Addio a Nin Scolari
Fondò nel 1975 Teatrocontinuo a Padova
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Si è spento il mese scorso dopo una grave
malattia a 69 anni.
Nin Scolari un attore, registra e
drammaturgo acuto e coerente, attivo sulla scena nazionale da oltre 30 anni,
sempre alla ricerca di nuove forme espressive per un teatro che sapesse
scandagliare temi, miti, approdi e ad un più profondo contatto con
l’essenzialità del vivere.
Al Nin e alla sua compagna di vita e di
lavoro, l’attrice Luciana Roma dobbiamo la nascita a Padova nel ‘75 di
Teatrocontinuo. Compagnia che si colloca come III° teatro o teatro di gruppo.
Questa definizione è stata data da Eugenio Barba che ha cercato di raccogliere
tutti quei fenomeni teatrali che si sono espressi al di fuori della ufficialità
teatrale e hanno assunto come loro immagine espressiva l’uso del corpo. Questo
tipo di metodo e di scelta teatrale implica un coinvolgimento attivo dello
spettatore e un riferimento abbastanza specifico all’antropologia storica e
culturale.
Anni fa ebbi occasione di fare al Nin una
breve intervista sullo spettacolo ”Si può morire anche d’amore” che
andava in scena a Padova nella sede di Teatrocontinuo in Vicolo Pontecorvo.
I tre elementi su cui ruota lo spettacolo
sono la vita, l’amore, la morte. Ciò che la rappresentazione tende a trasmettere
è l’angoscia della perdita, dell’assenza dell’amato, angoscia che non vuole
diventare disperazione impotente ma che si aggrappa alla speranza di poter, in
qualche modo e a qualsiasi costo, tenere in vita l’oggetto del proprio amore.
Richiesta che nello spettacolo viene ad essere esaudita quanto Tone, uno dei
protagonisti, baratta una parte della sua vita in cambio di un pezzettino di
vita in più della moglie. L’amore perciò come forza che trascende e supera
l’irrazionalità che vi è in ogni morte e che porta alla consapevolezza dello
stretto rapporto (e fusione) tra vita, amore e morte che “l’essere” esprime e,
solo in questa accettazione, il presente viene ad essere interamente compreso.
Come è nata l’idea di mettere in scena
uno spettacolo con il tema dominante del rapporto con la morte?
L’idea ci è nata dal “sentore” di morte che si respira al giorno d’oggi. Non
più voglia di vivere, non più valori o credenze personali o sociali e anche
perché ognuno di noi, ad un certo punto della sua vita, si confronta con la
morte: la morte di persone care. Questo ci ha posto delle domande: perché non si
riesce più ad accettare che si deve morire? Oppure, perché si uccide
continuamente? Oppure, perché questo stillicidio di morte quotidiana, questo
morire un po’ dentro ogni giorno?
Avete costruito il testo avvalendovi di
qualche riferimento letterario?
Sì.
Abbiamo incominciato con delle letture antropologiche sul tema della morte e ad
un certo punto è apparsa questa storia di Tone che ancora oggi è raccontata dai
montanari delle valli Ladine che, pur nella sua elementarità, contiene tutti gli
elementi dell’evoluzione del concetto di morte dalla preistoria ai tempi
moderni. Storia che è stata poi arricchita dall’apporto immaginativo delle
quattro persone che hanno costruito il testo. Credo che alla fine il nostro
spettacolo risulti non un inno alla morte ma un inno alla vita anche perché “si
muore un po’ per amore, quindi amando”, come si muore un poco ogni giorno quando
si opera una scelta perché si lascia sempre qualcosa o qualcuno anche caro.
L’importante è capire che tutto questo fa parte della vita in sé.
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