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Prefazione a
I mosaici di Michele Frenna di Carmine Manzi
Mario Maiorino
Ho sempre ritenuto, pur non essendoci tenuti mai a contatto diretto nel corso
degli anni perché le nostre strade sono state, come lo
sono tuttora, diverse: Carmine Manzi, sempre intento con la mente e col cuore a
divulgare la sua rivista "Fiorisce un Cenacolo", e a chiamare alla
partecipazione personaggi e amanti dell'arte e del bello all'«Accademia di
Paestum» che presiede sin dalla loro
fondazione, e io, completamente versato in studi specialistici di storia d'arte
con impegno attivo alla conoscenza della vita dei pittori, scultori e
disegnatori, e altro ancora, interessandomi alle mostre e promuovendone
personalmente per la valorizzazione di un patrimonio che è
sempre più da conoscere; ho sempre pensato, dicevo, che
Manzi è meritevole per una sua qualità
intellettiva e spirituale non comune per propria inclinazione e desiderio
costante di dar voce a quanti, particolarmente nel nostro Sud, e non solo,
attuano un loro modo di fare cultura, come evasione, come esperienza di vita,
come attività distensiva, spirituale e di conforto e di
ausilio alla loro esistenza: voci da tanti sconosciute, col racconto e con la
poesia, col saggio e col romanzo ispirato all'esistenza con la pittura e la
scultura, e sempre con aneliti che, riconosciuti come tali, danno suffragio ai
motivi che dicono del perché di una vita di tutti i
giorni, nella gioia e nel dolore, e nella necessità a
capire e a farsi capire, e a intendere maggiormente 1'umanità
nelle sue sfaccettature.
Perciò, quando egli mi ha messo a disposizione un suo
scritto riguardante un profilo di Michele Frenna in qualità
di uomo, di pittore e mosaicista, non mi sono sottratto a dire tanto di lui,
come ho sentito fare, quanto dell'autore che egli ha preso in considerazione.
Parlare di Manzi. E come è possibile raccogliere
tanto di questo personaggio in poche righe, di lui che da lungo tempo vive
immerso in un mondo in cui la religione e la poesia, la narrativa e la prosa
sono il suo pane quotidiano senza alcun companatico se
non quello della spiritualità del bene e del cuore; di
lui che, indefessamente per mezzo secolo – e perche non
dire di una vita – ha condotto, come ancora conduce, una
battaglia in difesa di quanti, ignorati dalla grande ufficialità,
vivono nella tessitura dell'arte, maggiore o minore che sia, pur essendo voci
semplici e chiare; di lui che in tutti i modi sorregge e scova, in chi a lui si
affida, il proprio rispettabile lavoro e
l'assidua abnegazione, sorretto da ideali e da nobili sentimenti? No, non
era possibile sottrarmi a questa implicita richiesta.
Allora eccomi a esprimere anch'io un giudizio sul suo protetto Michele
Frenna, per quanto già da lui scritto con tanto garbo,
anche col riporto di pensieri di diversi scrittori su questo artista autodidatta
che, come tanti, è così impegnato
a far conoscere il suo mondo e come egli
lo esprime, oltre la pittura, col mosaico, attività
molto difficile e antica che ha i suoi notevoli attestati bizantini di grandi
scuole, e romanici, eppure ancora a noi vicini, latini e,
più lontani, in quel rifugio di culture orientali che
hanno visto il loro splendore
nell'organizzare tasselli piccoli e grandi di vetro e di pietre, giostrando su
giochi di luce e di ombre, per ricavarne a più non posso scene con figure umane
e di animali.
Cava de' Tirreni, giovedì 2 dicembre 1999
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