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Di cosa parla il libro?
Ungaretti a voce alta e altre occasioni

I grandi dicitori, sono più rari dei grandi attori. L’attore, per deformazione professionale, può sentirsi portato a drammatizzare il testo poetico, a sentirsi su un palcoscenico, a enfatizzare, a “declamare”, come ancora qualcuno (ahimé) definisce la lettura poetica, a valorizzare il proprio virtuosismo vocale. Non di rado gli attori possiedono bellissime voci, che destano in me una certa invidia; voci sin troppo belle, così belle da sembrare confezionate in laboratorio. Posso perciò capire che di quelle voci, a volte, gli stessi possessori s’innamorino, non diversamente da quanto accadde a Narciso al fonte, compiacendosene visibilmente; anzi, udibilmente. Chi legge un testo poetico dovrebbe essere insieme dicitore e, se così si può dire, in qualche misura regista-critico di se stesso.

Critica e lettura convergono. La lettura è una forma di critica forse più istintiva, ma per certi versi più difficile, perché, più della critica, richiede che il giudizio e l’interpretazione siano fusi e superati in una ricostruzione, che è come un’opera d’arte nata da quella che il poeta ha creato; e perché, se la critica può limitarsi alla sintesi, e ad ogni modo non può colorire che una parte degli elementi di una poesia, la dizione deve, senza mai dimenticare la sintesi – cioè l’intonazione dominante – dare il giusto rilievo a tutti i particolari, studiare per tutti le sfumature adatte.

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