Considerazioni dell'autore sulla raccolta
Angeli stanchi
E’ il canto malinconico che attanaglia chi si
confronta con la giovinezza, con l’amore, con i sogni, con i sorrisi, con gli
abbracci, con la razionalità che annulla gli affetti, con i sentimenti che
costruiscono nuovi legami più forti, più consapevoli e generosi.
Il declino individuale contrapposto alla giovinezza,
che si enuncia con le parole di Pablo Neruda che introducono alla raccolta:
“…niente a te mi avvicina tutto da me ti scosta… …Eppure, tenebroso il cuore ti
cerca…”, unita alla stanchezza che si rileva nell’uomo che riconosce il suo
declino con la “scelta di una vita silente” perché le “…parole senza eco,
muoiono al tramonto…”, si avverte anche nel contrasto tra il desiderio “forte e
amaro del ginepro” ed il finocchio selvatico che “addolce l’aria”.
Questo desiderio di abbandono viene lenito dalla
certezza di una natura complice “perché il mare mi salva dal sogno…” e “…allora
potrà salire la sua discesa col sole che lo abbraccia” con l’umanità.
L’amarezza viene ammorbidita dalla capacità di
percepire (di ascoltare) “le lacrime di una pioggia insistita…” ma anche il
“chiarore fragrante della primavera”.
Voci sommesse domandano “Quale maschera devo indossare
per far sorridere il tuo cuore” come “sorride” l’angelo della pioggia che è
capace di cantare con voce di suono, ma questi accadimenti sono poca cosa al
confronto della stanchezza che colpisce gli angeli (portatori di messaggi, ma
anche portatori delle anime dei caduti) quando la durezza degli uomini, sordi ad
ogni invito, li costringe a misurarsi con la guerra e a misurarsi con il
razzismo “sono l’angelo nero, dalla veste bianca” e tuttavia la loro
disponibilità, il loro amore sono intatti “…aspettami, non ti conosco”, voglio
conoscerti.
Gli angeli portano ancora messaggi di speranza “La
primavera schiuda gemme, dall’umido profumo dei meli” che la natura complice
raccoglie con i cipressi che “muovono ad indicar l’azzurro per la pace” e che
raccolti si dilatano senza esaurirsi per “una pace che sia anche la tua che
balli… senza sosta.”
Tutto concorre a rinnovare il messaggio
che sprona a trovare conforto in chi si diversifica dal vivere scelte ovvie “in
chi aspetta il suo giorno” in chi, anche “tra l’erba della collina” non attende
di nascosto che qualcosa cambi, ma ricerca le tracce silenziose che albergano
nell’animo umano, che è ancora capace di far nascere sogni “luminosi e vaghi” e
di credere ai dubbi che questi suscitano in un continuo divenire e lo portano a
salire la discesa con questo “messaggio criptato”, che perpetua il dubbio sul
permanere “delle speranze delle porte aperte”.
Qualunque sia il desiderio e le aspettative “il saper
di tua vita mi consola”, questa è la chiave che ci unisce all’umanità.
Ricompare la speranza anche “nel cielo di un’alba
intrisa di pioggia” quando i sogni cadono come “illusioni fresche” e ancora
l’uomo è capace di apprezzare l’ombra in un giorno senza sole pur facendosi
trasportare dai pensieri che lo consumano.
Si è esaurito il tempo dell’Attesa? Sì. L’angelo
dell’Amore lo sancisce e “il corpo senza anima” è un’ombra che vaga incerta sul
dove posarsi, ma si rinnova la domanda sulla capacità di ritrovare il sorriso
dei papaveri “tra il verde del giovane grano” e di non tacere “le calde risposte
delle lievi sabbie tunisine”, senza arrendersi mai.