Maria Luisa Daniele Toffanin
da: Dell'azzurro ed altro
ed altro...
Sacro è
Sacro
è della notte il parlare
e
al cuore sincero è il silenzio a
svelare
segreti al pensiero
oscuri,
ma chiari al sentire.
Sacro
è della notte il parlare
che
qui io fermi ancora sul campo
fiorito
a fiordalisi e grano
quel
tanto di voi a me più caro,
colori
del vostro esistere,
a
renderli icone lucenti
eterne
di smalto-verbo d'amore.
Voi
seme, oro del mio germoglio
del
vivere luci, ombra del morire.
Presagio
a
mia madre Lia
Madre:
Godervi abbandonate,
così
come ancora bambine,
fresca
la gioia
dei
lenti risvegli ...
Figlia:
Parli, madre, e furtiva
al
tempo rapisci lembi
di
terra dolce d'infanzia
ove
nei sogni ti sperdi.
Stanca
le dita, inanelli
capelli,
morbida premi
il
bianco riso innocente
a
tenue canto di cuna.
Ascolta
il suono dell'onda:
si
posa una volta sola
sulla
rena bionda, poi si fa
passato,
onda che non torna
e
soffre al frangersi del ritmo.
Struggente
è il vano nutrirti
d'amare
illusioni, vuoto
scavato
dentro da non saziare più.
Madre:
Ormai il vero scopre se stesso,
lo
sento, mi urla impietoso che
la
vita intera s'è infine bruciata.
Resta
solo un fascio minuto
d'esili raggi di sole.
E
si leva un vento mesto
un
lieve piangere di foglie
un'ala
grigia di presagio.
Madre
Sgocciola
il risveglio
tra
i fili del pensiero
sillabe
di storia
frammenti
di volto
per
ridarti voce corpo.
Continuare
frasi lasciate
accendere
luci-parole
in
riti-costumi del giorno
nel
fluire d'oro del vivere.
Poi
tra spiragli di ore
si
rinnova magia d'incontro.
Tento
d'afferrarti in volo:
resti
solo un miraggio
un'allodola
triste da richiamo.
Ora
che il non averti
è
certezza di cristallo,
mio
vuoto cupo si spande
in
onde solitarie d'angoscia:
mistero
dei giorni da contare.
Ma
nelle trame del cuore
scorre
tua linfa forte
legame
primo dell'esistere
fuoco
eterno di memoria.
E,
madre, ti cerco
in
questa grande assenza
non
più da me protetta
in
tardo tempo
come
tu fossi figlia.
Sempre
mi accompagnano
a
mia madre Lia
Un
volto una mano
saluto
festoso
d'attesa
saziata
nel
tramonto d'oro
ramato
del giorno.
Poi
commiato sorriso
–
rosa di macchia –
fiore
d'animo grato
al
confabulare sereno
essenza
d'affetti raccolta
rapita
alla solitudine
rapita
alla nella sera.
Sempre
mi accompagnano
ora
muti spenti
vivi
in me dentro.
Amaro
incantesimo
a
mio padre Gino
Nel
crepuscolo lento
mi
aleggia dentro, padre,
l'inquieto
del tuo spirito
per
la sofferta sosta in campi
plumbei,
prigioni della vita
ove
crisalidi di sangue
sui
reticoli del morire
erano
visioni del tuo vivere.
E
l'ansia sento placarsi
nell'invocata
casa, balsamo
all'anima
ora più chiara.
Oh
giorni ai Lari devoti
nel
tempio degli affetti,
sereni
al diramare
d'erba
del tuo prato,
senza
colmare d'oro
gli
otri delle ore.
Oh
giorni di sorrisi tersi
per
schiudersi in corolle nuove
l'infanzia
nostra, rosa ormai sfiorita.
Ma
nella memoria del sentire
un
mesto leitmotiv di note,
suono
a me allora oscuro:
era
il trainare quel tuo male
antico
peso, stretto sempre dentro.
é
già scoccato il tocco quando
dei
padri quel segreto si disvela.
Amaro
incantesimo dell'esistere.
Per
filosofo antico
a
mio padre Gino
È in me cupo lamento
il
tuo andare sofferto
tra
respiri di vento
su
tenui grappoli di tamerice.
Fiaccato
ogni giorno di più
la
vita cercavi
nell'oro-azzurro
di
spazi solari
di
scaglie marine
accesi
smalti d'elementi primi.
Terra
fuoco acqua aria
erano
il tuo pentagramma
per
musica d'anima
pastorale
antica
d'accordi-costumi
del vivere
in
armonia soave con l'universo.
Ora
che sento
l'umile
splendore
delle
note pure
su
cui modulare
il
canto maturo,
la
mia zona segreta
da
pudore dischiudo
e
ghirlande intreccio
d'amore
e dolore,
dono
tardivo per filosofo antico.
Quasi
un parlare quieto
a
zia Pina
E
in verdi oasi tenere
farfalla
ti pensavo
posata
su prati pensili
del
nostro lago:
gli
occhi giovani di luce
accesi
di promesse.
Ignara
dell'impetuoso
andare
in balia dell'aria
con
le ali infine frante
da
un turbinio di venti.
E
mi riporta il tempo
tra
verdi più maturi,
quel
bianco fremere d'ali
quasi
un parlare quieto
su
flauti modulato di
sapienza
antica e amore.
Suono
suasivo sempre, ora
a
colmare con onde dense
il
vuoto muto di conversari.
E
ancora dolce è al dolore
il
tepore tuo di nicchia
ove
protetta mi tenevi
nella
stagione aprica
svaporata
in magie d'affetti.
Il
grande mistero
a
zia Pina
Vano
il tepore delle mie mani
al
tuo soffrire, amaro
vento
di deserto che urla
a
sgretolare la forte roccia
a
chiudere in disperati nodi
il
fragile respiro d'anima.
Ma
a chiarori divini, ancora
di
schegge d'azzurro ti nutri
e
in specchi di luce avida
cerchi
i giorni del prima.
Tregue
brevi, attese esili
a
sparire in lampi di dubbio
nel
cielo chiuso ai quesiti oscuri.
E
bruciano le trame del pensiero
nell'arco
ormai non teso del vissuto
e
il vuoto cupo lo spirito risucchia.
Al
grande mistero infine ti pieghi
fra
frammenti di vita già franta.
E penetra in me dolente
il gemere delle tue mani.
Nel
cielo dei ricordi
a
zio Nino
Risplendi
sempre d'argento
nel
cielo dei ricordi
mio
arcangelo
rapito
ad inseguire echi
d'etereo
canto antico e
svelarne
l'armonia di note.
E
menti ancora acerbe
aprirsi
allo stupore del
divino
qui raccolto
turbate
dal fluido buono
di
quelle mani d'uomo, umili a
spartire
il pane del sapere.
Memoria
d'emozioni accese
nel
fuoco del giovane sentire.
Ora
che l'incontro nel cerchio
del
tempo ferreo s'è fermato
ognuno
sente dentro vivi
frammenti
puri d'angelo a
formare
ali nuove immense
per
voli ideali del proprio vivere.
Tuoi
gesti
a
zio Nino
Mani
grandi
di
uomo
farsi
piccole
per
tenerezza
quasi
tremore
a
catturare
quel
giallo
canarino
raro
cantore.
Tuoi
gesti
in
me rimasti
quasi
ali canti
confusi
in gabbie
–
tristezze lontane.
Dedicata
a Jone
E
mi sperdo nei silenzi
in
quell'ora non saziati
da
parole di rugiada.
Silenzi
silenzi, gocce impietose a
scavarmi
dentro terra di rimpianto.
Ma
ai tuoi occhi
traditi
da albe lucenti
offesi
da afri miraggi
non
gemma l'anima fiori a consolare
con
linfa di colori inaridita
alla
morsa gelida del tuo patire.
Quasi
è voce solo il tocco
delle
mani nostre chiuse
in
abbraccio ultimo vermiglio.
Ora
che in prati di stelle tu vivi
riempi,
ti prego, con fasci di luce
il
vuoto che allora non seppi colmare.
Forse
il silenzio s'accorda
per
sinfonia di suoni
al
sospiro-lamento di foglie
cadute
per mistero di vento?
Sono
le tue mani
a
Jone
Splende
nel sole
candido
lino.
Vi
tramano i raggi
arabeschi
di luce.
Sono
le tue mani
sospese
nell'aria
a
ricamare operose
i
nostri ricordi
–
minuti arazzi –
parte
di noi.
Averti
qui
ancora
a
filare
insieme
le
ore
dei
giorni.
Riverberi
a
Giancarlo
Nel
silenzio dei riverberi
oltre
il pianto di vetro
screziano
gli occhi
alfabeti
di dolore.
Non
sei in quest'abisso
di gelo.
Tu
azzurro sole
aria
leggera
voli
alto
a
catturare sogni
speranze
attese
d'albe
tramonti
tra
luci sfiatate
dai
picchi
di
Val Fiorentina.
Nel
vento del Giau
echi
di sorrisi
parole,
freschezza
d'anima
amica.
Canti
raccolti
per
consolare
nostalgia
di terra.
Il
tempo delle assenze
E
si matura il tempo delle assenze,
vendemmia
amara in lampi
di
grandine bruciata.
Tempo
del dolore
presto
rimpianto denso, sinfonia
dell'incompiuto,
poi elegia dolente
celata
nelle pieghe del vissuto.
Tempo
dell'obolo dovuto
per
l'aprica sosta nella regione
mai
smemorata dell'infanzia,
per
gli incontri dolci, madrigali
di
parole e gesti sempre fioriti, e
per
l'amore acceso a questo nostro guscio.
Ma
la grande assenza del grembo caldo-
materna
terra, è più cupo stupore
–
stormire nero d'ali –
poi
certezza di diamante, punta fine a
bulinare
un accumulo di vuoto
ove
l'anima smarrita si sperde.
Ormai
spezzato è quel cordone antico,
la
casa-cuna d'improvviso franta
con
gomitoli di ricordi
srotolati
in nostalgia d'affetti.
Rimane
qualche accordo non eseguito
a
quattro mani, per quel sentire
tenuto
chiuso nel pugno del pudore.
Rimane
un fascio d'eriche bianche
ancora
da donare.
E
l'acqua della vita benedetta
tra
le dita scivola via inquieta
verso
anfratti neri
della totale assenza.
Ci
sarà un dove
Ci
sarà un dove
splendente
di luce
acceso
di sole:
là,
strappate le maschere d'argilla,
ci
parleremo liberi col cuore.
Insieme
sazieremo silenzi oscuri
con
chiarità di note,
completeremo
l'incompiuto
con
tocchi ormai decisi.
Nelle
trame del pensiero
trasparenti,
le risposte
scopriremo
agli inquieti non sensi
del
faticoso vagare
e
dell'epilogo-mistero.
Colmate
con terra viva le fragili crepe
pacate
le ansie per assenza di tempo,
allargheremo
mille gesti
in
carezze solo accennate
e
doneremo cascate d'acqua d'amore.
L'incontro
vedrà corpi puri,
sorrisi
nuovi, occhi limpidi
per
catarsi di Luce.
Ci
sarà questo dove
corona
dell'esistere.
E
la festa non avrà fine.
Nel
viola del silenzio
Dopo
i riti dell'incenso
si
spengono le voci chiuse
nel
viola del silenzio
solitario
anfratto al soffrire
ove
si piange anche
il
proprio morire.
Trova
alfine riposo il cuore
su
muschi morbidi
affiorati
lenti
dal
vuoto del rimpianto.
Ricordi
divino
bene
visioni così fresche
da
essere quasi vive
presenze
nuove nel cammino.
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