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Servetti

Mirko (***), poeta, vive a Imperia. Esordisce nella seconda metà degli anni '70 con poesie, interventi critici e d'opinione sulle pagine della rivista "Alla Bottega" e successivamente avvia una collaborazione con Teresio Zaninetti col quale "crea" il primo libro di poesie (Frammenti in fuga, 1981). A questa prima esperienza editoriale sono seguiti contatti e collaborazioni con diversi periodici di letteratura. A metà degli anni Ottanta inizia un'ininterrotta corrispondenza con Giorgio Bárberi Squarotti, da lui considerato mentore e preziosa guida. Si interessa anche, sebbene sporadicamente, alla poesia verbo-sonora partecipando a due antologie in tape: Paté de voix (1982, Offerta speciale) e Baobab (1986, Tam Tam), in quest'ultima si avvale della collaborazione dell'amico musicista Walter Ferrandi. Collabora, col gruppo toscano di ricerche intermediali Eliogabalo, alla realizzazione di un cortometraggio sperimentale dal titolo Ciack... la prima!, girato presso un centro psichiatrico e di cui cura la regia. Ha pubblicato le raccolte poetiche: Frammenti in fuga (e l'occhio pesto) (1981, coautore Teresio Zaninetti), Quasi sicuramente un'ombra (1984), Canti tolemaici (Degli scherzosi proemi) (1989), Canti tolemaici (Le rifrazioni asimmetriche) (1993), L'amor fluido (1997) e Quotidiane seduzioni (2004).

Sulla sua produzione letteraria hanno scritto, tra gli altri: I.M. Affinito «S. è sicuramente uno sperimentatore. Si potrebbe pensare ad un lungo, unico poema, il poema della versatilità perché è girevole nella sua andatura espressiva che riflette un animo portato alla ricerca di nuove soluzioni stilistiche, pur imbevuto di sensazioni come lo erano quelle dei poeti tuttavia non sperimentalisti, per una più sincronica poesia.»; G. Autiero «Un gioco vivo dell'intelligenza, in cui la poesia (quella moderna, per quanto disciplinata in antiche strofe) continua a contraddire con dettato alto ed arduo la sua presunta innecessità.»; F. Batini «Il linguaggio di S. sembra sempre sul punto di traboccare, di voler trovare un'oltranza di espressione.»; M. Bettarini «... bravura, coraggio stilistico nell'uso attualizzato, inquieto, duttile del sonetto; nell'uso, anche, del 'dialogo a specchio'… c'è ironia, amore, dolore, sapienza, "leggerezza" ed insieme intensità.»; D. Cara «S. ritorna sugli spalti del suo pensiero che rifonde il senso della dissipazione distante da ogni post-realismo, con animazioni, prove di materia vernacolare, punti di fuga su nuovo gioco, trasmissioni di dissenso mai modificato, sempre gestito come scompiglio all'ordine che la misura endecasillabica aveva iniziato e promesso come suono di fondo.»; N. Carosi «In un tempo in cui la poesia contemporanea non si misura più con la metrica, né tanto meno con rime e contro rime, S., nel suo personalissimo lavoro poetico, riesce a stupirci e a dimostrare il contrario... una poesia colta e còlta nel fascino di una quotidianità che sa misurare emozioni e versi.»; A.G. D'Oria «Il quotidiano, trattato come una seduzione intellettuale, emerge nei versi a esprimere la dimensione politica, l'ironia sugli uomini e le cose, la lucida follia dell'amore, la passione per i classici e non solo. La scrittura è densa, l'autore usa un appropriato pastiche linguistico servendosi al momento giusto del linguaggio gergale accanto all'italiano colto e al dialetto.»; V. Esposito «... mi colpisce soprattutto l'abilità tecnica del sonetto che, come si sa, resta un carme amplissimo pur nella sua brevità. Non tutti i poeti che l'hanno "riscoperto", nel Novecento, e sono stati parecchi, hanno saputo comporlo con la destrezza di S.»; A.M. Ferrero «Poeta classico il S., ma non servilmente ossequioso della tradizione, poeta simpaticamente trasgressivo; poeta colto, basti osservare le frequenti citazioni latine o di altri linguaggi. Poeta ironico che non disdegna i vivaci guizzi nel vernacolo. Poeta interessante, che non appartiene a nessuna scuola né corrente, ma percorre una via tutta sua, sicuramente solitario ma coraggioso, sicuramente indifferente verso coloro che potrebbero non comprendere la bellezza enigmatica, quasi arcana della sua poesia.»; S. Gros-Pietro «Ciò che suscita meraviglia in Mirko Servetti, scrittore ormai giunto a dare di sé un'espressione poetica maturata in diversi libri collocati in un arco di tempo che raggiunge i venticinque anni, è la sua capacità di mutare i registri e i codici di scrittura, di scegliersi nuovi campi di ricerca e d'orientamento, di perseguire direzioni anche profondamente differenti, ma sempre riuscendo a realizzare un convincente risultato di capacità ed efficacia di scrittura, come se esistesse (e probabilmente esiste) una proprietà commutativa della poesia. La bellezza di S. sta principalmente nel dimostrare le incredibili possibilità del verso e le innegabili versatilità del suo eccezionale estro.»; "Il Club degli autori" «A volte pare che "vapori tossici" emergano dai versi incalzanti e ossessivi, stravolgimenti che straziano la gola, lacerano le certezze, annullano e ricreano la voce in un continuum satanico: gli occhi s'impregnano d'immagini, i luoghi si vanificano, i pensieri implodono in un "cervello pandemonio di combinazioni". Per stupire, giocare, turbare.»; G. Ladolfi «Ho letto con grande interesse la raccolta Quotidiane seduzioni... uno dei pochi autori a possedere oggi gli strumenti poetici... »; "La Voce di Mantova" «Il sesto libro di versi di S. è affidato alle Edizioni del Leone attentamente curate da Paolo Ruffilli e reca il titolo Quotidiane seduzioni. Si tratta di un percorso curioso e interessante, preso nel giro di sonetti e sestine, di citazioni a volte lontane e colte, altre in evidenza di attualità. Proteso e inteso all'azione contro violenza e prepotenza massmediatica, contro il potere in toto, il messaggio avanza in ricca capacità di comunicare...»; G. Linguaglossa «Mai la poesia contemporanea come in quella di S. ha saputo proporre una tale drastica e totale identificazione dell'antinomia tra la Tradizione e l'Antitradizione; e forse lo scintillio che tale giustapposizione produce è impareggiabilmente posto come fondamento del poiein e sua clausura. S. è forse uno dei pochissimi poeti a me noti che giunge alla conclusione che il bello stile, anche lo stile più rarefatto, è anche il prodotto della barbarie della cultura che quello stile legittima e finanzia; S. ha una acutissima percezione di questo nesso problematico. Il problema che in altri poeti di minore levatura non viene neanche sospettato, assume in S. una dimensione assolutamente preponderante: lo stile che punta alla perfezione precipita in un buco nero senza fondo, lo stile precipita nello stile. Piuttosto che una costruzione lo stile si rivela essere una vera e propria combustione, non più catena di rimandi da segno a segno ma catena di prigioni dorate che non rimandano ad alcun segno e ad alcun senso. Orgogliosamente irriverente della tradizione (qui la parodia del linguaggio del primo Montale sta in vece dell'arte con la A maiuscola), la poesia di S. opera con tutte le sue forze in direzione della nullificazione e del nichilismo.»; F. Mandrino «...una lettura più che libera, sciolta, non ho detto semplice o facile; una lettura conscia di non dover rendere conto a nessuno, se non al piacere di se stessa, e soprattutto che non soffre della fatica compiuta dall'autore, che non ha certo fatto nulla per evitarla, anzi; sonetti, sestine, sonetti caudati, sestine doppie, e pure un sonetto acrostico, il quale, con le iniziali di ogni verso va a formare il titolo, "accento amoroso".»; G. Moio «E' importante, dunque, il ritmo, l'incalzante musicalità dell'esplorazione che lungo il crinale della tradizione poetica, s'introduce ben al di là della stessa espressione tradizionale e intimistica, riuscendo ad operare nel testo un galoppante significante, fatto di rimandi più che di certezze, di invettive intelligenti più che "retorica della rabbia".»; L. Nanni «Non è detto che forme obsolete debbano per forza di cose usare un linguaggio adeguato, anzi, S. riduce testi entro le cosiddette "forme vuote" quali il sonetto, anche caudato, e perfino il perento discordo d'origine provenzale; peraltro affiora in più punti il mistilinguismo di riporti culti: è allora la qualità della scrittura a farci capire che siamo di fronte ad un autore dotato di inesausta inventiva, i cui vocaboli e tecnicismi correlati e non gratuiti portano a un'elevata creatività.»; D. Roda «Si ha l'impressione che il pensiero di S. debba traboccare da un momento all'altro da un verso formale troppo stretto. Il linguaggio utilizzato è eclettico in modo rocambolesco, composto frenetico di termini ora gergali ora aulici, ora vernacolari ora stranieri ora latini. I frequentissimi enjambements sembrano voler tendere il sonetto come una corda, prosicizzando le liriche. Su tutto l'odore della terra e i suoni del mare, onnipresenti e materici tra i versi.»; C. Santulli «...in più, c'è il moderno interesse e recupero in funzione sperimentale delle espressioni dialettali e della contaminazione linguistica, volta verso l'antico dell'origine della letteratura occidentale, per esempio verso modi provenzali, che si fondono agevolmente nella flora e fauna mediterranea, ove compaiono gli aranceti, l'erbaluisa, i rosolacci, i muschi (ma la discrezione e l'intimo pudore di S. potrebbero ugualmente richiamare gli sbarbariani licheni) e le diatomee. In buona sostanza, S. si muove in un equilibrio instabile, ma forse proprio per questo con squarci autenticamente poetici, tra avanguardia, ermetismo ed attualità, e sembra interessato ed affascinato dai "luoghi di confine" linguistici, come se stesse camminando sull'impervia costa ligure.»; P. Topa «Non si può certo dire che la poesia di S. sia della diuturnità; anzi vi sono spunti quanto mai elaborati che aleggiano ad un'ispirazione neoclassica alla quale egli si rivolge senza plagiare. C'è indiscussa originalità concepitiva, soprattutto forbitezza linguistica nel manipolare il verso in modo che si riesca a dare spazio all'immaginazione. Una poesia non certo ricorrente, oserei dire, del tutto diversa dalla consuetudine, perché con essa S. vuol dare una sua impronta personale all'espressione poetica tale da problematizzare il lettore superficiale. Può ben parlarsi di alta poesia, perché essa ha il merito di rientrare negli schemi dell'arte creativa, con un linguaggio di elevato valore poetico.».

Mirko.Servetti@tele2.it

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