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Dell'azzurro ed altro (1995-1998)

Prefazione di Mario Richter

A Maria Luisa Daniele Toffanin è riuscita una cosa davvero rara: ha raggiunto una lingua lirica sua, evidente risultato di una felice conquista, di una lunga meditazione di altri poeti lirici del nostro tempo, da Valeri a Cardarelli, da Solmi a Montale, ma tutto sempre saggiamente controllato da una educazione letteraria che non consente gli eccessi e lascia trasparire una misura che ha radici antiche e profonde negli strati più eletti della nostra tradizione poetica.

La sensibilità della Daniele Toffanin passa attraverso un'osservazione impressionistica del mondo.I colori, le luci, i movimenti delle cose visibili sono colti nell'incanto del loro immediato e fugace apparire. Ma queste rivelazioni del mondo non si risolvono nel piacere epidermico e sterile del loro stesso rivelarsi. Questo è soltanto un punto di partenza, un'iniziale, una necessaria accensione.Perché quei colori e quelle luci subito si caricano del denso spessore del tempo vissuto, ricuperano tutto un mondo di memorie, risuscitano emozioni remote e come spente. Per questa operazione che chiamerei “resurrezionista”, diventa essenziale il particolare movimento dei versi nel loro concatenarsi, nel loro accordarsi, quell'arpeggio trepido e delicato che lascia avvertire scansioni codificate (soprattutto settenario, endecasillabo...) senza cedere alla loro suggestione normativa, ma sempre tenendosi nel particolare “pentagramma” che la Daniele Toffanin si è costruito e che le consente gli effetti ritmici idonei a riportare alla vita emozioni remote.

Di solito questo genere di ricuperi si risolve, nei casi migliori, in toni lamentosamente elegiaci, in rimpianti, in dolorosi abbandoni, in quei ripiegamenti decadentistici che lasciano nella pena il cuore. La Daniele Toffanin non cade in questo amaro e comune gorgo di spenta rassegnazione. Il suo iniziale commosso stupore di fronte al mostrarsi delle cose e dei luoghi ha una tale autentica vitale energia che niente riesce a rimuoverlo, a soffocarlo. Al contrario, quella meraviglia fuggevole dell'attimo, arricchito di tutti gli attimi che l'hanno preceduto (fino ai più remoti), acquista quasi – già nella parola poetica presente – un valore di eternità, anzi di una visione nuova annunciatrice luminosa di Eternità.

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