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A casa dell'artista
Gioacchino Bragato

Testo di Alessandra Pucci
Fotografie di Luccia Danesin

Mattinata luminosa di Maggio, ideale per girare certe stradine padovane rese suggestive dalla luce dorata delle vecchie case non ancora ristrutturate, e ornate qua e là da cespugli di ginestra e roselline rampicanti. Santa Maria in Conio: qui abita Gioacchino Bragato che Luccia Danesin ed io abbiamo incontrato per il piacere di essere in contatto con una persona che sa vivere l’arte con gioia e renderne partecipe il mondo.

Ci attende sulla soglia del suo appartamento-studio, ci saluta affettuosamente, e, come un maestro di scena c’introduce negli spazi illusori separati l’uno dall’altro da un continuo susseguirsi di visioni sul paesaggio veneto costantemente reinventato dal suo sguardo tenero. Tenero e mite il sorriso che illumina il volto espressivo mentre parla dei suoi primi passi nel mondo dell’arte, lui noto cuoco della trattoria “Il Pero”, luogo caro alla memoria di tanti pittori, scrittori e intellettuali senza etichette, in quegli anni di fertile progettualità e grandi entusiasmi.

Gioacchino ci mostra con giusto orgoglio le numerose opere omaggio di amici artisti conosciuti proprio nel luogo di lavoro: opere che testimoniano la stima reciproca nel fare arte: tra gli altri notiamo un ritratto di Saccocci, un nudo di Longinotti, figure di Zancanaro, Cattaneo, e di Galeazzo Viganò, di cui è grande ammiratore e amico. Tra i ripiani carichi di materiale documentario della sua lunga carriera, prende alcuni cataloghi di mostre recenti: ne sfoglio uno e mi soffermo a leggere una poesia dedicatagli da Giorgio Segato: ”Lì, nel ghetto antico | nel riposto cortile | dalla ridente pentafora, | elegante, ammiccante | abitava Gioacchino, | voce tonante contro ogni abuso, | cuoco del Pero | e grande ingenuo pittore | di nature sempreverdifiorite | di smeradi e rubini, topazi e ametiste preziosi | con cielo cobalto su arabeschi | di piante come sapide erbe | di fertile orto di casa.”.

Tanti sono gli scritti significativi di critici, giornalisti e poeti che raccontano la sua vita d’artista, tutti accomunati dalla fascinazione delle sue immagini audaci perchè semplici. Accettiamo volentieri il suo forte caffè; Luccia interrompe gli scatti fotografici e, sedute intorno ad un tavolinetto, ascoltiamo Gioacchino parlare della sua infanzia a Saonara, la famiglia numerosa, il lavoro quotidiano fin da giovanissimo, e sempre l’amore per il colore della campagna, diventato infine l’elemento costante del suo dipingere.

Dei lunghi anni in cui ha abitato nel centro di Padova, Gioacchino ha tracciato una sorta di mappa monumentale, dove i campanili, le cupole e le chiese troneggiano sui prati fioriti, come un arazzo medievale. La parete di fronte a noi è ricoperta dai suoi quadri: quasi tutti di piccole o medie dimensioni, tutti aperti verso un cielo azzurro, mai cupo; rossi i tetti delle case gialle o bianche, e un sipario trasparente di alberi che sottolinea uno spazio astratto più vero del vero. Gli alberi di Bragato meritano un’attenzione particolare: hanno una forte valenza simbolica, esistono e resistono nel creato come emanazione di forza e di spiritualità.

Religiosità e spiritualità connotano alcune opere ispirate ai luoghi amati dal Petrarca, di cui Gioacchino è assiduo lettore. Libri tanti, di vario genere, soprattutto poesia: ma dove sono collocati? Come abile prestigiatore, spalanca le portelle di credenze, pensili, apre cassetti di vecchi mobili e, invece delle tovaglie, dei bicchieri o di pentolame vario, appare la vasta biblioteca di cui ogni libro è sempre un incontro e una trasformazione.

Fotografare le opere che tappezzano le pareti dallo zoccolo al soffitto è impresa ardua, ma Luccia non si arrende: sposta ove possibile i quadri, per tentare di catturare immagini fruibili on-line. Nella stanza di mezzo, tra sculture, quadri e un letto ingombro di riviste e libri, c’è il suo cavalletto, con su un paesaggio azzurro, giallo, e forse una fuga di piccole nuvole bianche.

Gioacchino si siede pensoso davanti alla tela, e dice, parlando quasi tra sè: “E’ così da tanto tempo... credo che resterà com’è”. L’artista esprime il suo stupore di fronte alla bellezza anche con la poesia, esperienza che inserisce nello stesso alveo espressivo della pittura. Parliamo della sua mostra personale che il comune di Padova gli dedicherà nello spazio espositivo delle scuderie di Palazzo Moroni con inaugurazione il 22 Giugno prossimo: è un riconoscimento importante della città nei confrontidi un’artista che da sempre ne esalta la storia con ricami di architetture e un’aria di perfetta letizia.

Le cartelle con le incisioni sono lì, a portata di mano, così osserviamo la visione del paesaggio nella traduzione in bianco e nero o seppia come si conviene quando si esegue l’acquaforte, secondo i canoni classici, per esprimere un’idea, un contenuto, e non per inutili esercizi tecnici. C’è il segno che corre asciutto per case e per rami intrecciati, per fossi e prati scoscesi dove un pò di neve è caduta; pozzi e chiesette appesi a colline segnate da strade sterrate, idea di silenzio, di quiete in assenza di effetti speciali. Tracciare un ritratto di Gioacchino Bragato è impresa ardua perchè sono tanti i motivi di interesse che emergono nella conversazione, perciò converrà riprenderne il filo in un altro incontro.

Ci congediamo dopo aver ricevuto in dono due litografie con raffigurato un battistero di Padova, sospeso tra l’azzurro del cielo, il verde di un “prato dei miracoli”, e protetto dai suoi amati Alberi. Grazie Gioacchino, a presto!

Note critiche e biografiche sono consultabili
nel sito web del Comune di Teolo:


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