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La memoria e lo sguardo
Stralci di note critiche alla mostra


Maria Luisa Biancotto

Dopo i ritratti in bianco e nero, dopo le foto macro a colori ispirate a soggetti floreali, Luccia Danesin sembra aver trovato, nella mostra La memoria e lo sguardo che propone dal 9 al 24 aprile, alla Galleria "Il Sigillo" di Padova, un'altra dimensione della fotografia. Non più la resa introspettiva, simbolica, sensoriale o evocativa dell'immagine, ma quasi una sua anatomia. I frammenti estrapolati da sequenze filmiche e sgranati dall'obiettivo fotografico; la rielaborazione attraverso pellicole colorate di volti di uomo o di bambino accostati su pannelli colorati in cui si aprono a finestra assieme a brani poetici, che lo spettatore può a suo piacere "scoprire"; la fotocomposizione di una lastra radiografica della propria testa con il suo elettroencefalogramma suggellata dal titolo "autoriflessione"; l'autoritratto con mani, sullo schermo della fotocopiatrice, accostato all'immagine di un frammento nebuloso e latteo di cielo (a indicare il diaframma che separa la nostra condizione dall'ideale e la voglia di fuga); la frantumazione di una foto di profilo in striscioline di carta regolari inserite nelle scanalature verticali di una griglia di plastica su una base orizzontale quasi a darne simultaneamente la percezione diacronica e sincronica; il cielo spalancato oltre la rete dalle maglie nitide e nere; il calore della luce solare imprigionato fra ragnatele e muri sgretolati; l'occhio di un fagiano pieno di terrore colpito come un bersaglio nel centro della pupilla da una freccia vera; l'intensità dello sguardo di un estinto che ci osserva imperturbabile dalla sua lapide, da tempo immemorabile, ... rimandano a una gamma variegata di percezioni non lontana da quella che inconsapevolmente ci colpisce nella realtà quotidiana.

Nella precarietà della sua folgorazione, l'immagine che lo sguardo in queste foto ci propone, non è qualcosa di definito, oggettivato una volta per tutte, ma un preocesso in divenire che prosegue attraverso l'occhio dello spettatore. Sfida silenziosa alla tanatologia instaurata nella società contemporanea attraverso il dominio della visibilità, della visione, le foto di Luccia Danesin sembrano sottrarsi a questa reificazione, dandoci palpitante la dimensione del presente. Non c'è soggetto e oggetto della visione in questi lavori, ma il varco aperto dalla sguardo, come aspetto, percezione simultanea dell'oggetto, senza rappresentazione. Filtrata dall'immaginario dell'autrice, la memoria sembra collocarsi sul versante del recupero di alcune mitologie: l'animale fantastico, totemico... Ma lo scarto enunciato nelle sue foto dal gioco di presenza-assenza rimanda alla genealogia impossibile di una identità che oggi può solo ricomporsi attraverso un'incessante frantumazione/frammentazione. Eloquente, a questo riguardo, è anche la scelta del montaggio che l'autrice ha adottato per le sue foto. Non delimitate da una cornice, ma lasciate fluttuare, solitarie o accostate in sequenza, in uno spazio (pannelli di grandi dimensioni in alluminio satinato, carta colorata, plexiglass, plastica...) che ne amplifica la suggestione, o la contiene e interagisce attivamente con esse, si offrono, nella loro virtuale, inquietante semovenza, a un'operazione analoga con lo spettatore.


Maurizia Rossella
Leggere donna, nr. 83/1999

La fotografa padovana Luccia Danesin ha cominciato la sua carriera fermando i momenti delle manifestazioni delle donne negli anni Settanta, successivamente si è dedicata a fiori colorati riprodotti in macro nei minimi particolari e a ritratti in bianco e nero. Di recente ha esposto le opere della sua più recente produzione a Roma, nella Galleria "Il collezionista" di via Rasella 132, dal 16 al 30 settembre. La mostra personale dal titolo La memoria e lo sguardo raccoglie e ordina un percorso fotografico originale che evoca lo scorrere del tempo e i chiaroscuri dell'assenza. Lo sguardo si muove su dettagli rappresentativi di una realtà in movimento fatta di riflessi, squarci, frammenti... immagini che non stanno definitivamente chiuse fra cornici e, a ben guardare, chiedono di essere collegate l'una all'altra coi sensi che noi troviamo. «Senza memoria non c'è identità» afferma l'artista e noi aggiungiamo che per avere un'identità abbiamo bisogno di essere guardati. Luccia ha capito il gioco, così riproduce i ritratti di bambini in verde arancio e blu, e accosta in successione (le foto di) un'epigrafe di defunto, teste di statua dagli occhi di marmo e dal sorriso enigmatico, mandrie di bufali contro un sole rossofuoco, preda colpita da una freccia al centro dell'occhio proprio nell'iride come una meridiana a segnare il tempo del dolore. Perché per fermare l'attimo basta l'accenno a un particolare ed è il caso delle nuvole bianche contro l'azzurro del cielo, foto che, vista vicina a un becco d'aquila, viene a turbare la pace e a trasmettere inquietudine, come se una minaccia venisse dal becco adunco del volatile che da sempre è simbolo di dominio e di potere. E, se si osserva bene, si scopre che la foto dell'aquila è sovraimpressa su di un viso umano... e il pensiero nell'attimo della scoperta corre a nuove conclusioni. Anche la foto della ragazza tagliata a listelli reincollati poi l'uno accanto all'altro a distanza di pochi millimetri ci fa ricordare che siamo noi che guardiamo a dover ricomporre - sempre, comunque, non solo durante il tempo di visita alla mostra — i pezzi della realtà che ci circonda. Ecco, forse è questo che rimane come impressione finale dopo la visita: non sono solo foto da ammirare per dire sì o no, mi piace, non mi piace, ma inducono a una riflessione ulteriore sulle operazioni mentali che escogitiamo per mettere insieme, capire, selezionare, abbinare, per cercare un senso, dei sensi in ciò che facciamo o vediamo. Nella vita e nell'arte, anche davanti a delle foto d'artista che non possono essere fatte solo tecnicamente bene, ma devono anche dare ulteriori spinte alla comprensione dell'opera, dell'artista e di sé. E questo Luccia Io ha ben chiaro e con questa mostra è riuscita a renderlo.


M. Rosa Ugento
Padova e il suo territorio, nr. 83/2000

Luccia Danesin, la singolare artista padovana che ha radici in una nota famiglia di totografi, ha dedicato e dedica gran parte del suo tempo alla rappresentazione fotografica in bianco e nero (vero vaglio culturale di quella attualissima arte). Collabora con testi, foto e fotocomposizioni a giornali e riviste locali e nazionali, mentre riassume di tanto in tanto il proprio itinerario in significative esposizioni. Lungo tale linea si è svolta di recente, presso la Galleria "Il Collezionista" di Roma, la mostra personale della nostra interprete sotto il titolo La memoria e lo sguardo, un percorso fotografico originale che evoca lo scorrere del tempo, i chiaro-scuri dell'assenza, immagini di `soglie' e di apparenze. Ancora una volta si è ripetuta la magica tensione del suo messaggio. Le sue fotografie, ricche di sensazioni, si sono fatte tramite di interrogativi sull'identità personale e collettiva dell'uomo contemporaneo, sguardi profondi di bimbi, adulti e animali. Ogni volto e ogni situazione rivelano la poeticità dell'autrice, la sua perizia tecnica, la capacità di ricercare e sottolineare in modo puntuale e sintetico i passi del suo originale pensiero iconico. «Senza la memoria – afferma Luccia Danesin – non c'è nessuna identità.» La sua poesia fotografica ne è la dimostrazione costante.

Padova e il suo territorio, nr. 74/1998

Riflettendo sulla mostra fotografica di Luccia Danesin si chiariscono i motivi dell'interesse e del fascino che questa seria interprete sa suscitare. Il titolo della rassegna "La memoria e lo sguardo" risponde certamente all'intenzione profonda che presiede all'opera; ma insieme è un invito ad approfondire il messaggio delle sue immagini. L'affermazione dell'autrice "senza memoria non c'è nessuna identità" acquista il suo vero significato solo se (e quindi solo perché) in lei non c'è idendità senza documento. Al centro di tutto, la fotografia si propone come strumento documentario, dal quale possono nascere ricordi, suggestioni ed emozioni, ma che in primis ha l'obbligo di restare tale, condizione questa rispettata nella fotografia della Danesin in misura scrupolosa. Gli sguardi di bimbi, dì adulti e di animali che – specie negli effetti in bianco/nero – si presentano come interrogativi, restano il sigillo di una realtà che obbliga a stabilire un rapporto, al quale la fotografia dà senso con la sua tecnica di luci e ombre, senza mai cadere nel generico di un gioco artistico, oggi così diffuso e scontato.


Silvana Weiller Romanin Jacur

Di Luccia Danesin immagini eccezionali strettamente pertinenti il mezzo fotografico operano esclusivamente su luce, colore, forma, ma da ultimo la ricerca sorvola sui fattori tecnici e si allarga su elementi magici di suggestione che dalla forma emanano in contesti diversi captando possibilità sottese alla visualità, capace di arrestare l'istante, di narrare una storia intrecciata fra immagine e parola. Questa è oggi la proposta di Luccia, che rovescia l'assunto poetico di suggerire la forma con la parola e dalla forma giunge alla poesia. Lo fa considerando i momenti dell'esistenza umana. Dalla memoria. attraverso lo sguardo, tocca l'identità nella variazione del tempo, durante l'evolversi dell'essere, dal passato al futuro, evocando la presenza impellente della vita stessa dalla nascita alla morte. Siamo dunque alla ricerca di un linguaggio che suggerisca spazi e tempi misteriosi, balenanti talvolta nella quotidianità, dietro il velo dello stupore e siamo interamente immersi nel mondo della poesia là dove la poesia diventa rivelazione di vita, di là da ciò che tocchiamo.


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