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Dialoghi nel colore
Gioacchino Bragato
Raffaele Minotto
Marino Nagro
Testo di Alessandra Pucci
Fotografie di Luccia Danesin
Padova, Sala della Gran Guardia
12 marzo-5 Aprile 2010
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Alla Gran Guardia, in piazza dei Signori a Padova, dal 12 Marzo al 5
Aprile 2010, sono state esposte le opere di tre Artisti diversi nella
loro personale visione del mondo Gioacchino Bragato,
Raffaele Minotto e Marino Nagro, presentati da
Aldo Comello che esordisce con una frase significativa “La
felicità della pittura”, e più avanti scrive ..”E’ la consolazione della
pittura in un mondo dissestato dalla politica, dalla lebbra dell’inquinamento,
dall’eccesso di ricchezza, dall’ingiustizia della povertà.” Ma a differenziare
in modo equidistante i tre Artisti dalle affermazioni del critico, sono i modi e
i mondi che separano Bragato da Minotto e Nagro, modi che già nel titolo della
mostra lasciano intendere i loro originali percorsi Dialoghi nel colore, perché è il colore il filo conduttore che li lega e nello stesso tempo li fa
dialogare secondo il personale alfabeto espressivo.
La vasta sala affrescata con scene consuete dell’iconografia seicentesca,
offre nel silenzio e nella quiete l’opportunità di osservare con calma il
materiale ben allestito nei pannelli scuri, ben illuminati da luci soffuse che
permettono di percepire ogni dettaglio tecnico e compositivo.
Le opere si alternano per gruppi compatti in modo che ogni Autore possa
evidenziare la caratteristica cromatica ed espressiva che lo distingue dagli
altri, sicché possiamo avere la sensazione che lo spazio ci offra la possibilità
di vedere contemporaneamente tre
personali.
Di Bragato conosciamo il suo mondo poetico e la tavolozza scintillante
portatrice di sogni e di gioia, ben rappresentata da una sua opera pervasa di
verde smeraldo e azzurro oltremare, dove una grande tavolozza, la sua, appare
come per miracolo tra l’erba e il cielo, un canto d’amore per la natura e la
pittura.
Ma Gioacchino sa sorprendere con guizzi concettuali, ironici presenti nella
serie dei piccoli dipinti ispirati al Labirinto di Strà: giochi di percorsi
floreali che si avvolgono intorno ad un sasso bianco, il centro del mondo o
l’uovo originario?
Per contrasto, Minotto usa il colore grumoso, filamentoso, denso di materia
che avvolge le forme come per decostruirle, in un racconto domestico, la cui
poetica è fatta di rimandi sorprendenti e originali a Bacon ma anche a Tono
Zancanaro, nel piacere di recuperare angoli di vita caratteristica di questa
città. Sono opere di grande formato, con una complessa ricerca della forma e
della luce da scoprire dopo una attenta osservazione, come nel ritratto di
Gioacchino, degno della migliore pittura da Kokoschka a Freud.
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Marino Nagro ci riporta alle atmosfere rarefatte di una pittura sensibile
alla bellezza di un paesaggio che sappiamo essere fragile, forse destinato a
soccombere alla legge del mercato, dove le architetture minori, non tutelate e
spesso non apprezzate, potrebbero essere tra breve solo un ricordo. Il suo
sguardo segue con semplicità le forme dei luoghi e ne coglie l’aspetto poetico
consegnandole ad un tempo, il nostro, come testimone di una bellezza fragile che
vuole essere riconosciuta e forse amata.
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