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Interventi in
“Marilla 1958-2008”
Marilla Battilana
un coerente percorso
Claudio H. Martelli
Il
lungo viaggio di Marilla Battilana attraverso la letteratura e l'arte
testimonia la dicotomia
di fondo che è alla base della sua creatività. Da
un lato la sorgente da cui sgorga la vena cristallina di una percezione lirica del
mondo in tutte
le sue manifestazioni che si alimenta nelle vene
dell'inconscio dove vibrano i ritmi profondi della vita, le formule
misteriche attraverso le quali è possibile cogliere i nessi fondamentali della
stessa, che generalmente sfuggono alla percezione comune. È qui che si
alimenta la sua fantasia, l'esigenza inestinguibile di tradurre in parole,
segni, colore, un sentire sincero, mai quieto, sempre in ebollizione.
Dall'altro la razionalità di una mente vigile,
colta, attenta, riflessiva, impegnata a cercare soluzioni
espressive che in qualche modo riescano a formulare ogni possibile sintesi
razionale. La conseguenza è il generarsi di quelle interazioni misteriose
«cui concorrono ragioni assai più profonde di quelle sancite dalla moda, dal
gusto, dal mestiere», per dirlo alla maniera di Gillo Dorfleso).
Una realtà che contraddistingue la produzione della
Battilana a partire dall'abbandono delle iniziali prove sul finire degli anni
Cinquanta,
intrise di un figurativismo memore della lezione
sia del tardo impressionismo che dell'espressionismo, e proseguito fino alla
soglia del
1960.
Del resto che altro avrebbe potuto fare
una giovane artista che andava formandosi tra Milano
e Venezia che, guarda caso, erano in quegli anni due dei vertici del triangolo, Roma al
terzo, del rinnovamento dell'arte italiana dopo la tempesta
della guerra? Un rinnovamento che procede fra tensioni anche a sfondo ideologico
ed ambiguità estetiche, con fughe precipitose in avanti e con tentativi di
ritorno al passato, con prese di distanza dal fascismo da parte di una
generazione di artisti che, in verità e nella maggior parte dei casi, almeno
fino al
1943,
dal regime avevano ricevuto non pochi
benefici. Permane ancora la scia del Novecento e si scontra con la polemica
reazione degli astrattisti lombardi
mentre va spegnendosi, non senza qualche
tardivo frutto, la meteora del Futurismo. I
nomi
dei
traghettatori
sono
numerosi,
ma
quattro sono particolarmente
importanti per quel
che
riguarda
la
vicenda
di
Marilla
Battilana:
Ennio
Morlotti,
Bruno
Cassinari,
Emilio
Vedova,
Giulio
Turcato.
Sono
questi,
in
un
certo
senso,
i maestri
ideali
cui
guarda
la
giovane
pittrice
che
va muovendosi, inizialmente e
per un breve
periodo, in
direzione
informale
e poi
verso
un
espressionismo
astratto
che
andrà
strutturandosi
in maniera sempre più originale attraverso
l'uso di macchie di colore – taches – già
teorizzato da Michel Tapié. Un
percorso condiviso, anche se
talvolta coflittualmente e in mezzo a vari ripensamenti, da un'intera
generazione impegnata ad indagare gli
equilibri possibili tra forma e
materia, non solo in direzione informale,
ma anche per scavalcarne i limiti oggettivi nel recupero di forme
antropomorfe e zoomorfe che segnano una rimeditazione della lezione
cubista e, prima ancora, di certe soluzioni
messe in atto da Cézanne e
Fautrier già oltre il concetto di
forma secondo i canoni della tradizione del passato.
Per Marilla Battilana si trattò dunque di dotarsi
di un linguaggio consono al suo sentire,
capace di coniugare sentimento e razionalità,
in linea con la stagione del rinnovamento,
contrassegnato dallo stesso
tonalismo caro ai seguaci della
Postpainterly Abstraction e che già lasciava intravvedere
quell'alfabeto marillico che prenderà decisamente il suo avvio a cavallo
del secolo in cui il segno assumerà il
valore di un codice visivo in grado
di proporre soluzioni in equilibrio
tra ritmi evocanti opzioni sia metriche
che dinamiche in direzione di un divenire dilatabile all'infinito.
Prima, in una stagione di ritorno alla sperimentazione
razionale, la ricca produzione dedicata
alla poesia visiva, un recupero di antichi richiami futuristi, concreti, oggettuali addirittura, talvolta
occhieggianti alla pop art.
Un viaggio lungo,
un percorso per molti aspetti solitario,
in cui conciliare, pacificandole, le due nature di un'artista, intenta,
di volta in volta – mai improvvisando,
senza sbavature – a perseguire un
ideale di comunicazione artistica autenticamente libera e liberatoria.
(Gillo Dorfles, Ultime
tendenze nell'arte d'oggi. Dall'Informale al Postmoderno, Feltrinelli, Milano
1961)
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