Facciamo quattro conti: chi qui scrive appartiene ad una
generazione che ha visto sei papi e dunque non ha più il diritto di
emozionarsi. Soprattutto quando si pensa a "che cosa è successo" negli ultimi
cinquant'anni (è successo quanto non è successo negli ultimi 500 anni, cioè gli
accadimenti – storici, scientifici, politici, culturali, artistici – si sono
susseguiti con tale ritmo progressivo/tendenziale da rendere progressivo e
tendenziale il nulla e il tutto degli accadimenti) e quando si pensa a chi,
davanti al cavalletto, ha vissuto, promosso, subìto, partecipato, sofferto, per
la sua parte, quello che "è successo" nella seconda parte del Novecento, ci si
rende conto che la "costante del dubbio" che impera nella logica della
(attualità culturale – chiamalo relativismo (Ratzinger), spirito di ricerca
(Severino), negazione dell' Assoluto (Surtre), pensiero debole (Vattimo)
– ha
permeato la evoluzione artistica ed estetica di questi ultimi cinquant'anni.
Tanto da rendere immane, anzi immanente (participio presente del verbo immanere)
una domanda su tutta la logica del pensato e dell'espresso artistico: cosa è
rimasto, delle tante ricerche, dei tanti pensamenti, delle tante rivoluzioni
copernicane, annunciate nei padiglioni della Biennale di Venezia dal 1930 ai
nostri giorni e durate, ahime!, lo spazio del mattino (dell'inaugurazione)? Sono rimaste macerie mnemoniche (sarebbe bello anzi, dire
macerìe, da macerare. Almeno è più nobile).
Sono rimasti questi attraversamenti dei territori temporali invasi dai demoni
della recherche continua; molto proustiana, perché il dubbio
continuo che si sia perso solo del tempo esiste ed è immanente.
Sono rimasti questi quartieri ideografici dove più che
novissimi linguaggi, allignano logos che portano a les scandales: della logica
del pensato: tanto che se non fai scandalo (Cattelan) non fai arte. Tanto che lo
stesso concetto di arte si è banalizzato in una sorta di equivoco
dell'originalità (attenzione, qui equivoco sta per come deve stare: dualismo
interpretativo egualitarie, contrario di univoco). Più sei originale, più sei
creativo. Ma univoco è l'accoglimento nella storia dell'arte contemporanea degli
sperimentalismi. Macerie.
Ma a ben pensarci, è giusto che sia così. Non possiamo
togliere all'uomo, anzi a quello che era l'homo habilis, il gusto del macerarsi,
dcll'incertitudine, del dubbio, del nuovo, dell'orizzonte interno prim'ancora
che esterno, dell'ansia di comunicazione con propri alfabeti ...
Inoltrarsi, con questo background alle spalle, nel percorso
antologico di Marina Battilana, qui esperito per sommissimi capi (è in corso di
stabilimento una monografia della pittrice milanese-friulana, con una ellisse
molto più estesa: questo catalogo non è che il prodromo) è operazione complessa
ma gratificante, per una ragione semplicissima: tutta la congerie della ricerca
storica del secondo Novecento – date alla mano – e stata anticipata,
antesignata, quanto meno intuita e quindi svolta, realizzata in senso coevo
dalla operatrice, pur essendo Marina Battilana non proclive alla navigazione
d'altura via radar o quanto meno all'allineamento alle direttive conto terzi
politico/culturali o – peggio – al conglobamento in scuole di pensiero invero
inglobanti il pensiero altrui.
Operatrice libera di essere libera, dunque. Che – pour cause
– non può essere delimitata nell'antirelativismo papista, nella pura
inquietudine dell'esprit severiniano, nell'accettazione del provvisorio
definitivo (o del definitivo provvisorio degli esistenzialisti, o del laico, ma
debole pensare postmodernista di Vattimo).
Ma per i motivi di cui sopra, ma anche perché proprio
l'operatrice qui in analisi è stata una partecipante deuteronomica (cioè non di
primo piano ma di primo piano per quanto pensato e svolto) alle vicende
estetiche del Novecento parte seconda, possiamo affermare che Marilla Battilana
è portatrice di quel dualismo interpretativo, ingrato e gratificante insieme,
che può riassumersi in un ossimoro di grande suggestione: in questi
cinquant'anni Marilla Battilana ha alimentato molte teorie sulla immobilità del
fuoco. Ben sapendo da fomentatrice di segno colto, quale è, che inani saranno i
camminamenti speculativi, del pensiero e del visto, dell'etica e dell'estetica,
che possano fermare l'energia del "nuovo", in quanto abbandono, ma non negazione
dell'esistente o del pregresso.
Nata a Milano, ma di operazioni d'area culturale del
Nord-est, è da considerarsi artista di profonda medianza segnica e cromatica.
Tradotto in italiano significa che i suoi segmenti e i suoi colori, le
segnazioni e le forme, le campiture e le ideazioni grafiche, sono derive di una
innata insorgenza gestuale che – grazie alla certosina tensione ad esprimere e
ad esprimersi coi segni e coi cromi – assurge a mediante artistico totale.
Attenzione, qui sorgono nell'osservatore delle domande
capitali, che potrebbero apparire melliflue e capziose e che melliflue e
capziose non sono: il segno artistico di Marilla Battilana è lavoro
architettonico portato alle alte sfere della poesia grafica? E' narrativa
arricchita dal valore aggiunto di una straordinaria predilezione per il
filamento segnico? E' incontenibile, e forse inconscia, attrazione per
essenzializzazioni, da linguaggio non informale ma informatico?
L'arte è destinata a rimanere senza "ragione sociale",
talmente essendo elusivo, speculare, complesso, sfuggente, ineffabilmente
concreto e concretamente ineffabile il concetto di arte, al punto che mai
potranno saldarsi i motivi a favore o contro il segno e il colore di un artista.
Ma già nel principiare della sua avventura espressiva,
l'osservatore troverà gli stilemi dello sviluppo che Battilana "porterà avanti",
prima e dopo la periodazione della poesia visiva, che è stata la lunga stazione
in cui ha sviluppato il "grande tema" della comunicazione letterista – in
anticipo, 1965, con quanto avverrà in Europa e in Italia, con Pignotti,
Bentivoglio, Isgrò e compagnia bella.
Sempre riassumendo al massimo la sua collazione stilistica,
possiamo dire che al primo periodo post-espressionista che è dei primi anni
Sessanta, è seguita la poesia visiva, in questo pre-catalogo ampiamente
documentata, anche con motivazioni che resisteranno alle usure modali, a cui ha
dato continuità "l'alfabeto marillico", periodazione che abbisogna di un momento
di riflessione, anche perché segna la parte più profonda dello stilema
dell'artista.
Nei cantieri dell'arte ci stiamo avviando verso le terre
incognite della virtual art, dell'art-web, della
disk-expression e quant'altro
viene dagli sbalordimenti tech. Ma c'è chi non si arrende alla sfida antropica
che vedrà di fronte nei prossimi decenni la mano dell'artista, come intatta era
dai tempi di Altamira, avversare gli strumenti telematici che ne stanno
prendendo il posto. Ebbene Marilla Battilana appartiene alla generazione che non
si è arresa in questa sfida "uomo-chips" e ha inteso distinguersi con una
tecnica che sembra riempire la tela con mille, diecimila, centomila pixel,
ottenuti segnando minuziosamente la struttura cromogeometrica con moduli
poligonali, che come spinti da una sorgente magnetica, vanno ad incastonarsi
l'un l'altro. Ed ecco il primato antropico dell'uomo sul software, ed è qui il
lato meravigliante: Battilana s'inoltra tra i costoni di una nuova poesis
tecnologica, non prodotta dalla combinazione informatica, ma germinata dal
viaggio segnico-luministico che (forse per non disperdersi lungo la storia
dell'arte, invero labirintica) lascia disseminati per i telai protoforme di
alfabeti in divenire.
Attesa la ormai quarantennale indagine sulla percezione
visiva svolta da questa ricercatrice, non solo alle frontiere dell'astrazione,
si dirà (dal narrativo giovanile, al psicollage di "Horror"; agli interventi
sugli objets), ci obblighiamo tutti a ricordare che non dalla conflittualità
temporale (tradizione contro modernità) emerge il primato espressivo dell'arte,
non dalla ormai vetusta querelle figurazione contro astrattismo. Con questa
pittrice lombardo-veneta, ci rendiamo conto che il primato espressivo vince se
medesimo e, come in queste opere geocromiche, supera i rischi conflittuali
insiti nel dualismo tra segno alfabetico e segno non alfabetico, (docent
Capogrossi, Dorazio e gli strutturalisti degli anni '60) attraverso una
considerazione lampante: è l'uomo, con le sue mani, a fare arte. In Marilla
Battilana, la libertà dall'astrazione è riportata in un assunto polimodulare,
strutturale, che si induce quasi per empatia, ed ecco il primato delle idee,
alla germinazione della forma e dei suoi medianti.
Nessun processore, per quanta memoria possa inglobare, può
ottenere questa continuità logistica.
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Lettura, olio su tela, 90x75, 1961

Composizione a spirale n. 1, (Paolo di gioia),
trasferibili su carta, 57x35, 1966-67

Average man, Serie "America", trasferibili su
cartoncino ritagliato, 60x48, 1971, Mart Rovereto

Slot-machine, collage, trasferibili, passamanerie
su carta vellutata, su cartone rosso, 75x60, 1973

Indicazione topografica n. 3, trasferibili su
cartoncino, 50x45, 1974 (cartella Usa)

L'escluso, autoadesivi e china su carta (biro e
maker) su cartoncino, 44x40, 1977

Racconto, objet trouvé con interventi dell'artista, su
cartoncino, 47x65, 1995

Elegia (For memory), tecnica mista su cartone,
52x50, 2001

Suite della luce n. 5, olio, smalti, acrilico,
vernice dorata su tela, 100x100, 2006 |