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Tra amor vitae e dubbio esistenziale la poesia autentica di Duccio Castelli
Gran parte della poesia del nostro tempo persegue un itinerario dialettico che si alterna tra realtà e sogno; da un lato la dolente consapevolezza delle incombenze e dei limiti del quotidiano, dall'altra l'alone mitico della speranza che, rinnovandosi, elude le facili strettoie del pessimismo. Ma, se tale dicotimia è affrontata con una sottile vena ironica e con intelligenti quanto sagaci affermazioni che hanno il sapore dell'aforisma, com'è nel caso di Duccio Castelli, la scrittura si colora di una personale identità e autonomia, soprattutto accentua il suo spessore. La riflessione, maturatasi a monte attraverso una lunga esperienza, si rivela nel momento della scrittura quale felice comunicazione; il modello espressivo la rende validamente autentica. "Sono circondato da me stesso | con mille orecchie tese nell'ascolto | senza sapere | se sono mie." (Sospetto); o anche: | Giornate | da spendere | notti | da dormire | niente di più | se non la percezione | breve | del privilegio di vivere." (Privilegio di vivere). E ancora due esempi, tra le sue chicche più ammirevoli ed incisive che per assoluta sinteticità acquistano il tono della immediata intuizione: "Sono inseguito | dall'assillo di sapere | se | farò in tempo | a vivere." (Assillo); "Se avessi | nessuno | non potrei soffrirne." (Amolore). Rapportate comunque a delle verità assolute, le composizioni spesso telegrafiche di Castelli non ignorano l'alternarsi di un linguaggio disposto ad innovare una versione morfologica personale, come è accaduto ad esempio al termine Emigranza (1993), che dà il titolo al suo primo libro di poesie, nel significato di emigrazione interiore, relativa all'animo umano; ovvero ad Amolore (1999) – entrambi pubblicati da questa Casa editrice – il cui titolo coniuga felicemente le componenti vitali della nostra quotidianità, amore e dolore. Ha scritto Vittorio Vettori: "Duccio Castelli recupera in interiore homine il senso assoluto del tempo come Atto spazializzante, per cui a conti fatti l'escatologia coincide con la protologia, l'origine con la meta, la morte con la seconda nascita, in un'estensione massima della curvatura einsteiniana (cui letterariamente risponde quello orfico-rilkiana), sicché lavorando a rebours sullo spessore ritmico-simbolico della linea linguistica di appartenenza (la "linea lombarda" appunto) negli ultimi anni del secolo e del millennio, Castelli è potuto ex novo approdare alla riva di piena verità irradiante nella quale già operava nei primi anni del Novecento il capofila della suddetta "linea lombarda" e cioè Clemente Rebora, su cui converrà rileggere da Plausi a botte il giudizio tipicamente vociano del ligure Giovanni Boine: `Lasciatemi dire, lasciatemi scrivere la parola grande (...)'. Come Clemente Rebora, lombardo finché si vuole, però in primis italico civis mundi, travalicava di fatto ogni limite regionale e poteva essere compreso nella sua interezza soltanto all'interno del più ampio movimento culturale incentrato su "La Voce" e su "L'anima", come sul "Frontespizio" e su "La Tradizione", così anche Duccio Castelli, quasi Rebora redivivo, alter et idem, richiede una lettura non più soltanto lombarda ma molto più larga, se è vero come è vero che nel revival vociano tra Novecento e Duemila si può identificare un asse euromediterraneo (....)". La varietà di consensi e giudizi positivi riportati da Castelli ci esime da ulteriori commenti. Basterà riportare un brano dell'esauriente saggio monografico che gli ha dedicato Franco Lanza, dove, tra l'altro, ha precisato: "Punto primo: l 'amor vitae è rimasto, perché se fosse smentito parleremmo di un'altra persona, non di Duccio Castelli. E' rimasto come condizione dell'essere heideggeriano, dasein nel tempo, virtualità o possibilità di qualcosa che può e che deve compiersi. Ed è rimasto perfino nella crescita che il margine d'ombra, imminente sul destino di tutti, proietta addirittura nelle sue pagine più decise (...). Secondo tema, strettamente intrecciato al primo ma più insidioso nelle raccolte recenti, come Tempo barbaro e Amolore, è l'incrinatura di quel limpido specchio sia nella traccia biografica (il frequentare ambienti diversi nel vecchio e nel nuovo mondo e l'osservare una sorta di entropia planetaria che corrode nell'apparente progresso della civiltà tecnologica l'habitat dell'uomo), sia nei segreti dell'anima che interroga se stessa ed oscilla nel dubbio esistenziale della propria identità. Qui la scansione è ungarettiana e tende alla brachilogia del diario intimo, brevi isolati bagliori. Ma va anche osservato che l'illuminazione o l'allucinazione della negatività schiude al poeta tutta una fenomenologia dell'ignoto (si noti: non dell'assurdo) che non è senza una storia. In altri termini, l'ignoto che si affaccia alla coscienza è pur sempre immagine e fonte di altre immagini. Siamo nel surrealismo dei `sogni prenatali', dello `scivolare mollemente tra i pianeti', dei colloqui con la luna e con le galassie." Oltre ai titoli sopra citati Duccio Castelli ha pubblicato le raccolte di poesie Doppi e metà (1994), Credito d'affetto (1995), Tempo barbaro (1998), Versi scelti (2005); ed è titolare del libro di narrativa Una ragazza per quattro mesi (1996) con una lettera introduttiva di Italo Calvino.
da: Tempo barbaro, G. Miano editore 1998 Mi ascolto.
Seduti alla panchina della piazza
Dopo uno squarcio di anni severo Memorie serene Si chiude nell'onda del golfo
da: Emigranza, G. Miano editore 1993 Serata greca: Tepori notturni Mi è così facile capirvi! Solo la solitudine
da: Credito d'affetto, G. Miano editore 1995 Sono inseguito
da: Amolore, G. Miano editore 1999 Se avessi
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