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Zaccaria
Dale (Subiaco), poetessa e scrittrice, vive a Settecamini di Roma. Ha
pubblicato la sua prima opera poetica Nuda Fiòcine
(2000), Di ridicola bellezza (2002, 20042),
Non per
l'amore a dire (2006), Inedito per una passante,
Epilogo di una poesia civile
(2009, in antologica).
Sulla sua produzione letteraria hanno scritto, tra gli altri:
G. Bárberi Squarotti «…sono molto belle le sue
poesie d'amore, fervide, luminose,
festose, giocose, nutrite come sono da un erotismo elegante e armonioso che
si avvale delle ricche metafore floreali. Le variazioni
della rosa amorosa sono fascinose e saporose ...»;
C. Cretella «Giovane poetessa dotata di una grande
passionalità espressiva Z. colpisce per la sua vena performativa,
in cui emergono la forza del corpo ondeggiante e la modulazione intensa della
voce, che spazia dai toni profondi ad un roco capace di raggrumare i versi nello
spazio di una stretta intimità, quasi un mistico abbraccio con l'ascoltatore.
Ispirata alla migliore confessional poetry femminile, la Z. lavora sul
respiro come misura del corpo, plasmando un ritmo serpentino, che si nutre di un
uso raffinato della pausa: atmosfere new romantiche, decoupage di citazioni,
strappi di senso ricamati su uno sfondo di parole apparentemente quotidiane, che
dileguano la loro pregnanza familiare per divenire umore della lontananza,
detournement, chimere, che vivono la loro beatitudine icastica in un remoto
passato della lingua.»; F. Muzzioli «La bellezza che appare, e si propone come esperienza "sacra" di qualcosa di
travolgente ("casomai l'insostenibile")
è però, allo stesso tempo, "ridicola":
lo è, da un lato, in quanto ritenuta tale dalla logica dominante, auspice sì
di bellezza, ma di quella ridotta in modelli preconfezionati; ma
è "ridicola"
anche, dall'altro lato, perché per la sua stessa "insostenibilità'’
è sempre
sul punto di rovesciarsi nel negativo. Non a caso nella poesia di Z., gli elementi della visione mistica,
dove sono evocati, si ritrovano messi sotto cancellatura: e così del dio "dio
che non è dio" (il dio che è fango, spirito e materia), della "irreligione
piena", della misticità che è "ferina", ma anche della "bella anima" che
rischia di essere "un'anima impazzita", e della bellezza stessa che, quando "si
dona", "è già tutta incattivita".»;
V. Ravagli «…Colpisce la musicalità di questa
poesia che sembra scritta per essere recitata con l'accompagnamento di uno
strumento dai suoni leggeri.... E' piena di aria, colori e un'infinità di fiori
e cieli e stelle. E di luce, fuori e dentro: osservazione, ricerca; ed amore,
spirituale e terrestre. Una vertigine di sensazioni, atmosfere, incontri per
questa "passante" appassionata che osserva stupita la terra madre, e la canta:
le immagini poetiche si rifanno per lo più al mondo vegetale. Nella poesia di
Z. germogli, radici, erba son complementari a lei, parte stessa di questa
natura che ama e canta. Le sue parole sono libere come l'aria e cambiano di
senso, assumono significati nuovi, sole o accoppiate tra loro creano
immagini/suoni comprensibili e inediti: Z. osserva gli alberi "che non
dicono" c'è "il volare delle mani
/ uno sbadiglio d'anima", "lo stormo dei
..capelli" "lo sgorgare delle campane" "e sono nuvole,
/ le palpebre, / montagne,
/
ombre del cielo". E' "nel cuore del mondo", dice: "nell'acqua
/ nel fondo / ti
cerco". Quando scrive dei fiocchi di neve pare descrivere il nostro percorso
umano: "e passavano e morivano /
e morivano e passavano". Assonanze, parole
ripetute ad arte, musicalità , bella poesia, anche per noi "passanti",
sconosciuti, gli uni agli altri, forse a noi stessi. Passanti in cerca di amore,
silenzio, parole e canti. Con intorno un mondo bellissimo, una terra che ci
regala infinite fantastiche immagini …»;
J. Spaccini «…Limpida fredda e brillante nel timbro, la sua poesia si abbandona ad
accostamenti audaci e felici (una stoffa di vento chissà / un quadrato di
gigli) talvolta troppo cerebrali (l'ossessiva invenzione delle parole valigia:
nottetarda, biancoseppia, cosisia, pesanteleggera nonché dei sostantivi), ma
così è il flauto traverso quando vuol essere tamburo.
La musicalità di Z. si avverte più sincera quando chiede ausilio al
romanticismo mai rinnegato nell'amore: getta le ginestre ti prego e chiudi gli
occhi, negli inviti ma anche nelle interrogazioni: Dimmi, forse
è questo /
tremito della carne / il passo dell'aquilone /...? nella felice soluzione dei
capelli stretti al tempo, quei bei capelli sbriciolanti, nella metafora densa
del cuore (il suo), mucchio d'acqua nella cisterna. E se la parola anima ricorre almeno otto volte non
è un caso. Z. giura
(parafraso) di non voler toccare ne' l'abisso né l'anima, quella che l'oggetto
del suo scrivere fa precipitare, quando non si fa essa stessa leggera, a tratti insouciante (uno sbadiglio); anime tutte al femminile, facili a frantumarsi,
esigibili ed esatte, se è vero che il suo morire
è l'altrui splendere...»;
L. Zammar «…la ripetizione anaforica, epiforica, epanalettica unita a figure
etimologiche e all'uso di consonanze ed assonanze rendono parole semplici e
quotidiane ricche di nuovi significati e le liberano dalla contingenza per
renderle pura espressione poetica. E in questa chiave che va letto anche
l'utilizzo di parole che definirei basse, se non volgari. Inserite in una lirica
esse perdono la normale connotazione e si rivestono di nuovi significati, pur
mantenendo la propria prepotenza e forza.
Alla luce di quanto affermato non ci si deve stupire del fatto che la poesia di
Z. oltre ad essere una poesia carica di sensualità sia anche una
poesia che va letta più e più volte, in cui ogni parola va soppesata e
compresa fino in fondo affinché la moltitudine di significati si faccia a poco
a poco strada nella nostra coscienza…».
e-mail:
dalezaccaria@yahoo.it
web
www.dalezaccaria.com
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