso certe
situazioni. In questo contesto si apre al sociale toccando i temi
dell’immigrazione, del degrado che dilaga in tutti i campi, di una quasi certa
dissoluzione, della fatica di chi deve spostarsi per guadagnarsi il pane... Non
si possono in ogni modo tralasciare le liriche che parlano d’amore e che S. ci
offre come un magnifico bouquet. In queste si può riscontrare la profondità del
suo sentire, il suo porsi di fronte all’amata con un dialogo che travalica ogni
consueta espressione sentimentale. Lo stesso dicasi per Venezia, proposta con
l’occhio severo di un figlio deluso.... Nel libro sono incluse pure due
bellissime liriche in dialetto veneziano, per non scordare che egli coltiva e
produce anche nella lingua madre.» -
B. Rosada [Da solo e in silenzio]
«...quella di S. è una poesia che ha
radici, cioè ha un tempo e un luogo di nascita nell'Italia del Novecento. Una
poesia come questa è impensabile altrove: si inserisce nella nobile tradizione
di un perenne petrarchismo, che nasce un secolo prima di Petrarca col "dolce stil novo", e che dà i suoi esiti recenti nella poesia del Novecento, che
rispetto al precedente main stream si presenta da Betocchi a Turoldo a Raboni a
Ruffilli, con caratteri molto simili, ma anche con alcune differenze specifiche,
in particolare con una carica di significazioni più intensa e quindi con movenze
concettuali più esplicite. E questi aspetti che caratterizzano la poesia di S.,
si concretano nella particolare finezza con cui egli organizza la materia
fonica, che finisce per assumere una funzione connotativa.» -
M.
Scrignòli [Ad un casello impreciso] «...un bel libro che sto leggendo e rileggerò
nell’ascolto di una scrittura notevole e alta. Ritrovo nelle tue poesie la
particolarità di una voce forte, di un’energia linguistico-mentale capace di
andare oltre la superficie della parola per calarsi nella quotidianità della
vita e delle cose, e questo accade di raro in modo così efficace.» -
M.T. Secondi [Ad un casello impreciso]
«Parole che raccontano in versi la fatica di vivere, la solitudine,
l’incomunicabilità, l’incomprensione, la melanconia, la noia. Incontri senza
amore...» - S. Strazzabosco [Ad
un casello impreciso] «Le poesie mi sembrano molto belle: hanno un respiro
lungo, un tono riflessivo e colloquiale, una musica sobria e malinconica.» - F. Tomada
[Ad un casello impreciso] «...è un libro che ha il profumo di un oggetto
di artigianato scoperto per caso, ma di indubbio fascino: l’autore veneziano,
giunge alla sua seconda raccolta con un percorso per certi aspetti schivo, ma di
notevole maturità. Questo risulta evidente già dalla prima lettura delle liriche
di S., che sono costruite con uno stile maturo e definito, che privilegia il
verso lungo, all’interno del quale però emerge una grande attenzione per la
ricerca ritmica e fonetica, con un frequente utilizzo di rime, allitterazioni,
assonanze. La bellezza di questi versi però non è tanto – non soltanto – nella
tecnica di scrittura su cui sono costruiti, ma nella naturalezza del loro
fluire, che rende la tecnica stessa elemento calato nella poesia senza
forzatura, così da accompagnarne ed esaltarne la voce e i contenuti. […] La
testimonianza di S. segue due percorsi principali: quello privato, dove
l’oggetto della scrittura è il sentimento, e quello pubblico, che spazia nelle
tematiche – l’immigrazione, il precariato, il valore storico della politica – ma
come denominatore comune anche qui mantiene un forte legame con la realtà, anche
geografica, ed un diretto coinvolgimento dell’autore, capace come pochi altri,
nel giro di pochi istanti, di passare dalla prospettiva individuale a quella
collettiva... Non si tratta di una poesia esplicitamente civile se non in pochi
casi: il valore civile risiede piuttosto nella sottolineatura del senso di
eticità che ogni essere umano dovrebbe portare in sé, e che si configura come
condizione necessaria per vivere con pienezza, anche se al prezzo di una forte
amarezza di fondo nell’osservare che le aspirazioni poche volte coincidono con
la loro realizzazione.» - S. Valentini: [Ad un
casello impreciso] «Sembra davvero parlarci da un confine, S., con la voce
ferma e quieta di chi non ambisce tanto a mettere in guardia – a che pro, se un
“altrove” è impossibile? – quanto a invocare ed evocare la nostra
consapevolezza, a stimolare e incoraggiare la nostra dignità di esseri umani. In
questo, solo in questo, la sua poesia civile è anche poesia politica, purché
tale termine sia inteso nella sua accezione antica e non come allusione al
mortificante teatrino quotidianamente riferito dalle cronache. Sembra parlarci
di un mondo che finisce anche se, come sempre avviene mentre si è in mezzo al
guado, solo chi verrà dopo di noi potrà dire che mondo ci avrà atteso. Ed è per
questa ragione che, tra i molti possibili riferimenti che lo stesso autore non
tace nel suo libro fitto di citazioni in epigrafe e nomi di poeti, scrittori,
cantautori, tra i tanti accostamenti e paragoni fattibili e legittimi, tutti
fecondi, a noi è venuto in mente soprattutto un nome. Sì, questo magnifico libro
di S. possiede a nostro giudizio un antenato […] Alludiamo al libro di poesia
che, nel 1935, rappresentò l’esordio letterario di uno dei narratori italiani
più amati e popolari del secolo, Cesare Pavese: […] Lavorare stanca è il libro
della disperazione contadina, ma l’aria che vi si respira è proprio quella di un
mondo in dissoluzione, destinato a scomparire, giunto al capolinea del suo
cammino millenario: un mondo che non sa quale futuro lo attenda, collocato al di
qua della frontiera di fronte ad un futuro indicibile […] Le poesie di S.,
beninteso, non sono disperate come quelle di Pavese, ma nelle une e nelle altre
si rintraccia un senso di smarrimento, il vuoto di un mondo che si sa non essere
già più, senza che ancora si scorga un futuro attendibile. Questo libro di S.,
Ad un casello impreciso, è il Lavorare stanca degli
anni Duemila: se Pavese rivolgeva il suo sguardo, emozionale seppur
lucidissimo, alla durissima vita delle campagne, S. fa altrettanto
rispetto al suo, anzi al nostro tempo urbanizzato e postindustriale […] e vale
appena la pena notare come, anche stilisticamente, i due pur diversissimi autori
si chiamino l’un l’altro con i loro versi narrativi: lineari e omogenei quelli
pavesiani, più mossi e vari quelli di S., ma gli uni e gli altri densi d’un
respiro solido come il pensiero che li regge, autorevoli e non compiacenti,
consapevoli della tradizione ma da questa autonomi.».
Siti web:
www.club.it/autori/effettivi/e-l/francesco.sassetto
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