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Elsa Morante grande artista del nostro tempo
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da sx: Elsa Morante, Bernardo Bertolucci, Adriana Asti e
Pier Paolo Pasolini. |
Sintesi della tesi su Elsa Morante, con cui
l'autrice si è
laureata a giugno del 2002
in Letteratura italiana moderna e contemporanea presso
l’Università di Macerata.
Elsa Morante (1912-1985),
scrittrice di grande talento, è oggi quasi dimenticata. Eppure ciò che questa
donna ha dato nelle sue pagine è insuperabile.
Quella per la scrittura è
stata una passione che, si può dire, è nata con lei. Fin da bambina amava
scrivere fiabe e verso i tredici anni cominciò a pubblicare storie e poesie su
giornali per fanciulli. In particolare, Le straordinarie avventure di
Caterina, la cui composizione risale ai tempi del Ginnasio, la fiaba pubblicata
da Einaudi attesta questa sua produzione precoce. A diciotto anni, terminato il
liceo, con una scelta coraggiosa, abbandona la famiglia “per curiosità della
vita”1 e vive un periodo di assenza dalla letteratura, in cui ricerca
esperienze concrete. Nel 1936 conosce Alberto Moravia e tra i due nasce una
relazione che sfocerà, nel 1941, nel matrimonio. I racconti del 1937 con cui
collabora al “Meridiano di Roma” grazie alla presentazione di Giacomo
Debenedetti, confluiranno nel 1941 ne Il gioco segreto e saranno raccolti poi
ne Lo scialle Andaluso nel 1944. In essi prevalgono atmosfere kafkiane e la
suggestione del fantastico che ci ammalierà nei successivi romanzi. Il primo di
questi, Menzogna e sortilegio, cui la scrittrice ha lavorato dal 1943 al 1948,
è la saga monumentale della famiglia di Elisa, ultima superstite di un male che
ha travolto i suoi cari, e cioè la menzogna. Il linguaggio appare fiabesco,
stregato, frutto di quel sortilegio che ha sedotto la narratrice stessa. Già si
affaccia quella dialettica realtà-irrealtà che sarà centrale ne La Storia e ne
Il mondo salvato dai ragazzini.
Per la Morante la missione del poeta è,
infatti, combattere il principale nemico dell’uomo, da lei identificato
nell’irrealtà: «A tutti i mali che da sempre appartengono alla natura, oggi
sovrasta l’infezione dell’irrealtà, che è contro natura, e porta necessariamente
alla disintegrazione e alla vera morte»2. La sua voce, così, si leva
possente a denunciare i crimini della guerra ne La storia attraverso gli occhi
di un bambino innocente, di un’umanità inerme, violata dagli abusi del potere,
flagellata dal male universale, delle «cavie che non sanno il perché della loro
morte»3. Con questo libro la scrittrice ottiene un grande consenso presso il
pubblico (con una prima tiratura di 100.000 copie), ma apre anche un dibattito
polemico tra i critici, su un presunto populismo, dando adito a diverse
strumentalizzazioni politiche. Il mondo salvato dai ragazzini (1968) è una
protesta personale (la separazione da Moravia, il suicidio del suo amico Bill
Morrow) e pubblica (contro la guerra, a favore della gioventù, sull’onda della
rivolta sessantottesca), espressa in un tono ironico e provocatorio, dal
linguaggio fortemente aggressivo. L’isola di Arturo (1957) è un’elegia
dell’infanzia perduta («fuori del limbo non v’è eliso», sentenzia la Morante
nella poesia posta ad epigrafe del romanzo), un addio al limbo dorato della
fanciullezza declamato con straordinaria intensità lirica, accanto al gusto
unico del racconto e all’inseparabile ironia. È anche uno struggente richiamo
del sangue, una straziata ricerca della madre morta e del padre lontano e
sfuggente, così come Aracoeli (1982) sarà un’accorata invocazione
dell’immagine materna, ancora intatta prima del feroce massacro del male,
attraverso un dialogo sofferto e uno stravolto visionarismo.
Se i romanzi
sono, per così dire, la “specialità” della Morante, per la sua grazia del
narrare, non vanno dimenticate le sue prove poetiche, in Alibi (1958), cariche
di suggestione e di risonanze interiori, nonché l’acutezza e la profondità delle
sue riflessioni nella raccolta di saggi Pro o contro la bomba atomica (1987).
In tutte le sue opere ha manifestato una straordinaria finezza psicologica e
un’attenta sensibilità ai problemi dell’uomo del suo tempo (in primis lo
“scandalo” della guerra), ma soprattutto alla sua condizione universale, al suo
eterno dilemma tra bene e male. Attraverso i suoi diari, specialmente Diario
1938, abbiamo avuto modo di conoscere, oltre alla brillante artista, lei, proprio Elsa Morante, nella
sua sensibilità di donna. Abbiamo scoperto un’Elsa che soffre di solitudine, che
ha paura della morte in un brivido cosmico: «ma io ho paura»4, che invoca con
struggimento la Madre celeste: «Madonna, dammi un po’ di pace»5, che ama
moltissimo gli animali, in particolare i gatti e specialmente quelli siamesi,
con cui amava farsi fotografare. Ci commuove saperla indifesa e arresa di fronte
alla sofferenza e alla morte, nel suo tentativo fallito di suicidio, nella lenta
agonia della vecchiaia, fino a quel 25 novembre del 1985, che l’ha vista
chiudere gli occhi per sempre.
La vogliamo ricordare così, Elsa Morante, donna
dalla forte personalità, che s’intenerisce di fronte ad un gattino, con il suo
coraggio di guardare in faccia la realtà, la miseria umana, senza ritorcere
inorridita lo sguardo, ma amandola fino in fondo, pagando di persona, con un
dono generoso di sé. E la vogliamo ricordare, soprattutto, per l’incanto della
sua parola che, passando indenne attraverso il logorio del tempo, cavalca lo
sterminato deserto del silenzio e sboccia «fresca come una rosa»6 nella
nostra anima.
Note:
1. Dal testo
autobiografico col titolo “Elsa Morante”, Cronologia, in E. Morante, Opere, a
cura di C. Cecchi e C. Garboli, vol. 1, Milano, Mondadori, 1988, XXVII.
2.
Dalla nota introduttiva alla prima edizione Struzzi del Mondo salvato dai
ragazzini, 1971.
3. Un sopravvissuto di Hiroscima, citazione posta ad epigrafe
de La Storia: “Non c’è parola, in nessun linguaggio umano, capace di consolare
le cavie che non sanno il perché della loro morte”.
4. E. Morante, Diario 1938,
Torino, Einaudi, 1989, p.49.
5. Ibidem, p.53.
6. E. Morante, Pro o contro la
bomba atomica, Opere, a cura di C. Cecchi e C. Garboli, vol. 2, Milano,
Mondadori, 1990, p. 1516.
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