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Incantata
Laurana Berra, una scrittrice milanese
dotata di rara arguzia e spirito di osservazione,
rivela un mondo segreto tra le strade della città
Silvia Andreoli
Soprattutto, 2000
L'intelligenza la porta in viso come un gioiello prezioso.
Scaturisce dallo sguardo dritto e fiero, che però non tradisce mai arroganza.
Così Laurana Berra, scrittrice che a Milano è nata e cresciuta e tuttora abita, racconta un volto sconosciuto
della città, di chi sa come sia febbrile e dura, a volte, ma certamente anche vitale. L'importante, insomma, è
non fermarsi mai all'apparenza. Ce lo insegnano bene le sue Nove fiabe
metropolitane (edizioni Moby Dick), piccole perle di 'straordinaria
normalità', dove gli gnomi s'aggirano per piazza Slataper e un topo sapiente
vive nella biblioteca Soriani, ma quest'alchimia del reale la regala anche il
romanzo Il tempo di Connie (Marotta Editore) che racconta un'amicizia particolare.
sullo sfondo l'America
e l'Europa, ma con un occhio particolare su Milano.
Che cos'è per lei Milano?
Ho un rapporto molto concreto con la città, ci sono nata, vi ho
trascorso l'infanzia e la giovinezza: le scuole di via Spiga, il ginnasio al Parini e poi,
invece il liceo Volta a Como, la città ove era nata mia madre. A parte quest'intervallo
– era la
guerra – e un successivo periodo di due anni negli Stati Uniti, dopo l'Università, ho
sempre vissuto qui e ci
lega ora quella sorta di amore tiepido che viene forse, negli anni, a
sostituire le passioni.
A chi scrive fiabe la prima domanda che viene voglia di
rivolgere è sull'infanzia. Che cosa ricorda di quel periodo?
Le strade e le amicizie del quartiere dove abitavamo, in via
Serbelloni. Ricordo le case e i giardini di corso Venezia e via Montenapoleone, dove trascorrevo pomeriggi di studio o gioco con le compagne
e poi le giornate in famiglia. Sono ancora il lato più bello e
segreto di Milano. Mio padre era un uomo del Sud, un ingegnere umanista, lo definirei: amava raccontare per ore
e ore a me e mia sorella, bambine, i grandi classici, l'Iliade, I'Eneide o i romanzi di Victor Hugo e li trasformava in fiabe.
L'amore per il racconto è
nato allora?
Certamente nella memoria quei momenti sono rimasti e anche la
sensazione precisa che l'incanto non venisse dall'invenzione pura, com'è nelle
fiabe per bambini. C'era sempre una base concreta, di realtà che dava l'avvio al
gioco e lo rendeva speciale.
Nelle sue fiabe tutto questo torna?
Sono per natura
concreta e visionaria al contempo. I luoghi delle fiabe da cui escono i
personaggi più strani sono reali, precisi, sotto gli occhi di tutti. Basta
soffermarsi un po' perché la fantasia prenda il suo corso.
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