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Prefazione a
Il morso della ragione
Antonio Lotierzo
Questa terza raccolta del poeta di Marconia presenta sia un
insieme illuminato della ragione, sia i morsi (e forse "rimorsi" demartiniani),
sia i mancamenti di luce, che tengono in altalenata incertezza il vivere sociale
lucano.
Si presentano testi variamente datati, dal 1977 in poi, tutti
brevi e chiusi nel cerchio di una immagine stretti in una riflessione.
A dir la verità, i caratteri della poesia di Giovanni Di Lena
sono stati già variamente delineati.
Franco Tilena descrisse Un giorno di libertà (La Vallisa,
1989) come un "diario amaro e drammatico di un giovane, che ha tanta voglia di
lavorare, ma che trova sempre leporte chiuse ". Con "allucinante realismo" Di
Lena rappresenta "la voce di tutti i giovani disoccupati del nostro negletto
Sud". Daniele Giancane, prefatore, notò tanto una vena ribellistica e rabbiosa
quanto il delinearsi di una dimensione più pura dell'esistenza, stretta
all'amicizia ed all'amore, capace di godere del quotidiano e di una notte
placida. Autenticità ed impegno contro le ingiustizie sociali.
Con empatia ed affetto, Rosa Maria Fusco, prefatrice,
constatò che in Non si schiara il cielo (Lacaita, 1994) la rabbia si era smorzata, lasciando il
posto ad una malinconia nutrita "di affettività". La poesia vi appare sia come
"strumento e percorso di liberazione" sia come "dono" e spazio di verità
offerto alla riconoscenza della società. Povera di artifici, ma non priva di
icastiche, luminosissime asserzioni, la poesia di Di Lena ha un "taglio adulto",
in un mondo che continua ad essere "soverchio di civetterie" tramato di
violenza ed ostentazione.
Spesso, leggendo i poeti lucani, il lettore non trova un
miglioramento stilistico e neppure un mutamento concettuale, bensì constata un
avvitamento sugli stessi temi, una ripetizione dello stesso canto, una fedeltà
con lievi variazioni. Anche in Di Lena si riconfermano espressioni
crepuscolari, ritorna il mito scotellariano, s'accumulano tratti della
psicologia sociale pessimistica, le immagini continuano a tramare la crisi
sociale del Sud... E anche Di Lena, fin dal titolo pascaliano, pone al centro le
contraddizioni della sua vita, allineando ideali, utopie perdute, scoramento,
senso civile, sfiducia nel ceto politico, affetti e ritratti.
Infatti, dietro il baluginìo di una immagine, quasi sempre
meditativa e dal respiro corto, s'intravede quella psicologia lucana cheE.
DeMartino interpretava come caratterizzata dal rischio e dalla labilità della
presenza. E v'è l'iceberg del rischio che imbratta i piccoli testi, i fragili
sentimenti, le concezioni di ragionamento, i giudizi lapidari, mai
interlucutori o raramente schiariti con affettuose presenze. Ritornano le
discussioni sulle sfide sociali, il senso amaro della sconfitta, l'assenza di
uomini veri, lo scoramento per la trasformazione d'un mondo, il senso di un muro
invalicabile, la sospensione di un destino che s'avverte essere
ancora dipendente da un fuori estraneo. Ma è anche vero che una sorta di anomia
pervade la poesia, che è una verifica dello sfilacciamento della tradizione
lucana, vissuto con poco conforto religioso e con molta incertezza verso il
futuro. I pensieri di Di Lena, cioè, sono il correlativo d'una struttura sociale
che ancora appare aperta al rischio, funambolicamente oscillante fra mito e
ragione, storia e barbarie, razionalità e caoticità.
E questa crisi Di Lena riesce ad esprimere in immagini, piene
di lampi e di connessioni rapide, effervescenti, slanciate per il doloro,
riavvitate sul rimorso, ma pure cariche del magnesio di una ironia, che stempera
la sofferenza e consenti di superare i morsi, fino a giungere alla riva più
sicura della ragione.
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