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Prefazione a
Silentes anni
Dianella Gambini
La forza evocativa del titolo Silentes anni viene a infrangere,
paradossalmente, quello stesso silenzio che l’autrice si era imposta in anni di
appartato quanto appassionato esercizio di scrittura. Lei stessa mi ha spiegato
che il silenzio nel quale aveva volontariamente recluso l’ispirazione (e
l’aspirazione) poetica, aveva poi finito per dissolverla in un muto, capzioso
rifiuto della propria produzione, per anni rimasta dormiente in fondo a uno
scaffale, schiacciata inoltre dal crescente interesse parallelo per la scrittura
narrativa del racconto. Poi il risveglio perentorio, tumultuoso, fecondato da
una rinnovata percezione della parola poetica e dal desiderio di “svelarsi” a
possibili interlocutori. Abbandonato definitivamente il decorativismo, a detta
dell’autrice, quasi araldico della produzione giovanile, successivamente
sottoposta a una radicale operazione di svuotamento formale a vantaggio del
contenuto, resta pur tuttavia quel particolare amore per la parola mai frutto
del caso, neppure quando si fa cadenza monologante quasi sommessa e scevra da
intenti di preziosismo.
La riflessione sul mondo extrasensoriale, linfa portante della sua
poesia, parte proprio dal mondo dei sensi, fitto reticolo di immagini trascese
per mezzo della metafora dalla volontà di conoscenza che assume la parola
poetica, spesso tessuta sul filo dell’allitterazione, della sinestesia, di una
circolarità d’impianto sovente quasi impercettibili a una prima lettura. La
vocazione, per così dire, metastorica della sua ispirazione si risolve in
un’ansia perenne di superare il divenire, il tempo, la transitorietà della
materia, per cogliere quanto d’eterno, stabile, trascendentale, si nasconde
dentro di essa. A volte, la difficoltà del dettato è solo apparente (Borges, del
resto, osservava che in poesia il significato è un feticcio) e funge da schermo
a una meditazione corrugata sul senso della vita e della poesia stessa, laddove
più disteso si fa il tono nell’evocazione del paesaggio, interprete sovrano di
gran parte dei suoi versi, vissuto come ponte ideale e vivifico verso una
dimensione quasi religiosa della realtà.
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autore |
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