Tenacia d'ombra,
2002
Il sogno ad alta voce.
Nota sulla poesia di Anna Maria Guidi
Giuseppe Panella
Aveva fatto così
anche con i ricordi, con le malinconie, coi
soprassalti della memoria [...]. Nella solitudine della scelta,
aveva preso i ricordi uno a uno e li aveva guardati,
consumandoli nel silenzio e nell'uso quotidiano. Li aveva
svuotati di ogni senso e da tutte le emozioni, fino a che essi
avevano smesso di essere reali e si erano dissolti in una nebbia
fine e ostinata che precludeva ogni altra vista.
(Mariateresa Di Lascia, Passaggio in ombra)
1. Passaggio di notte
Non so chi sia (dal punto di vista
biogralico, professionale e/o privato) Anna Maria Guidi né che cosa abbia
precedentemente scritto in prosa o poesia. Non mi importa affatto confessare la mia
ignoranza (dal punto di vista dello storico criterio fondamentale di imparziale
lettura e/o giudizio) che così risultera lampante al possibile lettore di questa
mia noterella.
Mi sta bene così e, d'altro canto, mi
è
bastato una volta immergermi totalmente nel suo Tenacia d'ombra, in una gelida
nottata invernale mentre da Firenze tornavo a Prato in treno, per rendermi conto
di trovarmi in presenza della poesia vera. E questo e qualcosa che va al di là delle
vicende (auto) biografiche del poeta che viene letto ed esaminato come tale.
Da tale esame Anna Maria Guidi risulta
– a
mio avviso – promossa a pieni voti.
Ovviamente non tutto e allo stesso (alto,
spesso molto alto) livello, non tutto (per usare un'espressione un po' troppo
abusata) ugualmente mi piace, ma quello che è buono quando
è buono è veramente buono (come Charles Bukowski ha
scritto una volta della scrittura letteraria di Henry Miller).
Tenacia d'ombra rende onore al suo titolo:
è
un libro davvero tenace, è uno scritto umbratile,
è un vero e proprio "passaggio
in ombra" (per citare ancora lo splendido libro postumo di Mariateresa Di Lascia
citato in esergo). È una raccolta tenace di versi tenaci; la
scrittura di Anna Maria Guidi non si sfilaccia né sdilinquisce in alcun modo
sotto gli occhi severi del lettore di poesia che non si aspetta una partenza così
squillante e una prosodia così netta e marcata, una sicurezza così intensa di
tono e di proposta: "allontaniamoci dallo zenith | nella tenacia dell'ombra |
cammina nascosta | la luce" (sono i versi che aprono, a mo' di ouverture, il
libro e ne annunciano somrnessi e inesorabili i luoghi e le prospettive).
La poesia – mi pare di capire –
è, per Anna
Maria Guidi, la capacità di modulare con parole piene e pregnanti la forza
espressiva che presiede ad una ricerca tanto più illuminante quanto meno
orientata verso il centro, tanto più potente quanto più laterale rispetto alla
zenitalità della verità ritenuta assoluta.
L'ombra è il luogo della riflessione e, di
conseguenza, della possibilità più autentica della potenza del pensiero.
La poesia è il luogo dove la soglia (del
pensiero ma anche dell'esistenza) viene varcata e dove l'ombra si illumina della
sua verità più intima, più profonda. Rifuggendo
lo zenith (il punto massimo di
visibilità possibile per l'osservatore di fronte alla volta celeste del cielo),
la poesia e la sua proposta di conoscenza interiore riesce ad attingere il
proprio nadir (il punto massimo di opposizione da parte dell'osservatore della
volta celeste dove la visione appare opposta e radicalmente decentrata rispetto
allo zenith) grazie alla propria tenace donazione di senso al suo oggetto di
pensiero che, tuttavia, si rivela contemporaneamente capacità di canto e di
modulazione linguistica del significante.
A questo livello di articolazione del
discorso poetico le possibilità ermeneutiche risiedenti nell'ombra giocano un
ruolo fondamentale: il cono di sottrazione della luce rivela la propria capacità
conoscitiva attraverso il levare e l'attenuare piuttosto che mediante
l'aggiungersi di sapere a potere, di conoscenza astratta a nozione appresa.
Per questo motivo, l'ombra è tenace perché
proprio attraverso la sua via negativa il positivo dell'esperienza interiore
viene raggiunto, l'intimità della coscienza si assume il
carico pubblico e comune di veicolare e far transitare
un sapere dei corpi e delle azioni piuttosto che delle menti e delle coscienze
astratte.
E proprio per questo motivo, la tenacia
d'ombra proposta da Anna Maria Guidi come paesaggio della poesia
è in realtà il
suo passaggio attraverso la soglia che separa la conoscenza dal sogno.
Per questa ragione, ancora, il transito
dall'ombra alla luce e dalla luce all'ombra è il passaggio in cui si invera e si
verifica concretamente quella ricerca della consapevolezza umana che cerca di
cogliere le verità profonde del proprio Sé attraverso i luoghi in cui esso gli
permette di aprirsi per lasciarsi investire in profondità di questo compito e
per lasciar passare il flusso profondo della propria natura nascosta. In questa
oscillazione tra luce e oscurità consiste il transito dell'ombra del soggetto
poetico.
Un passaggio di notte verso la luce del
giorno che salva, tuttavia, tutta la ricchezza e la forza espressiva contenuti
nell'ombra che si è riusciti ad attraversare.
Tale forza e ricchezza sono impliciti in ogni
concezione dell'ombra quale prospettiva mitopoietica in senso lato e come
oggettivazione del fare poetico nello specifico della scrittura che esso
produce.
2.1l transito dell'ombra
"Il pensatore concreto,
per il fatto che si immedesima prima in un oggetto poi in un altro (processo che
esige sempre parecchio tempo), può giungere solo molto
lentamente alla conoscenza delle somiglianze che stabiliscono un rapporto; perciò
il suo pensiero appare vischioso, mentre la sua immedesimazione
è fluida. Chi pensa astrattamente coglie invece rapidamente la
somiglianza, sostituisce gli oggetti individuali con contrassegni generali, e dà
forma a questo materiale empirico con la sua interiore attività
di pensiero, che è tuttavia influenzata dall'immagine
primordiale, che 'sta nell'ombra', tanto intensamente
quanto il pensiero concreto è inlluenzato dall'oggetto.
Quanto maggioree l'influenza
dell'oggetto sul pensiero, tanto più esso imprime i suoi
tratti sull'immagine del pensiero stesso. Per contro, quanto meno l'oggetto
agisce sullo spirito, tanto più forte è
il suggello impresso sull'esperienza dell'idea a priori".
(Carl Gustav Jung, Tipi psicologici (1921),
trad. il. di Cesare L. Musatti e Luigi Aurigemma, Torino, Boringhieri, 1977, p.
332)
E ancora:
"Ma è appunto in questa maniera che si
manifesta la psicologia dell'estroverso: essa appartiene ai fatti del quotidiano
umano e non significa niente di più e niente di meno. Solo chi riflette vede al
di là e stravede – per quanto riguarda la vita – mentre vede giusto per ciò che
riguarda lo sfondo inconscio del pensiero dell'estroverso. Egli non vede l'uomo
qual è realmente, ma solo la sua ombra. E
l'ombra giustifica il giudizio a danno
del reale uomo cosciente".
(Carl Gustav Jung, Tipi psicologici
cit.,p.177).
L'Ombra è, per Jung, uno degli elementi
fondamentali del processo di individuazione del soggetto: nella problematica dei
contrari (e proprio per questo alla fine conciliabili – a differenza di quanto
avverrebbe per gli opposti che risultano affetti da real Repugnanz reciproca) il
divenire della personalità si gioca proprio nelle opposizioni in divenire di
Io-Ombra, Anima-Persona e Logos-Eros che trovano infine nel Sé l'unita
dialettica compiuta nella maturità raggiunta dal soggetto.
In questo contesto di indagine del profondo,
se l'Io è un cornplesso di rappresentazioni che si pone al centro della
coscienza e che costituisce elemento di unitarietà del soggetto, ciò che
il soggetto sa di se stesso, ciò che di sé
accetta e che lo costituisce in rapporto organico (e organizzato
conseguentemente) con gli ideali, i valori e le credenze del contesto sociale in
cui vive, l'Ombra e l'alter ego dell' lo.
Proprio per questo motivo, essa può essere
definita come l'insieme di modalità d'esistenza e di possibilità di essere che
il soggetto rifiuta o non vuole accettare o cui resiste anche se tale rifiuto
risulta negativo e crea dei blocchi nevrotici nel divenire della sua personalità
matura. Il soggetto aliena da sé i contenuti
dell'Ombra ma nel farlo, proprio per difendersi da essi, finisce per alienare
una parte profonda (e molto significativa) di sé.
Inoltre l' Ombra non è solo il contraltare
dei valori accettati da (e accettabili per) il soggetto –l'Ombra
è l'elemento in
negativo di costituzione dell' inconscio collettivo. Scrive ancora Jung: "La metà inferiore della
personalità è per lo più
e per la maggior parte inconscia. Essa non rappresenta l'intero inconscio, ma soltanto la sua
sezione personale. L'Anima invece, in quanto si distingue dall'ombra,
personifica I'inconscio collettivo".
(Carl Gustav Jung, La simbolica dello spirito
(1959), trad. il. di Olga Bovero Caporali, Torino, Einaudi, 1975, p.50).
L'obiettivo dell'analisi è qui per Jung il
raggiungimento dell'Anima (il fare Anima – come ha poi scritto, riprendendo e
ampliando quel concetto, un celebre analista di ispirazione junghiana, James
Hillmann) quale superamento della dicotomia Io-Ombra alla luce della possibile
"guarigione" futura del Sé e dell'accettazione di ciò che l'Ombra costituisce.
E per questo motivo che bisogna transitare
attraverso di essa: per accettarla ed accettarsi. Ma soprattutto per conoscersi.
La poesia di Anna Maria Guidi, pur non
riprendendo esplicitamente le suggestioni che possono venire dal concetto
junghiano di Ombra, sembra seguirne alcune modalità esplicite di funzionamento.
3. Primavera a Trieste
In tutte le quattordici stazioni di cui si
compone la raccolta e che nel numero coincidente rimandano a quelle da cui
è
composta la Via Crucis del Venerdi Santo (ognuna di esse aperta da un breve
testo che sembra esserne la legenda esplicativa e che è poi articolato su un
registro più disteso di canto), la tensione tra Io e Ombra, tra accettazione e
rifiuto, tra volontà di costruzione e anelito di negazione
è sempre molto forte.
Per questa ragione, non è facile operare
delle selezioni in un corpus come quello costituito da Tenacia d'ombra, vivente
e organizzato in maniera coerente e ricca di suggestivita, vibrante di una
religiosità non convenzionale e tesa verso il raggiungimento di un numinoso che
attinge alle radici profonde e arcaiche del sacro piuttosto che adagiarsi in una
ritualità più prevedibile e canonicamente ripiegata su se stessa.
Ognuna delle poesie di Anna Maria Guidi
meriterebbe di essere esaminata con attenzione, soprattutto in quei luoghi in
cui sembra essere meno liquidamente lirica e più contratta, bloccata dalla sua
volontà di totalizzazione sapienziale, aperta all'Alto ma senza concedersi
all'abbraccio con esso. Sono i momenti piu marcatamente riflessivi
che sembrano concessioni alla volontà dell'autrice di porsi al livello del
pensiero piuttosto che rimanere su quello dell'esperienza e del vissuto.
Ma, in realtà, i momenti più svettatamente
lirici e quelli in cui la riflessione si fa espressione poetica dei dubbi e dei
problemi che attanagliano la soggettività di pensiero dell'autrice sono
integrati nel progetto di un coinvolgimento globale che vada al di là dell'Ombra
e non privilegi soltanto l'Io. Da qui l'alternarsi di canto e di sosta, di
slancio e di cauta perlustrazione, di attesa e di partenza, di meditazione e di
proposta.
Ciò è
particolarmente evidente in un testo lirico, una vera e propria canzone, che
merita analizzare – sia pure senza sminuzzarla troppo – per concludere questa
mia (im)probabile introduzione alla poesia di Anna Maria Guidi:
"To late and | or to soon. Per una cartolina
| ancora fresca d'abbracci | e baci nella posta | rianimo stasera collassi | di
memoria, riserva di benzina | nel serbatoio occluso | della mente. A Trieste |
un mattino d'estate | sciarpe di sole intorno | a Miramare, torta di spuma
offerta | con grazia alle voglie del mare. | Massimiliano galoppava bianco |
biancovestito sopra un bianco | destriero sopra bianchi | margini di nuvole:
tutto era bianco | insomma, tutto da tratteggiare | come l'avvenire che ci
correva incontro, | saltimbanco impaziente | fra gli ostacoli del cielo. |
Peccato. Troppo presto ci tolse | dal canestro la nostra cicogna | pellegrina,
posandoci a metà | dell'ordito che schiudeva | gli orli del '900 ai lembi del
2000. | Ora siamo in caduta libera | e senza il corrimano | per tenerci, se non
dritti, | in piedi almeno..."
II "Troppo tardi e/o troppo presto" di Anna
Maria Guidi è un blues che l'autrice vuole cantare in memoria di una generazione
che è arrivata troppo tardi per cambiare il mondo ed
è venuta al mondo troppo
presto per cambiare se stessa (ma tutto questo, forse, sarà accaduto e accadrà
a tutte le generazioni che sono state e che ancora verranno...).
Troppo tardi perché avvenisse il sogno di una
primavera di sole e della sua gaiezza spumeggiante di allegria; troppo presto
per rifiutarsi ancora di desiderarlo con forza.
Ne è simbolo forte e coinvolgente il sogno ad
occhi aperti di Massimiliano d'Asburgo, il principe che volle invano essere
l'imperatore del Messico per finire poi fucilato a Queretaro dai suoi sudditi
riluttanti a diventarlo e dimenticato dai regnanti che avevano istigato e
incoraggiato la sua ambizione di gloria. Bello in eterno sul suo bianco cavallo
napoleonico, immortalato e consegnato per sempre al suo prediletto castello di
Miramare insieme alla bionda e dolce Carlotta sua sposa, egli diventa metafora
assoluta della giovinezza destinata a durare nei sogni che non possono
farsi
realtà, a trasformarsi in materia durevole delle aspirazioni più belle perché
forse impossibili e travolgenti.
Massimiliano incarna l'aspirazione all'etema
primavera di una bellezza che non è certo quella retorica e bolsa del ventennio
fascista quanto quella soffusa e incamata nei corpi e nelle menti di chi voleva
cambiare il mondo e non ha più potuto farlo (perché
è stata fermata prima che
potesse provarsi a mutare l'asse orbitale del proprio destino).
Chi vuole scambiare il mondo con i propri
sogni deve rassegnarsi a vederli tradire da chi sperava che li aiutasse a
realizzarli, deve attendersi di vederli spiegazzati e ripiegati in un canto,
"pensieri usati,vestiti | troppo larghi o striminziti, | pioppi inclinati | a
torrenti senz'acqua, | depassés come | l'eskimo, il dialogo, la contestazione,
| la psicoanalisi ed i figli dei fiori | che poi diventarono cannoni. Fu onore
| un errore di speranza...". La delusione subita risulta troppo forte: per
esorcizzarla si fa ironia profonda, narrazione accorata, grido che attende di
diventare canto. Qui la poesia si tinge di amarezza e si soffonde di pianto.
Il destino individuale si rivela e si
scioglie nello sforzo di diventare lamentazione collettiva sulle sorti di un
mondo che non è stato liberato dallo scatto in avanti del desiderio: il mondo
è
rimasto quello che era e semmai sembrerebbe essere morto il sogno.
Eppure non serve a niente – commenta in
limine Anna Maria Guidi – continuare a piangere su ciò che ieri non
è riuscito e
che oggi continua a non funzionare: "No, non mi lamento. | All'angolo, sono
ancora in piedi, | non ai piedi, parte e partecipe | barlume in transito, | di
questa dissacrata, armoniosa, | fragile, violenta, irripetibile, | affaccendata,
| Sublime Faccenda | del mondo".
In piedi, non ai piedi: il pugile che
è stato
battuto da un'avversario più forte di lui e che tuttavia resta ancora in piedi e
vuole finire l'incontro per perderlo ai punti, non per ko, è immagine essa
stessa sublime.Trepestato di colpi, pesto, sconfitto, confuso, ma non vinto:
restare in piedi è quello che gli resta; se non
è bastante, è certo sufficiente
ad appagare il suo orgoglio e a renderlo scevro dall'onta di una sconfitta che
sente ignominiosa.
Allo sconfitto basterà comunque partecipare
per esser parte della vita vissuta: anche se il suo ruolo non sarà
quello del vincitore, anche se non morirà come "chi
è caro
agli dei" e non resterà per sempre giovane come Massimiliano d'Asburgo, gli
basta avere ancora una chance ed esserci di nuovo dentro nella violenta e
fragile vicenda di ogni giorno. Di questo è fatto l'orgoglio di essere al mondo;
di questo si sostanzia l'oscuro e splendente sogno di essere uomini.
Per questo motivo (e altre che non è qui il
luogo per esporre distesamente) la poesia diventa il risarcimento del mondo
offeso e l'occasione del canto.
Il risarcimento si converte in scrittura e il
sogno si sublima nel canto: un passaggio a piena voce attraverso la parola che
resta, fiera e inarrestabile, a dire ciò che nella vita non si
è potuto far
altro che sperare. Ma è di questa speranza che
è fatta la sostanza che sorregge
il mondo.
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