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Debito e credito di Raffaella Bettiol verso la cultura e gli amici

Ho rivisto Raffaella Bettiol, dopo molto tempo, all'ospedale: spero che non le dispiaccia se ripeto un fatto che ricordo con gratitudine, perché fu l'unica persona, legata ai ricordi di scuola, che mi venne a trovare in quel doloroso frangente; dopo, ci rivedemmo abbastanza spesso e abbiamo fatto lunghe conversazioni sui massimi problemi. Anche quelle conversazioni mi fecero bene. Così diventammo amici. Notavo la sua chiarezza, la sua franchezza, il suo amore per la cultura, verso la quale conservava una specie di gentile timidezza di scolara. Forse fa un po' fatica a vincerla, e personalmente credo di avere contribuito alla sua affermazione di poetessa, di organizzatrice di cultura, di "autrice". Pronunciava questa parola con qualche esitazione, ma il processo era già finito quando pubblicò il suo primo libro di versi al quale premisi una mia prefazione e, soprattutto, alla presentazione ufficiale, e quasi pubblica investitura, nella Sala Paladin in una lontana e fredda sera invernale del 2006. Presentava se stessa e molti la presentarono, lei e il suo nuovo libro pubblicato con Marsilio (Ipotesi d'amore). Leggeva e parlava lei stessa: altro che la timida ragazza che avevo incoraggiato! Ora sapeva dominare bene una piccola platea esigente e attenta. Curava voce e pause, con abili trapassi, con tranquilla disinvoltura. Con forti ricordi personali, a testa alta, con qualche audacia d'immagine che in altri tempi forse non avrebbe osato e un abituale flusso di ricordi, di evocazioni, di citazioni. Alcune delle sue poesie più belle evocano i genitori perduti, e li ricorda, li guarda, si confida con loro alla pari. Sente di appagarli, e si ripresenta a loro, ora. E' il diritto dell'affetto. Altro che la prudente ragazza che si era ricordata, senza ragioni specifiche, del suo vecchio professore quasi infermo, il quale attende, con molti altri, ancora il molto di lei che verrà di certo.

Enzo Mandruzzato

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