Buon compleanno Ken
Ken compie mezzo secolo. Barbie ha due anni di più. I venditori di giocattoli
erano convinti (e qualcuno lo è ancora) che i nuovi tipi nuovi di doll in
versione playable avrebbero soppiantato gli inossidabili Barbara
Millicent Roberts e Ken Carson. Mentre non solo il numero dei
collezionisti continua ad aumentare vertiginosamente (Barbie è il secondo
oggetto più collezionato al mondo dopo i francobolli), ma le sorti di questa
bambola così diversa dalle altre, affascinante e seducente come nessuna, hanno
intrapreso anche un percorso autonomo che non ha nulla a che vedere con Mattel:
l’universo del “pezzo unico” (in gergo OOAK, acronimo dell’inglese “one of a
kind”). Si potrebbe dire che il gioco ha letteralmente rapito gli adulti
(esperti non necessariamente nostalgici), a volte usciti da scuole di moda.
Costoro preferiscono rivisitare Barbie e il suo guardaroba, anziché dedicarsi
alle modelle in carne ed ossa e all’ haute couture. Raffaella Carrà,
Anna Oxa, Patty Pravo possono diventare “pezzo unico”, creato su corpo e faccia
di una Barbie (l’ultima linea delle Basics sembra essere la base perfetta per
questo genere di lavoro). Le ooak superano persino i costi di alcune vintage.
Per avere una cantante Madonna riprodotta in scala 1:6 c’è chi è disposto a
spendere fortune.
Cosa alimenta il percorso indipendente dell’OOAK? Cosa induce alcuni
collezionisti a diventare stilisti di Barbie non legati alla casa madre che la
produce, e altri ad acquistare questi “pezzi unici” anziché collezionare le
Vintage Anni Sessanta, le Mod fra Sessanta e Settanta o le Superstar?
Inizio della Doll Art e dell'Ooak
Alla fine degli anni Ottanta la produzione massificata di Barbie attraversa una
forte crisi. Andy Warhol nel 1986 dedica alla Barbie il celebre ritratto che la
consacra icona femminile del XX secolo. L’artista BillyBoy*, amico di
Warhol e fino a quel momento devoto stilista di Barbie per Mattel (suoi i due
magnifici Le Nouveau Theatre de la Mode del 1985 e Feeling’ Groovy
Barbie – Glamour a Go-Go! Gift Set del 1987), collezionista di un numero
spropositato di bambole antiche dell’Ottocento e contemporanee, studioso
dell’argomento (il suo volume “Barbie, Her Life and Time”, edito da Crown, è
imprescindibile per un collezionista autentico), lascia Mattel e nel febbraio
del 1989 dà vita a una nuova fashion doll, Mdvanii, alta 25 cm, coi tratti
euroasiatici, d’impostazione prettamente parigina per contrastare
l’“americanità” della rivale. Prodotta in numeri limitati (ogni scatola è
autografata col pennarello da BillyBoy*), Mdvaniii non è una bambola per
bambini, bensì una sorta di statuina preziosa venduta a prezzi stratosferici.
Del resto BillyBoy* è prima di tutto un artista, un pittore, scultore, creatore
arazzi e costumi e può di fatto essere considerato il capostipite della
Doll Art. Mdvanii è la creazione con la quale egli organizza numerose mostre
(esposizioni composite che abbondano anche di materiale fotografico e filmico),
con variazioni su tema della sua bambola.
Barbie da gioco e da collezione
All’inizio degli anni Novanta, la stessa Mattel nota il cambiamento
dell’orientamento di vendita da parte degli acquirenti, diventati sempre più
esigenti e disinteressati alle “cappellone” playable del periodo. Così
decide di dividere le Barbie in esemplari “giocabili” ed esemplari
“collezionabili”, questi ultimi espressamente destinati ad un pubblico “over
14”. Ed ecco arrivare le grandi dive hollywoodiane (tanto per citarne
alcune: l’intera serie Barbie/Rossella O’Hara coi vestiti indossati da Vivien
Leigh in Via col vento e Barbie/Audrey Hepburn con gli abiti di
Colazione da Tiffany). Nascono le pregiatissime Silkstone (dal nome
del materiale, che le rende pesanti e lisce al tempo stesso), il cui mold
(struttura della faccia) ricorda i visi delle Ponytail del 1959/60, assieme alle
quali vengono riproposti completini vintage oramai divenuti assai rari e
costosi. Fanno il loro esordio anche le modelle-Barbie di Bob Mackie,
Byron Lars, Robert Best e tantissimi altri stilisti di fama mondiale, fra cui i
nostri Valentino, Donatella Versace e Armani.
C’era una volta Barbie, c'è ancora e ci sarà
Tutto ciò non spiega ancora il fiorire dell’OOAK e della Doll Art legata a
Barbie. Qual è il suo segreto? Cosa rende così appetibile artigianalmente e
artisticamente questa doll?
Il segreto, in realtà, è talmente evidente da essere passato quasi inosservato:
Barbie non è una bambola, bensì una marionetta, e per capire il successo
in chi ci mette l’anima per dar vita a “pezzi unici” col suo corpo occorre fare
parecchi passi indietro.
Una marionetta, direte voi? Da cosa lo si capisce? Innanzitutto dal fatto che
Barbie è un personaggio adulto. Certo, Ruth Handler Moskowicz, creatrice
di Barbie nonché fondatrice assieme al marito della Mattel (da non sottovalutare
che Mattel prima di Barbie produceva manufatti di legno e mobili per case di
bambole) voleva a tutti i costi fare una bambola che potesse cambiare vestitini,
come le bambole di carta con cui giocava la figlia Barbara (alla quale dedicò
Barbie). Ma la voleva anche che fosse adulta, con una figura slanciata,
elegante, raffinata e, durante un viaggio in Europa nella seconda metà degli
anni Cinquanta del secolo scorso trovò nella tedesca Lilli l’aspetto più vicino
alle sue idee. Acquistò i diritti di riproduzione dalla casa tedesca (che fallì
con la nascita di Barbie) e fece modificare dai suoi ingegneri la struttura
meccanica della testa, non più attaccata con filo al gancio posizionato dentro
al collo, come le vecchie bambole (e le marionette), ma ruotante ed estraibile
senza danno alcuno per la bambola.
La parentela con Arlecchino e Pinocchio
Negli anni Cinquanta si arena anche il mercato delle marionette, sopravvissuto
con fatica alla II Guerra mondiale. Le maschere della commedia dell’arte
sembrano affievolirsi nei teatrini destinati ai bambini.
Intanto Pinocchio, per mano del suo autore, mezzo secolo prima è già
sfuggito alla schiavitù dei fili e continua a essere realizzato da valenti
artigiani in tutte le zone attigue alla Toscana, con aspetto diverso in ogni
bottega. Nel libro viene descritto “burattino”, anche se burattino è il pupazzo
che contiene la mano. Collodi – che conosceva assai bene il mondo delle
marionette e dei teatrini per bambini – per il suo pupillo estrapola il
sostantivo “burattino” dal verbo toscano “abburattare”, ovvero
setacciare/impastare, così da sottolineare incessantemente i movimenti
dinoccolati e i gesti sconnessi e ripetitivi che Pinoccho-senza-fili compie da
solo, come se impastasse farina e acqua. All’inizio del Capitolo X si
legge: “Quando Pinocchio entrò nel teatrino delle marionette …
Arlecchino e Pulcinella, sulla scena in quel momento, lo riconoscono come “uno
di loro” e durante lo spettacolo Arlecchino a gran voce lo chiama sul palco: “Pinocchio,
vieni a gettarti fra le braccia dei tuoi fratelli di legno!”.
Il primo Pinocchio di legno in versione giocattolo, i cui diritti sono
gelosamente custoditi dalla Fondazione Nazionale Carlo Collodi, è stato
riproposto da Giochi Preziosi in occasione dei 100 dalla sua creazione. Guarda
caso la scala è 1:6 (30 cm di altezza), la stessa di Barbie, che, non
dimentichiamo, eredita dai suoi creatori anche il passato di chi ha lavorato per
lungo tempo il legno.
Ruth Handler dà vita a una marionetta femmina, Barbie, anch’essa senza
fili per merito della collodiana invenzione di Pinocchio, di plastica (le
ultime marionette sono anch’esse di plastica) e la attornia ben presto di un
nutrito gruppo di personaggi, a iniziare da Ken (storico fidanzato), Midge
(prima amica), Allan (fidanzato di Midge), Skipper (sorella di Barbie) e via
dicendo. I bambini possono finalmente giocare di nuovo al teatrino con
personaggi adulti. E non mancano neppure riferimenti a donne trendy del
momento, per esempio Twiggy (1966), la celebre modella cantante e attrice, prima
star riprodotta da Mattel, o Diahann Carrol interprete della serie medicale
“Julia”, di cui Julia/Mattel (1968) diventerà la riproduzione.
Del periodo vintage (1959-68) sono estremamente significativi due tipi di
Barbie: Fashion Queen (1963), dotata di tre parrucche, che può indossare
sul capo rasato, perché contiene in sé tre personaggi diversi; e Color Magic
(1966), con l’incantevole costumino a rombi come Arlecchino, la quale può
tingersi i capelli nel vero senso della parola, a gusto e desiderio dei piccoli
registi/stilisti che hanno la fortuna di possederla e di strizzare quei magici
tubetti di colore. Per quest’ultima è evidente la parentela con l’antenato
Arlecchino. La cosa può essere avvenuta inconsciamente, ma chi lavora il legno e
si occupa di giocattoli è portatore sempre e comunque dell’arguto mondo
primitivo degli antichi spettacoli ai margini delle strade, in cui Arlecchino/Helleking (= King of
the Hell ovvero “re dell’inferno”)
e i suoi compagni rappresentavano lo spirito villanesco e la parodia delle
regole imposte dai padroni, nonché l’Altro che può osare ciò che all’Io non è
concesso. Nei periodi carnascialeschi tutti i servi, per una settimana (quella
Grassa), protetti dalla maschera, si trasformavano in giustizieri di
avari tenutari e traditori. Interessante come all’inizio degli anni Sessanta,
momento aureo dell’emancipazione femminile, il King of the Hell diventa
un’affascinante Queen of the Hell.
Differenza fra Ooak e Doll Art
Gli ooakers sono neo burattinai, artigiani che riproducono a loro modo la nuova
protagonista femminile dei teatrini moderni, spesso ridotti a statiche e fredde
bacheche oppure a una claustrofobica scatola di cartone riposta orizzontale in
un armadio come una piccola bara, in cui riposa una Barbie spenta.
Chiunque può essere ooaker se cuce un vestitino artigianale o ritocca il make-up
di una Barbie di fabbrica. Ciò che differenzia l’artista dall’artigiano è non
solo il bagaglio culturale, che gli permette di attingere al passato e di
portarlo avanti, di evolverlo e stravolgerlo, ma anche il modo di realizzare il
piccolo personaggio. Ci sono in giro chiassose e appariscenti rivisitazioni
ooak, che viste da lontano rifulgono di sontuosità baroccheggiante e
magnificenza, ma se solo poco vengono prese in mano e osservate meglio scoprono
il loro pauroso “lato oscuro”.
Mi spiego: un artista non cucirà o, peggio, incollerà mai addosso a una Barbie
il vestito perché questa risulti bella soltanto ammirata dietro una vetrina o
col binocolo, ma si occuperà prima di tutto della “salute” del suo corpo. Un
buon restauro di eventuali difetti, un reimpianto di capelli di prima qualità,
acconciature ottenute senza alcun ausilio di colle sono già indicative di un
lavoro artistico e non artigianale (e di basso livello). Quanto all’abito, più
che la sontuosità, è fondamentale che esso sia fatto in modo da garantire la
reversibilità. In parole povere, un prodotto-doll-art potrà sempre ritornare
allo stato di partenza. Sottolineo che il restauro, in caso di esemplari
malconci, appartiene al processo ri-creativo e non è soggetto ai criteri della
reversibilità.
Una Barbie con caratteri di fissità, che non permette il suo ri-utilizzo, è
prodotto ooak solo artigianale, frutto a volte anche di eccellente abilità
manuale, ma privo della consistenza artistica che nobilita ed estrapola dalla
pacchianeria kitsch senza passato, superficiale, pietosamente sentimentale e
talvolta trash le vere creazioni d’autore.
© 2011
Noemi Israel |