Interventi in
“Marilla 1958-2008”
Dal fascino della forma a nuovi codici visivi
Roberta Fiorini
da: Eco
d'Arte Moderna
Firenze, maggio 2004
Venezia, Notte del Redentore
(riprodotto
nella pagina a fianco) è stato il mio primo
approccio alla pittura di Marilla
Battilana, in mostra nel Palazzo Pretorio
di Certaldo nell'ambito del 'Premio
Italia per le Arti
Visive'2003; un approccio, confesso,
che giunge un po'tardivo nei confronti
di un'artista il cui nutrito bagaglio
di sperimentazione e di partecipazione nell'arte risale alla fine degli anni
Cinquanta e attraversa diversi affascinanti
percorsi nella pittura ma non solo: nella
letteratura, nella poesia,
antesignana ai primi anni Sessanta
nella poesia visiva.
Quella
Notte de/Redentore,
una tecnica
mista che lasciava supporre anche l'uso
di smalti, era di contenute
dimensioni ma
una cattedrale di suggestione emotiva: trame della
croce come impronte di merletti e d'oreficerie e gocciolature su un'atmosfera
vibrante di rosso oro azzurro.
In poche tracce il sapore di una
venezianità sospesa tra sublime eleganza e sfaldamento (Marilla Battilana è
nata a Milano ma è 'spiritualmente' veneziana, per origini famigliari e
formazione
culturale-artistica).
Incontri successivi hanno dilatato
questa prima percezione: nello stesso
anno quello con la grande
'esplosa'
Suite
della luce n°
1,"Fiorino d'oro" al XXI Premio
Firenze e perla del ridotto ma
significativo repertorio presentato subito dopo alla fiorentina Galleria del Candelaio.
E allora la visione si allarga ad oli e
acrilici, piccole e preziose carte, bagliori
d'oro e liquescenti verdi-azzurro, e ancora una venezianità qui tra
opalescenze e riverberi d'acqua e cielo.
È un moto continuo di segni che si agganciano
creando addensamenti di luce
e poi si separano e fluttuano come frantumi,
corpi liberi nello spazio.
Stesure diverse di un unico racconto nel quale l'artista
rende plausibile la connessione fra concretezza e astrazione abilmente
giocando sul filo d'un orizzonte
allusivo in cui è concesso supporre
la genesi di una forma quanto il suo dissolvimento come superamento in
divenire'altro'.
A fondamenta è il suo codice visivo che attribuisce una
iconografia al segno, lo rende soggetto espressivo, quasi l'io narrante al
tempo stesso lo usa come 'strumento' espressivo, iterabile eppure modificabile
nelle sue molteplici ipotesi di intersecazione. Ed è proprio nella costante
di una raffinata e consapevole provocazione visiva il fascino di questi suoi
tessuti pittorici.
Ed è stato un privilegio inatteso ed intrigante poter
ripercorrere dalle pagine personalissime di un suo taccuino l'evolversi
dell'itinerario che l'ha condotta dal fascino della forma ("del gesto e
dell'ellisse" della michelangiolesca
Creazione di Adamo)
alla definizione del suo "alfabeto marillico".
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