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Mostre fotografiche
Soglie
Padova, Oratorio di San Rocco
11 luglio - 1 settembre 2002
Note critiche
Il Mattino di Padova
30 agosto 2002
Maria Luisa Biancotto
Ultimi giorni per visitare (fino a domenica)
all'Oratorio San Rocco di Padova la mostra fotografica di Luccia Danesin,
Soglie, che affronta con sensibilità particolare un tema imbarazzante e
generalmente esorcizzato qual è la morte. Lo fa con la delicatezza e la
semplicità che le sono congeniali, attraverso una selezione di 36 immagini in
bianco e nero, ispirate all'arte funeraria, ancora poco esplorata, dei cimiteri,
cogliendo nell'espressione dei bassorilievi o della statuaria, nei particolari
valorizzati, nei giochi d'ombra e luce delle architetture, il senso del legame
che unisce i vivi a coloro che sono mancati, ma anche la vertigine del confronto
con l'Oltre. E' una diversa dimensione del tempo, in cui convivono in una
simultaneità straordinaria il presente e il passato e le nostre proiezioni
future, con un effetto però di armoniosa coesistenza di immanenza e trascendenza
anziché di spaesamento. Ancora, affascina in questa assorta visitazione
l'atmosfera di silenzio che ha saputo ricreare attraverso la tensione delle
inquadrature: un silenzio raccolto di riverente ascolto, che apre a un'altra
percezione, e induce alla quiete, alla riflessione.
Poetessa e fotografa, che
ha già al suo attivo due pregevoli raccolte di versi Un fard rosso arancio e
Il
cerchio dei respiri (con prefazione di Maria Luisa Spaziani), una lunga
collaborazione con riviste e quotidiani, e alcune apprezzate mostre fotografiche
realizzate in varie città d'Italia e all'estero, Luccia Danesin, padovana, erede
di un'illustre famiglia di fotografi, è la prima donna invitata dal Centro Nazionale di Fotografia di
Padova, che assieme all'assessorato alla Cultura del Comune ha organizzato la
manifestazione, ad esporre il suo lavoro.
Proseguendo con coerenza una ricerca
che la vede attenta al significato dell'esperienza e che trova la poesia e la
fotografia strumenti diversi ma complementari per focalizzare,
nell'irripetibilità del momento, il limite in cui si condensano il colore della
vita e la rapina del tempo, anche l'ultima soglia diventa per l'autrice
condizione per renderci accorti della preziosità dei doni che il quotidiano ci
propone e invitarci a cogliere ciascun istante come occasione. Confortati dalla
consapevolezza degli affetti per i nostri cari estinti, dalla soavità
protettiva, rasserenante e fidente dei simulacri che ci avvertono delle loro
presenze, possiamo accostarci a questo passaggio che non regge la
mente con animo nuovo.
Eleganti nella loro impaginazione, raffinate nella
stampa che l'autrice cura personalmente, esaltando tutte le tonalità dei grigi e
degli sfumati, le immagini rendono la morbidezza delle mani, la tenerezza
dell'abbraccio, la dolcezza o serietà degli sguardi, la plasticità della
postura, l'intensità di un dialogo muto tra le figure, o degli angeli il
generoso vigilare, come di creature vive. Nella curva d'un'ala, nel ricamo d'una
ragnatela, nel bacio di bimba accennato a fior di labbra e di dita, possiamo
ritrovare il senso del mistero della vita che continua e della grazia che non
muore. Stasera alle 21, sarà la stessa autrice ad accompagnare la visione delle
fotografie con la lettura di alcune sue poesie.
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a destra l'Assessore alla Cultura
del Comune di Padova Giuliano Pisani. |
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Nota di Virginia Baradel
(…) Quando l’impietoso obiettivo scopre pelli di pietra
scrostate dal tempo e dalle intemperie l’effetto è ancora più struggente. Luccia Danesin s’interroga sul tema della morte, sulla
soglia che separa i vivi dai morti, va a cercarla nel luogo deputato delle
sepolture ma più che trovare un ponte di sottili transiti da questo mondo all’
”oltre”, sembra imbattersi nella rappresentazione di un’inguaribile nostalgia
per la vita impersonata dalle bellissime dame del lutto, dai morbidi putti
alfieri di una grazia toccante e dolorosa perché nessuna carezza umana potrà
riscaldarne il corpo di pietra, freddo come ora nella morte quello che fu vivo,
e confinati a deliziare il recinto dei morti. Il contrasto estremo alimenta
suggestioni e palpiti. Una figura di vecchia ossuta già prossima alla morte
sarebbe altamente drammatica ma della stessa natura semantica del lutto,
muoverebbe alla pietà non allo strazio malinconico. La retorica non è
un’opinione. C’è un aspetto di queste fotografie che le rende ancora più ambigue
e attraenti: le pose. Le figure sembrano in posa per la fotografia, in una posa
teatrale fatalmente minore, antieroica; sembrano colte mentre provano a
rappresentare la versione dolce del dolore, quella che veglia, prega e compiange
il defunto senza disperarsi poiché non della morte esse sono le vestali bensì
del sonno eterno. E ritorna per questa via l’inafferrabile familiarità tra il
tema della morte e la fotografia, come ben vide Roland Barthes. Parte del
fascino degli scatti di Luccia Danesin è dovuto certamente a questa ambiguità
congenita al mezzo. L’altra parte è tutta scrivibile al suo talento che ha
saputo trasformare uno struggente proposito di eternità (quale è la vocazione
del monumento funebre) nell’asciutta e oggettiva brevità di uno scatto in bianco
e nero.
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autore |
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