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Il Sacerdote delle stelle

in: Rodolfo Tommasi
Labirinto Catottrico, 2008

"Adagio salì la scalinata azzurra che nell'ombra della sera lo portava al Tempio delle Stelle. Per sempre Sacerdote. Poiché aveva vinto la sua battaglia. Lui, l'ultimo essere umano della Terra.

Sotto l'arcata il buio lo avvolse e lui non guardò indietro. Tanto, resta­vano per sempre scolpite nel suo cuore le sedici lune tutte accese nel cielo e le sagome buie dell1città e il sorriso dell'ultimo compagno che si era spento serenamente. Con la morte negli occhi Vlad gli aveva detto allora: voglio che la tua anima sia forte e grande, più di quella di tutti gli uomini. E quando fu lasciato solo, non gli restò che legarsi per la vita a quell'ultima volontà.

Dentro di lui erano morti tutti gli addii e d'improvviso la sua memoria s'era accesa e tutto, tutto quello che la sua mente e il suo cuore aveva­no anche solo sfiorato fino a quel momento, fu suo per sempre. Poiché era l'ultimo degli uomini".

Così comincia il libro di LAHAR.

Solo delle leggende anteriori dicono come lui riuscì ad essere Sacerdote delle Stelle.

Rivendicò questo diritto come essere unico, così come unico nell'uni­verso è il Sacerdote delle Stelle. E si preparò a lungo prima di battersi. La regola era:

Sarà il miglior rappresentante vivente della sua razza, sotto tutti gli aspetti.

Questo requisito era già suo: poiché era sopravvissuto solo lui, c'erano buone probabilità che fosse anche il migliore.

Gareggiando con i migliori dell'universo, brillerà fra di essi. Cosicché non ci sia dubbio e tutti lo indichino come il predestinato.

Così la nostra cara Terra morì. Poi qualcuno si prese cura di farla spa­rire dopo averne filmato la fine. E di ristabilire le orbite dei pianeti. Qualcosa si spezzò dentro di me, facilmente, ma, con mia grande mera­viglia, scoprii che potevo ancora vivere. E che riuscivo a scegliere vocaboli nuovi nell'infinita varietà dei suoni che esprimono pensieri. Solo la mia voce non la udii più. E sognai, per quello che mi sembrò una vita intera, tutto quello che potevo sognare della Terra e dei suoi abitanti.

Finché il tempo mi prese di nuovo in custodia.

La prima cosa che mi si presentò alla mente fu il dolore di una perdita che allora avevo solo ascoltato:

La donna dentro al negozio parlava con qualcuno di suo padre, morto da qualche armo. Anzi, si scambiavano la loro esperienza, perché anche l'altro aveva perso il padre e diceva "Sono già passati sei anni, ma sembra ieri..."

E lei "Di più, certe volte sembra persino che non sia mai successo, non è così?"

Oh, se è così, avrei voluto risponderle adesso, ricordando la morte di mio padre e ricordando che la Terra non c'era più.

Dopotutto, anche a me sembrava ieri e che non fosse mai successo. Forse, agli esaminatori, sottoposi anche questo mio ascolto, l'eco di un pensiero non mio, ma ormai fatto mio.

Ebbene, io, cos'altro sono se non lo specchio di una razza?

Il tempio era piccolo e il vento lo attraversava in un'onda felice. Lì inginocchiato, il nuovo sacerdote pregava.

Io devo adesso scrivere il futuro.

E non dovrebbe essere difficile per il grande sacerdote che ha il libro delle stelle aperto davanti.

Seduto al pianoforte, il libro delle stelle aperto lì davanti, le cupole lon­tane buie contro il cielo.

I tasti immobili e gli archi mossi appena dal vento di terre lontane. Leggevo per la prima volta le storie del mondo e adagio le mie mani sfiorarono la musica.

Mentre l'aria infinita voltava le pagine del libro.

Io so. Questo diceva la mia musica.

Io so. E questo mi coinvolge e mi allontana.

Io so.

E l'universo ascoltava.

Chiedendosi cos'è sapere e come mai io so.

Ebbene: il inondo ha molte storie.
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