| |
Prefazione a
Un giorno di libertà
Daniele Giancane
La raccolta di poesie di Giovanni Di Lena si situa lungo un
percorso originale, perchè non appare più possibile – oggi che viviamo il crollo
delle ideologie e delle utopie nel clima decadente del post-moderno
– una
letteratura di opposizione, di invettiva contro i meccanismi di un sistema che
continua a lasciare ai margini ampie sacche di disoccupazione e di disagio, più
in generale di emarginazione sociale.
Pareva insomma che il grande moloch avesse inglobato tutto,
consenso e dissenso, adesione e spirito critico, soprattutto nelle nuove
generazioni che non hanno vissuto le stagioni sessantottesche e neppure quelle
del settantasette, le lotte studentesche e operaie, i grandi movimenti di massa.
E invece Un giorno di libertà ci dimostra il contrario:
l'ispirazione del Di Lena è una sorta di rifiuto – a volte persino irrazionale e
non ben motivato – del sistema, ed una scelta di campo estremamente coerente.
Il poeta è dichiaratamente dalla parte degli emarginati, come
si legge dalla "Dedica" e più specificamente dalla parte di coloro che non
riescono ad essere omogenei, ad essere integrati: gli scomunicati, i
disgraziati, i maledetti, gli emigrati, i disperati e persino i vigliacchi, i
carnefici, í qualunquisti; segno che la scelta non è valutata in merito ad istanze di tipo etica (non si potrebbe
in questo caso essere vicini agli spietati o semplicemente ai "cattivi"), ma in
base a coordinate sociali.
E su questa linea Giovanni Di Lena sviluppa un suo universo
parallelo, dove protagonisti sono – oltre allo stesso poeta
– coloro che muoiono
nell'indifferenza generale o che vivono ai confini della disperazione
(soprattutto i giovani).
Il poeta sembra immettersi in quel filone inaugurato da
Villon e Cecco Angiolieri, reso famoso nei tempi a noi vicini da Bukowsky e
Céline, sino a giungere ad una irresistibile volontà di ribellione, di scontro
aperto, che poi però a volte si scioglie e si reprime negli affetti della vita:
l'amicizia, l'amore.
E' vero, l'umanità per Di Lena è corrotta, marcia, una
'palude allucinante", eppure anche lui ha una via d'uscita: il ritorno ad una
dimensione pura dell'esistenza, che il poeta intravvede nel lavoro dei campi;
nelle piccole cose quotidiane, nella notte placida.
Ma subito riesplode la rabbia contro i padroni del vapore,
contro coloro che hanno in mano le redini della società, che "mangiano con
quattro mani, mentre il povero Cafone muore di fame"; un linguaggio realistico,
squarci lirici improvvisi, in un equilibrio sempre precario tra eros e thanatos,
tra la voglia di lottare per mutare il mondo e il desiderio di autoannullamento,
di attesa della quiete: "Giovinezza,
giovinezza, perché hai rubato la mia spensieratezza?".
E' un grido di rimpianto e di dolore che dovrebbe tutti farci
riflettere, oltre i falsi perbenismi e i nostri paraventi sociali (e culturali);
in questo senso la poesia di Giovanni Di Lena ci richiama ad una maggiore
autenticità e ad un impegno totalizzante.
| |
 |
autore |
|