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Postfazione a
Non solo un grido
Daniele Giancane
La nuova silloge di Giovanni Di Lena Non solo un grido si
situa agevolmente nell'iter letterario di questo Autore, che sin dall'inizio ha
intrecciato testi di ferma ribellione sociale a momenti di tenere aperture
liriche, in cui appaiono il sentimento d'amore e lo stupore metafisico,
sentimenti che Di Lena manifesta in modo rattenuto, quasi per accenni e
comunque sempre sullo sfondo di una eticità che è propria a questa poesia. In
realtà l'ispirazione dei poeta di Marconia è sostanzialmente popolare,
comunicativa, dialogica; sempre realizzata attraverso un noi, che supera le
ambasce e le inquietudini dell'Io in una visione collettiva.
Non solo un grido porta all'estremo questa poetica di fondo,
perché siamo davanti ad una raccolta di testi fortemente critici verso la
condizione meridionale, fatta di carenza di lavoro, di sfruttamento, di
speranze fatalmente disilluse. La tonalità di fondo del Di Lena, è la dialettica
fra l'aspirazione ad un mondo migliore in cui siano riconosciute la sacralità
del lavoro e la dignità della persone lo scacco esistenziale-sociale. La
società meridionale è sostanzialmente immobile, i giovani emigrano verso il
Nord, le terre native scontano secolari emarginazioni e miserie: vedi la poesia
Ciao Lucania, in cui il poeta guarda alla sua regione con sguardo malinconico
(... "il treno passa per le nostre stazioni soppresse") e Pisticci è un sogno
svanito fra precarietà, progetti inconcludenti, scommesse fallite.
In verità tutta la silloge è percorsa da questa
rappresentazione antropologica del momento presente, perfetto specchio della
situazione attuale, come – nonostante sovente si legga di una Basilicata
"virtuosa" – avvertono gli indici economici. La Basilicata ha l'Università, ma
quanti giovani laureati sono costretti a cercare lavoro altrove? La Basilicata
ha il petrolio, ma è davvero una risorsa per un maggiore benessere collettivo?
Le poesie di Di Lena ci riportano ad una realtà spesso
dimenticata, ad un linguaggio poco frequentato dalla letteratura: la cassa
integrazione, il salario da difendere a denti stretti, le tute sporche che si
confondono alla noia, alla mancanza di dialogo e di prospettive, ad
un'atmosfera di sconfitta, perché il grido si perde nel nulla e nessuna rivolta
è davvero possibile.
C'è anche nel Poeta una sorta di astio fra il noi e loro, fra
chi cerca di dare dignità alla vita e quelli che usano il potere in modo
arrogante, che calpestano le vite altrui, che diffondono piaghe e solitudine,
che vorrebbero costringere alla non esistenza, all'oblio della ragione. Epperò,
la musa del Nostro si sdilinquisce di fronte agli affetti famigliari: la madre,
il padre che come dei lari domestici, delle figure arcaiche in cui ritrovare la
semplicità della vita, il calore e la certezza, appaiono improvvisamente nella
seconda parte di questo lavoro, sempre con un tocco di profonda tenerezza legata
ad un che di irrisolto, di vite tormentate.
La poesia di Giovanni Di Lena è poesia di sofferenza ("Un
male che non riesco a lenire"), ma soprattutto di soffereza
sociale; una poesia per certi versi scotellariana, forse, che vuol trasformarsi in
grido, protesta, utopia-illusione del futuro, in immagine frantumata di un Sud che
da questi uomini, dalle loro difficili esperienze, deve prendere
le mosse per arrivare
un processo di autentico cambiamento.
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autore |
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