| |
Luccia Danesin
poeta e fotografa
Rita di Giuseppe
Presentare una poesia apparentemente semplice, ma di profonda complessità
come quella di Luccia Danesin non è cosa semplice. Specialmente se teniamo a
mente che un dato non trascurabile della nota biografica della Danesin è la sua
duplice veste artistica, di poeta e fotografa – arti apparentemente diverse ma,
come dice lei stessa in una nota di chiusura della sua prima raccolta, Un
fard rosso arancio, sono “strumenti complementari, ambedue capaci di fermare
l’istante, di rimpossessari del tempo, di cogliere, con parole ed immagini
cristallini, il suo fluire":
Fotogrammi
Pensieri
Ritmano
Si allacciano in brusío
Vado alla ricerca del silenzio:
lusinga
vacanza
per archiviare
dispiegare il mondo
esercizio del possibile
arbitrio filtrato dell’infanzia.
Il “metodo” della Danesin – per usare sempre una sua espressione – è “un
esperimento alchemico” e gli ingredienti sono la memoria, il linguaggio, la
distanza, ma soprattutto la percezione della soglia, della vita vissuta “in
limine”. La soglia, ieri come oggi, è tutto per il poeta. Dall’uso dell’immagine
nel linguaggio devoto – “visitare i sacri luoghi del limine” – significa
giungere al posto dove si entra in una dimensione “altra” rispetto ai luoghi
conosciuti. Simbolo di transizione e di trascendenza, il limine è un luogo sia
della mente, sia dello spirito, vale a dire che la sua funzione di passaggio
sottolinea la demarcazione fra l’interno e l’esterno, fra il sacro e il profano.
Dobbiamo forse a Virginia Woolf una delle più interessanti definizioni del tempo
che lei descrive come “il flusso dell’esperienza”, come una sequenza di ricordi
registrati, oppure come una serie di lampade appese nello spazio che
s’intravedono nella foschia – una sorta di gran pavese – con intervalli di luce
e ombra, immerso nella nebbia e sospesa nello spazio e nel tempo. Una tecnica di
scrittura, la sua, che dobbiamo chiamare "in limine"” sulla soglia dell'emotivo
e del razionale, con costanti rimandi simbolici e metafore…
Altra affinità che spicca nella poesia di Luccia Danesi è quella con la grande
poeta americana Emily Dickinson. Sono ambedue “pioniere”, nel senso che vanno
alla ricerca dell’oro, nella forma della pepita, piccolo granello nascosto in un
territorio vasto, finito che è la poesia. Hanno in comune quel sommesso
colloquio metafisico con il quotidiano, con le cose rivissute e colte con il
loro sapore, odore, i suoni e i colori intatti. Una poesia essenziale si
potrebbe dire, dove niente è superfluo, dove tutto è necessario. Esempio di
questa essenzialità lo troviamo nella sua seconda raccolta, Il cerchio dei
respiri, in una poesia nella sezione intitola “Soglie”. […]
Verso sera
se si ascolta,
vi è un’ora di passaggio –
un confine –
Se abbassiamo gli occhi dalle cose,
l’angelo traspare,
silenzioso, incorporeo,
e segretamente ci sorride.
. . .
Quando si chiuderà
il cerchio dei respiri
elencheremo i visi, i sogni,
tutti gli esili.
Le mani, mute,
incapaci di altre tenerezze,
costeggiando la rete del recinto
cercheranno
un ricordo,
un verso di cristallo.
(in Leggere Donna, n. 89,
maggio-giugno 2002, pp. 22-23)
| |
 |
autore |
|