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Profilo dell'autore
Rodolfo Tommasi
in: Arte, Letteratura,
Scienze Umane e Cultura interdisciplinare
n. 1/2, 2013 (estratto)
Con ancora più evidenti rimandi e riverberi
allusivi – similmente a un ciclo liederistico –, nelle sue recenti poesie
Menotti Galeotti sembra rafforzare le basi di quella tendenza poematica già
riscontrabile in opere pregresse, in cui non era peregrino leggere brevi
agglomerati di versi come tasselli di un racconto e soprattutto come
estrapolazioni meditative del discorso prosastico, da parte di uno scrittore
indubitabilmente capace di far uscire il passato e la memoria dai rischi della
sfera statica, per collocarne l’umore, sempre vitale e alimentato dalla parola
perfetta, in un’analisi dell’animo, dove il dato personale viene mirato,
condicio sine qua non, alla consapevolezza (pure attraverso l’evocazione di
un luogo reso ormai simbolo, perché no?) di determinare un’esperienza anche
collettiva.
Oggi la tendenza ha assunto l’aspetto di un
panneggio dal movimento inatteso che si permea di sottintesi e riguadagna il
concetto stesso di poesia a una valenza atemporale in modo del tutto inedito,
mentre conduce la funzione evocativa in un’area di scoperta che, senza smarrire
l’humus dello stupore, si rende dinamica e colma di soprassalti.
La poesia breve, tipica di Galeotti, ha inoltre
mutato il senso – e il tipo di affilatura – della sua brevità: il lampo
visuale ha subìto una metamorfosi, si è fatto lampo percettivo
fermato nel tempo dalla sua avvolgenza. Come dire: ogni attimo suggerito
dall’ora o da un paesaggio, da una folata d’immagine o da un ricordo,
trasferisce il trascorso vissuto in un presente carico di simultaneità (figure,
sensazioni, allarmi, fluenze di ombre chiarificatrici, spettri benigni…) che
costituisce materiale d’incandescenza poetica ed è già in sé poesia, grazie a
un’elaborata interiorizzazione in cui si libera la necessità di una scrittura
prosciugata dall’estetica della visione e proiettata, invece,
nell’espressione scabra di un’etica comunicativa.
Allora: cosa è accaduto – e in quale zona
chiaroscurale e mobile del farsi della poesia si sta manifestando l’accadimento?
Il poeta resta sempre l’Io scrivente, ma assimila,
quasi a integrare l’essenza agente dell’Io, l’altro, l’interlocutore
aperto alla condivisione dell’attimo sospeso; in pratica, l’Io scrivente si
moltiplica in un afflato umano refrattario alle sostanzialità convenzionali di
‘passato/presente/futuro’: è, in sintesi, l’affermazione di un assioma
ineludibile: io sono le mie vite in voi.
Naturalmente, viene a stabilirsi un affascinante
gioco di specchi, che, per esempio, ai versi di Mare aperto (la poesia
che si chiede “chi cerca il porto sicuro?”): “sollevi gli occhi dall’onda
azzurra / cielo senza orizzonte”, fa rispondere i versi di Caro fratello:
“Insieme posammo gli occhi / sulla lunga striscia azzurra”.
E altrettanto naturalmente, luoghi e persone
vengono parificati, non sulla valutazione di un significato di spessore umano,
certo (il poeta civile è sempre allerta), bensì sulla valutazione di ciò che
rappresentano e possono rappresentare dal punto di vista cognitivo. Un luogo può
schiudere l’evento epifanico (focalizzazione della memoria e del nostos
nel flusso dell’istante) quanto una presenza riconquistata a nuova e rivelante
maturazione di un sentimento: ecco, dunque, che il versante del contatto,
costantemente sotteso alla scrittura di Galeotti poeta e narratore (si noti, e
non troppo a margine, che ultimamente i due generi letterari – o meglio: le due
sintassi mentali – si riflettono e si compenetrano), viene oggi a raggiungere la
vibrazione esistenziale e i nitori di una sfera di sublimazione.
Sulla rotta idonea a tracciare un rapido profilo
esegetico di Menotti Galeotti, e con la decisione di basarmi su alcune poesie
recenti (una sorta di campionario dimostrativo), poiché, almeno a mio avviso,
rappresentano un golfo di inequivocabile meta odisseica già da tempo inquadrato
e perseguito tra le correnti esplorative dell’Io (così, con questa terminologia
nautica, ho completato la metafora marina che, in quanto tale, dovrebbe essere
gradita all’autore – e all’acqua, sua musa), mi accorgo della bellissima
anomalia su cui si edifica l’originalità di una conduzione.
Mi spiego. Galeotti, nella sua prima fase
produttiva, trae segno verbale dalle proprie radici (radici giusto in senso di
luoghi, età e figure) e vi delinea un mondo lirico, mitico, dialettico e
affabulatorio. La logica (intendo una logica di casistica, avallata dalla
pratica di lettura su illustri testimonianze letterarie) vorrebbe che questo
mondo si nutrisse della sua linfa arricchendosi di dettagli, ma per Galeotti non
è così, a lui non basta: questo mondo si estinguerebbe se fosse destinato a
vivere soltanto di sé; deve pertanto diramarsi e nuovamente sostanziarsi
all’interno del mondo presente, interiormente avventuroso (da qui le
argomentazioni connettibili all’aggettivo ‘odisseico’), irrigarne il corso
conoscitivo e creativo, esserne la mappa interiore. (…..)
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